L'Europa cristiana, progressista e pacifista sta insorgendo toto corde contro l'Oriente mussulmano, regressivo e terrorista. Ma come? Si osa portare il terrore in casa nostra, qui, nella culla della Civiltà incontaminata? Come dice Le Pen, "touche pas mon pays", non toccare il Mio Paese, la mia gente, le mie case, la mia Borsa, le mie Banche. "Giù le mani dall'Europa!".
E dietro queste sirene della Civiltà accorrono i marinai del "movimento operaio" dell'Occidente. Marchais si è per primo affrettato a porgere il suo appoggio al primo ministro "reazionario", ma, parbleu!, di buon sangue francese, Chirac; e Natta si è affrettato a mostrare tutto il sacro orrore del PCI verso i "nuovi barbari" che arrivano magari, per bocca dell’"esaltato" Gheddafi, a parlare di esercito internazionale degli oppressi contro le cittadelle imperialiste e di "guerra santa" contro di esse, ravvisando in esse una centrale di oppressione mentre invece noi ci stiamo così bene dentro. E persino l'onorevole Capanna si va sciogliendo dalle corde cui si era fatto legare per non indulgere in tentazione preso da legittimo dubbio: ma che vogliono costoro?, non gli bastano le ambasciate che io stesso gli avevo portato in vece e su incarico di Andreotti e compari?, vogliono forse trasformare in una guerra vera una contesa da risolvere pacificamente?
Noi, sparuti comunisti internazionalisti, non abbiamo paura alcuna di dichiarare che stiamo dalla parte dei barbari. Non che condividiamo le strategie ed i modi della battaglia dei "desperados" in affitto o sotto controllo delle borghesie nazionali dei paesi oppressi. Non ci siamo mai seduti alla loro tavola (come hanno fatto molti di quanti oggi si scandalizzano per la minaccia che ce ne deriverebbe). Non abbiamo mai pubblicamente abbracciato - dall'alto di qualche colle romano - i capi di queste borghesie, né mai abbiamo aperto con esse una partita di dare e avere del tipo che ben sanno i tutori del "nostro" stato, della "nostra" sicurezza. Niente di tutto questo (ne prenda ben nota l'inquisitore di turno). Ma, oggi come e più di ieri, stiamo -contro le direzioni borghesi degli stati e dei popoli oppressi - con i "barbari" spinti alla sacrosanta ribellione contro la nostra "civilissima" metropoli, contro l'imperialismo benedetto dai successori di Cristo e se un "rimprovero" ad essi facciamo non è quello di essere troppo" violenti, ma di affidare la loro sacrosanta violenza di classe a chi non può che tradirla o svilirla. Lavoriamo affinché essa sia sottratta alla guida dei crociati alla Khomeini, alla "grande Siria" od anche alla Gheddafi, perché essa diventi un fattore - ed essenziale - del fronte strategico unitario di classe, del movimento comunista rivoluzionario, perché essa venga a colpire al cuore l'imperialismo innalzando non l'illusoria bandiera della liberazione nazionale, ma quella del comunismo. Né dieci né cento né mille stragi alla Montparnasse potrebbero rappresentare una via d'uscita per le masse oppresse del Medio Oriente; lo sarebbe invece, e definitiva, la saldatura tra la lotta anti-imperialista di questi paesi congiunta alla lotta sociale interna, attorno ad un partito di classe (come nel caso del P.C. d'Iran in Kurdistan) e la lotta del proletariato metropolitano contro lo stesso nemico. E una tale guerra di classe, a misura che attenterebbe non ad un supermercato, ma al Supermercato stesso della società capitalista, cesserebbe di essere un problema "straordinario" di "ordine pubblico" per il capitalismo per diventare il problema dei problemi, della difesa dell'ordine costituito a tutto raggio. Di fronte alla lotta dei minatori inglesi Madame Thatcher ebbe a dire: "Il nemico è in casa nostra". La ripresa della lotta di classe internazionale, dai minatori del civilissimo Regno Unito alle masse povere dei paesi oppressi, dovrà far dire ai rappresentanti del capitale: "Il nemico è in casa nostra e dovunque; i barbari ci dichiarano ovunque la guerra civile".
