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Che fare n.69 , aprile - maggio 2008

La breccia di Rafah indica di nuovo la via della rivoluzione

La breccia aperta dai palestinesi di Gaza nel muro di Rafah è un avvenimento di grande portata. Non solo perché ha permesso di spezzare il cerchio di ferro con cui Israele Stava cercando di affamare la popolazione. Non solo perché ha, ancora una volta, fornito agli sfruttati del mondo intero l'incoraggiamento a non  cedere ai colpi dell'oppressore. Ma anche perché ha lasciato intravedere quale è la prospettiva in grado di far uscire la lotta di liberazione palestinese dal vicolo cieco in cui l'ha condotta la direzione borghese dell'Olp. Il pacifista israeliano Avnery l'ha intuita con queste parole: "Non si può far nulla restando entro i limiti legali che i nostri nemici hanno imposto; ci vuole una spallata, che si chiama Rivoluzione".                                                                                                                                                                         Proprio così

Cos'ha permesso di ottenere il "realismo" di Arafat e dei suoi successori alla direzione dell'Anp? La trasformazione dei territori occupati da Israele nel 1967 in due enormi prigioni a cielo aperto. Nell'autunno scorso ad Israele sembrava addirittura essere sul punto di dare il colpo finale alla lotta di liberazione palestinese.  A Gaza, si attendeva la resa per sfinimento. Grazie alla collaborazione dell'Anp, la Cisgiordania, annessa da Tel Aviv per oltre il 50%, era ridotta a 11 piccolissimi bantustan accerchiati dai 700 chilometri del Muro dell'apartheid e dai check point israeliani, con la voce dei militanti di base delle stesse organizzazioni dell'Olp imbavagliata per mezzo dei fucili del governo di Fayyad. Intanto Israele aveva dalla "comunità internazionale" il via libero (l'ennesimo) per portare avanti la sua campagna di eliminazione mirata dei quadri delle organizzazioni resistenti entro i Territori Occupati e negli altri paesi. E per proseguire il suo piano di costruzione e di ampliamento delle colonie in Cisgiordania (1). In questo quadro, la prospettiva di realizzare il "Grande Israele", L'Israele senza confini, e di imporre l'olocausto per i settori della popolazione palestinese riottosi ad accettarlo, sembrava poter marciare senza ostacoli: Ai palestinesi pareva non restasse altro che implorare la fine dell'assedio o partire con navi-speranza alla volta dell'Europa, come era iniziato a succedere nell'estate 2007.

Ed invece, come altre volte in passato, la creatività storica delle masse lavoratrici ha indicato la via d'uscita dall'impasse: legare la resistenza alle aggressioni quotidiane dell'esercito e dell'aviazione israeliani allo sfondamento dei confini statali in cui i palestinesi sono stati serrati e cercare aiuto e solidarietà nella regione.

In chi e sulla base di cosa?

Nello stato egiziano e negli altri stati arabi? Impossibile. In questi mesi Mubarak, re Hussein e il monarca di Riyadh sono rimasti a guardare. Peggio. Hanno finanziato il golpe Dahlan organizzato dagli Usa nel 2007 - 2007, non andato a buon fine per il semplice motivo che Hamas ha fiutato il piombo, è riuscita ad anticiparlo e a stroncarlo grazie alla collaborazione o  alla neutralità dei militanti di AL Fatah e delle altre organizzazioni della resistenza palestinese (2). Quanto alla Siria di Assad, basterà dire che Damasco ha accettato di partecipare ad Annapolis, dando la propria disponibilità ad una nuova pace separata con Israele (sulle orme di Sadat) in cambio della restituzione, anche parziale, delle alture del Golan.

Gli stati arabi e le classi dirigenti borghesi che li dirigono non possono agire diversamente perché sono parte integrante dell'attuale assetto economico e statuale dell'area. La lotta del popolo palestinese, invece, ha bisogno di infrangere quest'ordine che lo sta uccidendo. Lo ha mostrato la breccia di Rafah. Senza aprila, cos'altro c'era davanti ai palestinesi se non, al più, la lotta orgogliosa ma inevitabilmente votata alla sconfitta, alla rassegnazione? E non tanto per la forza di Israele preso a sé, minore di un tempo per le sue crescenti contraddizioni sociali interne, quanto per il sistema di alleanze di cui Israele è un tassello, e che ha al suo vertice gli Usa e le potenze capitalistiche europee. La politica di Israele serve, infatti, a sostenere l'espansione del sub-imperialismo di Tel Aviv, ma serve anche, come condizione di esso, a mantenere l'ordine imperialista nella regione. Lo prova, se ancora ci fosse bisogno di prove, la partecipazione dell'UE al blocco internazionale su Gaza messo in atto dopo la vittoria di Hamas e il sostegno offerto al governo collaborazionista di Fayyad. Per battere questo mostro, occorre la forza sprigionata dall'organizzazione e dalla lotta unitaria degli sfruttati di tutto il Medioriente in alleanza con il resto della classe lavoratrice mondializzata. Non può bastare la più eroica delle resistenze dei soli palestinesi.

