Dal Che Fare n.69 aprile maggio 2008
L’altra Israele
Dall’articolo “Peggio di un crimine” di Ury Avnery (Gush-shalom)
Si pensava che avrebbero subìto in silenzio, ma gli abitanti di Gaza hanno molta
dignità. Hanno votato per Hamas contro la volontà di Israele e dell’America e
hanno espulso la banda collaborazionista di Dahlan. Ora hanno oltrepassato lo
steccato [a Rafah] e questo è stato un buon monito per tutti noi: non si può
fare nulla restando nei limiti legali che i nostri nemici hanno imposto. C’è
bisogno di una spallata, che si chiama Rivoluzione.
Quando i coraggiosi abitanti di Gaza sono tornati indietro, carichi dei loro
fortunati acquisti, pane e riso, sale e biancheria, verdura e carne d’agnello,
gli ebrei si sono sentiti decisamente infelici. I nativi [così A. chiama
giustamente i palestinesi] rischiano di dimenticare che noi siamo Dio per loro:
premiamo e puniamo, nutriamo e affamiamo. Invece di accettare la nostra
sentenza, hanno preso il loro destino nelle proprie mani. Insieme a pane e riso,
gli abitanti di Gaza porteranno a casa fucili, e questo potrebbe costringerci a
rimandare la grande offensiva già concordata con George W. Gli ebrei
preferiscono assalire vittime disarmate.
Anche gli egiziani hanno deluso le aspettative ebraiche. “Penso che gli egiziani
sappiano qual è il loro lavoro”, ha detto l’arrogante generale israeliano Ehud
Barak. Il lavoro che costui aveva affidato all’Egitto era quello di carceriere
dei suoi fratelli palestinesi. “Gli abitanti di Gaza non oserebbero mai rompere
l’assedio verso il Sinai - scrivevano gli eruditi israeliani una settimana o
anche solo un giorno fa - gli egiziani li accoglierebbero col fuoco delle
mitragliatrici”. Quando ci fu una sparatoria, gli israeliani furono felici per
un po’. Effi Eitam, un leader religioso ebreo di destra, che sembra “un ben
nutrito maiale kosher con lo yarmulke [il tipico cappellino ebreo, NdT]” (come
lo descrive Gilad Atzmon) ha scritto su Yediot Ahronot un editoriale grondante
di lacrime di coccodrillo. Noi ebrei siamo così teneri e compassionevoli
rispetto agli egiziani, ha scritto. Ma Mubarak vuole sopravvivere e sa che
esistono limiti oltre i quali non può andare. Ha ordinato ai suoi soldati di non
aprire il fuoco. Gli ebrei hanno frignato che gli egiziani devono rafforzare i
confini e fornire la loro libbra di carne secondo gli accordi. Invano. Mubarak
non vuole seguire Anwar as-Sadat all’inferno. Profondamente contrariati, gli
ebrei hanno guardato questo fiume di persone che usciva dalla loro prigione per
godersi un intervallo. Del resto sono difficili da compiacere, questi ebrei. I
palestinesi devono uccidersi a vicenda in una guerra civile o morire di fame
perché gli ebrei siano soddisfatti.
La madre del soldato Eran
“I funerali di uno dei due israeliani morti a Gaza [nelle spedizioni punitive di
febbraio-marzo, n.] procedevano secondo il rituale militare (…) Ma le parole
dello zio del soldato guastavano l’atmosfera: «Eran, Gaza non è la nostra terra.
Padri, svegliatevi, fermate la catastrofe, non mandate i vostri figli a Gaza».
La madre del soldato era ancora più dura: «Se con la sua morte Eran potesse
garantire che nessun Qassam cadrà più su Sderot, sarei pronta al sacrificio. Ma
i Qassam continueranno a cadere e lui è morto invano. Nessuno sa come risolvere
il problema di Gaza, e allora dicono: mandiamoci qualche soldato, sacrifichiamo
qualcuno al Moloch, forse il suo sangue calmerà la terra. Ho ancora due figli e
non permetterò loro di fare il servizio militare in un paese che non si sa se
abbia ragione o torto»” (l’Espresso, 13 marzo).
Dal Che Fare n.69 aprile maggio 2008
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