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Che Fare n.68 novembre dicembre 2007

Un attacco devastante all’Iran

appare vicino. Da noi, però,

si continua a dormire.

L'ex comandante delle forze Nato in Kosovo, gen. Mini, si è assunto il compito di cominciare a spiegare che cosa sarà (dando per scontato che ci sarà in tempi piuttosto brevi) l’attacco statunitense e israeliano, ma forse anche francese e di altri "volonterosi" guerrieri, all’Iran. E ha avuto il merito di farlo con rudezza e crudezza davvero rare.

I pretesti per l’attacco si troveranno di sicuro, dice. Non ci interessano né riscontri né prove per il pretesto n. 1, la corsa di Teheran verso la bomba atomica (smentita perfino da quel bel tomo di El Baradei): basterà "un’intemperanza o un errore" di Hamas o di Hezbollah, neppure dell’Iran in prima persona, per scatenare uno "sciame di fuoco alla Gengis Khan". Anche l’Europa, l’Europa innamorata cotta della pace, afferma, "si è abituata all’idea che un intervento armato sia in grado di ricacciare l’Iran sulle posizioni di venti anni fa. Sta anche passando l’idea che lo scopo non è tanto [nota bene] o soltanto quello di impedire la formazione di una potenza nucleare, ma quello di eliminare il paese come attore regionale portatore di interessi petroliferi e strategici in tutta l’Asia centro-meridionale". Tutto è pronto, assicura, i piani di attacco sono addirittura "in vigore dal 1979, all’epoca della crisi dell’ambasciata Usa", diciamo meglio: all’epoca dell’insurrezione popolare di massa, "e sono stati aggiornati con nuove tecnologie e strategie". Si tratterà di una guerra "chirurgica" limitata ai soli siti nucleari "senza danni collaterali per la popolazione civile"? Ipotizzarlo è prendersi per i fondelli, sperarlo è "una pietosa fantasia di chi si è ormai abituato a mentire". Bravo! Se non si vuol mentire, e il generale, in vena di sciorinare con freddezza verità terrorizzanti, non ne ha nessuna intenzione (forse è mandato in avanscoperta per vedere "che effetto fa", sugli uni e sugli altri), bisogna riconoscere quanto segue:

"Qualsiasi genere di attacco produrrà ingenti perdite di militari e di civili a prescindere che si inneschi una emergenza nucleare di fall out o una fuga di radiazioni [entrambe messe largamente in conto per effetto del bombardamento dei siti delle ricerche nucleari iraniane]. Qualsiasi attacco non potrà che avere come premessa la distruzione delle strutture difensive: basi aeree e missilistiche, depositi, rampe mobili, porti militari, unità in navigazione, difese contraeree e radar, reparti terrestri mobili e corazzati, centri di comunicazione e di comando e controllo dovranno essere eliminati prima o contemporaneamente all’attacco alle installazioni nucleari. Molte di queste strutture coincidono con i maggiori centri abitati. Facendo la tara ai più sofisticati missili da crociera, alle bombe intelligenti guidate sugli obiettivi da parte dei commandos israeliani e statunitensi già da tempo all’opera in Iran, rimane un margine abbastanza elevato di danni collaterali. Se dovessero essere usate al posto delle bombe ad esplosivo convenzionale ‘bunker blusting’ i mini ordigni nucleari a fissione o le bombe ai neutroni, la percentuale potrebbe aumentare non [tranquilli] non così enormemente come molti asseriscono".