Non ci stancheremo mai di affermare che la "colpa" dei popoli oppressi nell'imbracciare male le armi della loro sacrosanta guerra non sta principalmente in essi e meno che mai dipende da un preteso carattere "arretrato" della guerra che essi sono costretti a sostenere di fronte all'imperialismo che da tempo l'ha dichiarata e praticata sistematicamente.
La colpa dei colpi tirati a vuoto, su falsi obiettivi e per fini distorti, sta qui, nell'Occidente, nell'inerzia del proletariato metropolitano, nel suo ritardo a staccarsi dal riformismo "operaio" imperialista ed a porsi sul proprio terreno storico antagonista.
Questo ritardo, queste difficoltà hanno una loro motivazione materiale profonda. Ogni proletario metropolitano, diceva Trotzkij, approfitta, sia pure a livello di briciole, della servitù di una decina di lavoratori del terzo mondo; la democrazia di cui egli gode poggia sul servaggio sistematico di questi lavoratori. Persino all’inizio della crisi generale del capitalismo egli può partecipare ad una quota del banchetto che si consuma sulla pelle delle masse oppresse di questi paesi. A questo tristo privilegio li condizionano i partiti e i sindacati riformisti, bravi magari a predicare "un diverso rapporto Nord-Sud", ma, siatene ben certi!, lontani dall'indicare la strada perché questo rapporto nuovo si possa dare, e cioè l'unità internazionale di classe. A noi comunisti incombe il dovere di preparare una reinversione di lotta, dicendo chiaramente ai proletari: nessuna solidarietà relativa con la "vostra" borghesia potrà salvarvi dalla resa dei conti cui essa è chiamata; gli interessi che essa vi paga andranno sempre più in rosso; il vostro destino è di essere chiamati oggi a produrre sempre di più e meglio ed a più bassa remunerazione per salvarla e di essere gettati domani sui campi di guerra per difenderne e rilanciarne i destini; rompete con la "vostra" borghesia!, le sorti della vostra liberazione stanno con quelle dei popoli oppressi., investite" su questo fronte di classe, perché solo da esso potrà dipendere lo scioglimento in positivo del dilemma "socialismo o barbarie"!
Lavoro difficile, controcorrente. Mentre scriviamo sentiamo le notizie che Le Pen sfila a Parigi, nonostante i "divieti" governativi, a raccogliere la pattumiera della piccola-borghesia arrabbiata e bussando persino alla porte di strati proletari abbrutiti dalle loro direzioni riformiste. Tra un Marchais che va trafelato a presentare a Chirac le proprie credenziali "patriottiche" ed un Le Pen che mobilita la piazza il percorso è continuo. Tra un Natta che trasecola per l’"impudenza" del "folle" Gheddafi e lascia intendere che i "comunisti" sarebbero in prima fila contro nuove aggressioni del tipo Lampedusa ed uno Spadolini che va in Marocco a vendere buone armi made in Italy o gli stati maggiori che presentano alle tavole rotonde di "Mondoperaio" i piani per i "rumori di guerra in Mediterraneo" corre la stessa linea continua. Se questa linea non verrà spezzata, la guerra già in atto sarà di nuovo macello di proletari per gli interessi della borghesia, di nuovo si tornerà a sparare dai fronti fissati dagli interessi che si fronteggiano nel campo interimperialista. Ingaggiare la lotta contro questo sbocco non sarà mai troppo tardi, troppo intempestivo e imprudente da parte nostra!
Nel 1920 l'internazionale Comunista indisse a Bakù un grandioso Congresso dei Popoli d'Oriente (si veda il precedente numero del nostro giornale), per sostenere la "guerra santa" anti-imperialista dei popoli oppressi nella visione di unificazione strategica ditale movimento nell'alveo della rivoluzione proletaria internazionale.