D'altra parte chi ha collaborato all'apertura della breccia di Rafah? La popolazione sfruttata e oppressa dell'Egitto, che nei giorni di gennaio ha fatto il tifo per i palestinesi, impedendo così a Mubarak di scatenargli contro l'esercito e la polizia. Eccolo l'alleato della lotta palestinese: gli sfruttati dell'Egitto e del Medioriente. Questo alleato è stretto in una cappa di piombo. In Egitto, in Siria, in Giordania, nei paesi del Golfo ... Ma c'è, non è un fantasma. E sta dando prova di sé in iniziative a carattere classista, i cui i lavoratori e i diseredati mediorientali si trovano sistematicamente soli  rispetto ai tradizionali "alleati" borghesi della "propria" nazione. Come in Palestina, in cui lo stato parassita degli accumulatori si è accordato e intende accordarsi con Israele.

La breccia di Rafah, benché aperta sotto la direzione di Hamas, mette nell'angolo un cardine dell'impianto politico di questa stessa formazione palestinese: la conduzione della lotta soltanto entro i confini israelo-palestinesi. Che i militanti palestinesi di Hamas lo intendano fino in fondo, prima che la propria direzione li conduca laddove Arafat, partendo da premesse simili a quelle che sono proprie oggi di Hamas, ha condotto l'Olp. Intendano per tempo che l'imperialismo sta sperimentando che, probabilmente, non può risolvere la questione palestinese con la sola forza e che, per imporre alla direzione di Hamas un compromesso di stampo arafattiano, uno degli elementi su cui giocare è proprio questa sua tendenziale chiusura entro un limitato orizzonte "nazionale". L'Italia di Prodi-D'Alema è in prima fila nella tessitura di questa rete di soffocamento politico.

Verso gli sfruttati ebrei

Da alcune settimane si parla dei preparativi di una nuovo Intifada, la terza, dopo quella dei sassi del 1987-1990 e quella dei martiri del 2000-2004. Ne hanno accennato alcuni commentatori, notando l'effervescenza politica degli ultimi mesi tra i militanti antimperialisti  in Cisgiordania e le impressioni dei soldati israeliani inviati a combattere a Gaza nei mesi scorsi. In Cisgiordania, a marzo, le brigate Martiri di al Aqsa hanno chiesto ad Abu Mazen di licenziare il primo ministro Fayyad, accusato di essere "servo di Israele e degli Usa", pena una rivolta generale contro la sua dirigenza. Nello stesso periodo, in occasione dei funerali dei combattenti uccisi a Betlemme, molti partecipanti hanno sventolato bandiere di Hezbollah e chiesto la ripresa delle azioni armate. Per quanto riguarda Gaza, pur avendo raso al suolo interi caseggiati, nelle spedizioni punitive di febbraio - marzo 2008, Israele ha dovuto registrare "che Tzahal [le forze armate israeliane,n.] non ha ottenuto una netta vittoria. Tornati a casa, i soldati hanno raccontato [al quotidiano israeliano Haaretz,n.] che questa volta hanno trovato di fronte un vero esercito e non le bande disorganizzate delle precedenti incursioni. Hamas, dicono i soldati israeliani, si sta "herzbollizzando" (...) Altra similitudine con la guerra nel sud del Libano : il numero di missili lanciato verso Israele nell'ultimo giorno dell'operazione Inverno Caldo è stato uguale a quello del primo giorno. I missili Grad hanno colpito Ashkelon, una città di 120 mila abitanti, sei volte più grade di Sderot. L'intelligence è sicura che attraverso la frontiera aperta con l'Egitto a Rafah, Hamas sia riuscita a far entrare missili con portata di 40 chilometri, che posso arrivare facilmente a Ashdod, la quinta città di Israele" (l'Espresso, 13 marzo 2008)

Alla masse palestinesi non mancherà la forza di dare slancio alla prosecuzione della loro lotta di liberazione con l'immissione in essa del razzo a portata planetaria costituito dal bilancio politico della "breccia di Rafah". E, su questa base, di mettere a frutto un dato maturato grazie alla propria determinazione: la stanchezza nei confronti della guerra della popolazione di Israele, di cui si avvertono i sintomi nella crescente demotivazione dei riservisti (3), e di cui va sollecitata la maturazione verso la prospettiva della lotta unitaria contro lo stato d'Israele, l'ordine imperialista e i regimi oppressivi arabi nella regione.  Ciò che in questo scontro sta drammaticamente mancando, è la solidarietà dei lavoratori italiani e occidentali a sostegno della lotta dei fratelli di classe palestinesi. A partire dalla denuncia e dalla lotta contro il sostegno economico e militare dei propri stati a Tel Aviv. In Italia siamo arrivati ad assegnare ad Israele, proprio nell'anno della Nakba, il ruolo di ospite d'onore della fiera del libro di Torino del prossimo maggio...

(1) "In sette anni ai palestinesi della Cisgiordania sono state concesse complessivamente 91 autorizzazioni edilizie mentre negli insediamenti colonici israeliani sono state costruite oltre 18472 case" (M. Giorgio, il manifesto, 22 febbraio). (up1)

(2) V. l'articolo pubblicato sul numero di marzo della rivista Vanity Fair dal giornalista D. Rose consultabile sul sito Forum Palestina. (up2)

(3) "Palestina. L'oppressione ora è in appalto" di M. Giorgio su il manifesto dell'8 febbraio. (up3)

Che fare n.69 , aprile - maggio 2008

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