Se per "rispedire il potenziale bellico iraniano all’età della pietra" sarà necessaria qualche "mini"-carneficina atomica, non fate i teneri di stomaco, perdìo! La guerra è la guerra (verissimo)! E fin da ora sappiate che "le orde incaricate della distruzione fisica degli obiettivi devono integrarsi e concentrarsi sui bersagli con le orde virtuali [nota bene] delle azioni diplomatiche, della guerra psicologica e con quelle della manipolazione dell’informazione". Nessuno, quindi, potrà dire: "non lo sapevo", "mi hanno ingannato". Più chiari di così non si poteva essere: sta per partire uno sciame di menzogne prefabbricate da far impallidire quelle confezionate per la guerra all’Iraq. E l’obiettivo di una tale manipolazione – che sollievo sentir chiamare le cose con il loro nome – non sarà solo quello di schierare a sostegno della guerra le popolazioni occidentali. C’è un obiettivo ulteriore di grandissima importanza: "creare una emergenza umanitaria che consenta l’intervento di organizzazioni internazionali [leggi, occidentali] in territorio iraniano. Ovviamente la catastrofe [poiché di questo si tratterà] deve essere attribuita alla responsabilità degli stessi iraniani. Anche in questo campo tutto è ormai pronto o quasi, soprattutto dopo l’esortazione di Kouchner [esperto in simili ributtanti operazioni "umanitarie" da lunghi decenni, e non scelto a caso da Sarkozy a quel che pare]. Agenzie internazionali e organizzazioni non governative [ossia: del tutto agli ordini dei propri governi] stanno già scalpitando per andare in Iran a togliere il velo alle donne [anche Benito Mussolini mandò l’Italia in Etiopia per liberare le donne tenute in schiavitù]. Se si darà loro la possibilità di intervenire per raccogliere i rifugiati, curare i feriti, fare la conta dei morti e indire una tornata di elezioni al mese [magari con la Bonino candidata alla presidenza della repubblica], ci sarà la gara per portare la democrazia in Iran", dopo aver distrutto le possibilità di sviluppo di questa nazione per un tempo immemorabile.

Mettere in ginocchio militarmente l’Iran, isolarla sul piano diplomatico e dell’opinione pubblica, e poi invaderla con uno sciame di cavallette "democratiche" inviate a divorare tutto il divorabile della sua storia, della sua dignità, della sua cultura. Per poter risucchiare senza più intoppi di "orgoglio nazionale" il suo petrolio, il suo lavoro, il succo vitale delle sue donne. Generale, manca qualcosa alla tua confessione-verità. Mancano, e non a caso, le classi sfruttate di questo grande paese. Questo altro, decisivo, pezzo di verità ebbe a gettarlo sul piatto due anni fa, al momento di un’improvvisa accelerazione della stretta sull’Iran, Giuliano Ferrara, altro accanito banditore dell’inevitabilità di questa guerra quando spiegò ai suoi che il pericolo insito nell’elezione di Ahmadinejad non era nel "personaggio" in sé, né tanto meno nella "repubblica islamica" in quanto tale, strapiena, specie ai suoi vertici, di collitorti pronti al compromesso e anche alla compromissione con l’Occidente; il vero grande pericolo era (ed è) costituito dalla "piazza islamica", dalle "masse in movimento" (sono parole sue) dell’Iran e degli altri paesi islamici, piene di odio anti-occidentale. Il vero problema con cui vanno fatti i conti in Iran e in tutto il mondo islamico (dopo l’insurrezione del 1979) è, citiamo ancora, "il fascino maledetto della rivoluzione" tra gli sfruttati (Il foglio, 2 novembre 2005). Che in Iran ha una storia, una grande storia che precede e oltrepassa in ogni direzione il movimento e l’ideologia islamica.

Siamo, quindi, inequivocabilmente, alla campana dell’ultimo giro per la nuova aggressione all’Iran. Anche i più increduli se ne facciano capaci. Nonostante questo, qui non si muove foglia. Nel migliore dei casi, si è convinti che la cosa non ci riguarda; nel peggiore, che "ci" convenga. Lo si vedrà quando i contraccolpi di questa nuova aggressione torneranno qui come un boomerang. È stato così con la distruzione della Jugoslavia e con la devastazione dell’Iraq. Sarà ancor più così a questo nuovo giro.

Che Fare n.68 novembre dicembre 2007

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