Il disegno di allora non ha da mutare una virgola al suo impianto generale, se non nel senso che quest'esigenza diventa sempre più impellente e sempre più essa trova, nella materialità stessa dei processi economico-sociali, nella stretta interdipendenza tra tutti i paesi del mondo, la base per un unità di fronte nel senso della rivoluzione proletaria mondiale.
Questa finalità è compromessa da quanti, qui nelle metropoli, si limitano ad una larva di "solidarietà" coi "popoli oppressi", il cui significato ultimo è la divisione del movimento internazionale, la consegna del potenziale della periferia alle direzioni piccolo-borghesi (ed è certo più facile e "gratificante" moralmente "aiutare il Nicaragua a sopravvivere" sotto l'imbelle direzione Ortega con l'obolo dedotto dalle briciole dei sovrapprofitti intanto estratti dai paesi oppressi che aiutare il movimento rivoluzionario ingaggiando qui la battaglia contro i tentacoli dell'imperialismo ed appoggiando concretamente là le correnti rivoluzionarie esposte ai colpi repressivi della direzione piccolo-borghese). Si tratta, ben vero, di un impegno spesso sincero, che può anche costituire un "buon inizio"; ma è un impegno umanitario, cristianoide, tipico del pacifismo piccolo-borghese, che deve essere senz'altro superato.
Contro questa finalità sono mobilitati fin d'ora i riformisti di tutte le specie, in prima linea i "comunisti" sotto l'ombrello NATO che si industriano a far intendere a questi paesi che non devono muoversi più di tanto, che gli estremismi vanno repressi, che tutto si può combinare in seno a Santa Madre Borghesia rivedendo un po' i conti in sospeso ed avviando "nuovi rapporti internazionali" (come se davvero essi fossero disposti, quand'anche potessero, a rinunziare all'estrazione dei sovrapprofitti su cui si regge, con la macchina del capitalismo metropolitano, la struttura stessa del riformismo imperialista!).
Eppure, nonostante tutti questi ostacoli, nonostante non esista oggi un Partito Comunista mondiale agente sulla scena storica, Bakù torna a bussare alla nostra porta, riportando dalla periferia la voce della rivoluzione che, negli anni venti, erano stati per primi i proletari delle metropoli a sollevare in tutta la sua grandezza.
Al vertice di Harare dei non-allineati Gheddafi (con cui noi non simpatizziamo, che noi non appoggiamo: diciamolo subito per gli Imposimato così come per certi sospettosi nostri lettori "ultrasinistri") si è fatto bandiera di una lotta sacrosanta, cui manca "solo" una direzione comunista anche nella periferia e la scesa in campo, sotto la stessa direzione, del proletariato metropolitano.
Che lo spettro di Bakù sia risuonato attraverso la voce di un rivoluzionario borghese inconseguente non ci spaventa a mo' di chi teme che gli si rubi il marchio di fabbrica. Rappresenta, al contrario, l'emergenza di un problema oggettivo che sta a noi prendere decisamente a carico.
Cos'ha detto Gheddafi? Delle brucianti verità.
Primo: il non-allineamento non esiste: "Gli Stati Uniti sono contenti di questo movimento, perché è una gran farsa internazionale. Ogni tre anni venite qui da molto lontano, vi sorridete e poi ve ne andate. Questa è una riunione zero. lo sono totalmente allineato: contro gli Stati Uniti, contro Israele e contro la NATO. Mi considero sciolto da questa assemblea che racco glie spie e traditori. Non sono venuto qui a sputtanarmi sedendo a fianco dello Zaire, del Camerun, della Costa d'Avorio e dell'Egitto, che riconoscono Israele. Non sta bene che un rivoluzionario come me sieda con questi fantocci. " OK! Il mondo oggi è totalmente, oggettivamente allineato. Si tratta di prenderne atto e di scegliersi il fronte.
Secondo: l'indipendenza di molti paesi "non allineati" è totalmente formale. I paesi francofoni non sono liberi, non sono sovrani. Sono spie, sono la quinta colonna fra di noi, indegni di sedere in mezzo a noi. Sono la vergogna dell'Africa... Anche le colonie inglesi non sono indipendenti quando sono membri del Commonwealth. Siete proprietà della Gran Bretagna, questo vuoi dire Commonwealth."
Terzo: la lotta anti-imperialista può concepirsi solo nel quadro di un impegno che travalichi i confini del "proprio" popolo, del "proprio" stato, e ne consegue un impegno preciso. "Dobbiamo creare una forza internazionale per la nostra difesa collettiva. Chiederò la creazione di un esercito di decine di migliaia di individui che le portaerei non potranno fronteggiare."
E’ fin troppo facile "prevedere" che questo impegno non potrà essere portato avanti sino in fondo da nessun Gheddafi in quanto lo scatenamento di una lotta di massa sovracontinentale significherebbe la messa in causa della stessa struttura su cui poggia il sistema degli "stati rivoluzionari" dell'area dominata o controllata, cui ogni Gheddafi (per non parlare degli Ortega o delle Aquino) preferisce di gran lunga i rapporti tra stati "amici" con relativi traffici tra borghesie "amiche", ad esclusione di ogni partecipazione in prima persona dei proletari e delle masse sfruttate (da essi stessi). A dimostrazione di ciò sta la prontezza con cui, per fronteggiare gli USA, ci si va a cacciare sotto l'ombrello del Patto di Varsavia (foriero, noi diciamo, di atroci delusioni per le aspettative di questi paesi), al preciso patto di recidere ogni possibile legame rivoluzionario con il proletariato dei Paesi "socialisti", guardati anzi con ostilità quando essi osano ribellarsi (e non c’è dubbio che un Gheddafi sarebbe a fianco degli "amici" del Kremlino contro un'insurrezione operaia interna, così come lo fu a suo tempo Castro).
La nozione stessa di un rapporto rivoluzionario col proletariato metropolitano è ignota a i vari Gheddafi. Giusto. Ma, ripetiamolo, imputiamo soprattutto a noi, proletari delle metropoli, al nostro silenzio, quando non al nostro accodamento ai diktat ed alla propaganda dell'imperialismo, l'assenza di un disegno strategico che da noi e solo da noi dipende. Finché una forza in questo senso non si sarà chiaramente levata in Occidente c'è ben poco da recriminare sul fatto che siano altri, nostri avversari, a sollevare la bandiera di una lotta sacrosanta e sui suoi destini...
Il cerchio si stringe. Nelle Filippine la pallida signora Aquino comincia già a preoccupare i suoi sostenitori-condizionatori USA perché nessuna pacificazione sociale è potuta conseguire alla sostituzione gattopardesca di Marcos per conservare l'essenziale del sistema di dipendenza precedente; nel Pakistan persino una democratica pura come la Buttho turba i sogni dei padrini-padroni del brigante Zia, rappresentante fantoccio di un blocco militare e feudale-agrario dipendente dagli USA; persino il signor Garcia, proprio quello della "ripulitura" delle carceri peruviane, è costretto a sollevare problemi ed a sollevare ipotesi di soluzione inquietanti; ed ovunque i regimi dei fantocci mostrano segni di scricchiolio (a cominciare dall'avamposto avanzato del venduto Mubarak). Ovunque i problemi provocati dalla dipendenza, nella crisi, si moltiplicano e si dilatano ad intiere aree: i "paesi dell'America Centrale", i "paesi dell'America Latina", i "paesi arabi", "i paesi del sud Africa"... i paesi di tutto il mondo oppresso.
A questa lotta non manca il tritolo, non manca la miccia pronta a farla esplodere. Manca il nostro appoggio di classe, manca l'unificazione e la direzione comunista internazionale. Questo vuoto va colmato al più presto, perché non si arrivi alla conflagrazione con il proletariato diviso sui fronti di battaglia segnati dalle proprie borghesie, perché la lotta di liberazione dall'imperialismo del popoli oppressi non si risolva in un immane nuovo tributo di sangue a favore dell'imperialismo stesso, perché la lotta proletaria internazionale. metropolitana sappia sollevare qui e per tutto il mondo la bandiera senza macchia del comunismo