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Donne, 194 e tutto il resto:
per non tornare nel silenzio!
Francesca è un’impiegata in un call center con un bimbo di un paio d’anni nel passeggino. Marta, una studentessa-lavoratrice. Le abbiamo incontrate a Milano il 14 gennaio. Le aveva raggiunte il tam-tam per la manifestazione contro il tentativo del governo Berlusconi di rivedere in peggio la legge 194. Francesca e Marta hanno portato in piazza il loro "no", anche attraverso un piccolo cartello sarcastico verso i sedicenti "amici della vita". E con esso, hanno portato in piazza la loro rabbia sorda per una complessiva condizione di vita e di lavoro via via più insoddisfacente e incerta. Quante volte questa rabbia l’avevano ricacciata indietro! Quante volte avevano fatto ricadere su di loro la responsabilità delle difficoltà a costruire per sé un’esistenza più gratificante e un futuro meno nebuloso! E che gioia invece, quel 14 gennaio, per la scoperta che altre decine di migliaia di donne, ciascuna a modo suo, stavano vivendo lo stesso destino, anche loro attribuendolo alla loro presunta inadeguatezza!
Sta qui il più rilevante risultato della manifestazione di Milano: sta nell’aver iniziato ad incrinare la cortina di silenzio che, inavvertitamente, negli anni è stata fatta calare sulla condizione di Marta e Francesca davanti agli occhi delle stesse protagoniste.Cosa è riemerso dall’underground? Quali giornate? Quali umiliazioni? Quali ansie? Parte da qui l’articolo che segue, frutto anche delle tante discussioni che le militanti e i militanti della nostra organizzazione hanno intessuto con le Marta e le Francesca e anche con i non pochi Giovanni presenti alla manifestazione di Milano e in alcune delle assemblee preparatorie. Partiamo da qui, ma proviamo a non fermarci qui. Proviamo ad affrontare le domande chiave che quegli interrogativi hanno resuscitato: da dove nasce questo arretramento generale della condizione femminile nell’Occidente capitalistico avanzato? come può essere arginato e ribaltato? come impedire che dopo quella giornata si riscivoli nel silenzio?
Vogliono Francesca di nuovo sola.
Negli scorsi mesi vi è stato un piccolo risveglio della protesta delle donne innescato dalle continue campagne del Vaticano e dalla promozione da parte del governo Berlusconi di un’ "indagine" sull’applicazione della 194. L’"indagine" aveva l’obiettivo di dare maggiore agibilità alle associazioni anti-abortiste e di giustificare la riduzione dei consultori. Obiettivo "anticipato" da un progetto regionale del Veneto che prevede la presenza e la propaganda di queste associazioni anche negli ospedali, prescrivendo sanzioni e revoca dell’autorizzazione a praticare l’interruzione di gravidanza per le strutture inadempienti.
Nel suo "particolare" la questione dell’aborto è un caleidoscopio della condizione femminile. Nessuna donna sceglie "liberamente" di abortire. Quando lo fa, vi è costretta per evitare guai maggiori. Guai maggiori, perché, diversamente dalle rappresentazioni ufficiali, l’oppressione femminile in Occidente continua, seppure in forme mutate. L’organizzazione sociale votata al profitto scarica sulla donna il faticoso lavoro legato alla riproduzione della specie. La maternità è snaturata dalla sua valenza sociale e ridotta a questione privata. Le giovani generazioni subiscono la morsa della precarietà del lavoro e del ricatto "o il lavoro o i figli". Le esigenze connesse alla maternità sono sempre più in contrasto con gli imperativi e i ritmi di lavoro e di vita. Un contrasto senza soluzioni in questa società, che ripropone alle donne la doppia schiavitù del lavoro domestico e dello sfruttamento differenziale nel mercato del lavoro, pretendendo che nell’uno e nell’altro campo si rassegnino a diventare delle campionesse della flessibilità totale. Un contrasto che colpisce ancora di più le tante donne che vivono sole con i figli, e in modo particolare le donne immigrate, spesso separate e allontanate dai propri affetti proprio dalla necessità di lavorare e sulle quali viene scaricato in parte il lavoro domestico delle famiglie occidentali.
Le lotte delle donne e del movimento operaio avevano conquistato negli anni passati piccoli argini contro questa tenaglia, come ad esempio alcuni servizi per socializzare in minima parte le responsabilità familiari, la legge 194 per non morire di aborto. Francesca era un po’ meno sola. Meno sola tra le mura domestiche e meno sola e debole di fronte al padrone, al mercato e alle sue leggi, al sesso maschile. Oggi il tritacarne capitalistico ha bisogno che le donne stiano al loro cospetto senza uno schermo protettivo collettivo. Francesca deve tornare ad essere totalmente sola. Ma non "solo" di questo si tratta. L’Occidente va alla guerra e Francesca deve fare la sua parte. Non solo al fronte e sul posto di lavoro. Ma anche a casa: per incrementare la procreazione di una sempre più esangue e sterile "razza occidentale" (ad esigerlo, da ultimo, il cardinale Ruini); per sostenere interamente con il suo lavoro la cura dei famigliari, senza obbligare la collettività ad "inutili" spese in "inutili" servizi sociali; per puntellare la funzione conservatrice della famiglia nucleare patriarcale di cui lei deve tornare ad essere "volontaria" vittima e, insieme, cemento.
Alla radice dell’attacco alla donna in Occidente ci sono, dunque, le stesse ragioni che spingono le direzioni aziendali, i centri finanziari, i governi e gli stati d’Occidente ad attaccare i proletari e, con violenza moltiplicata, i popoli dell’Est e del Sud del mondo. Ne è una prova il fatto che l’attacco alle legislazioni di tutela sull’aborto viene portato avanti dai governi di tutto l’Occidente. L’istituzione-Chiesa è solo uno degli alfieri di questo attacco. E Anche le istituzioni dello "stato laico" vi sono coinvolte in prima persona e sarebbe suicida assumerle come alleate delle donne. Anche quando si presentano come tali, come accade con le campagne degli stati occidentali contro le donne immigrate di fede islamica sulla questione del velo, le istituzioni statali occidentali hanno di mira ben altro: puntano a giustificare le aggressioni imperialiste ai popoli, agli sfruttati e alle donne del mondo musulmano, a scavare una distanza tra le donne occidentali e quelle del mondo musulmano.
Appena un primo passo e subito uno stop
La manifestazione di Milano e le assemblee che l’hanno preparata hanno rappresentato una prima, limitata, reazione a questo attacco. La nostra organizzazione vi ha partecipato e, sia pur con le nostre limitatissime forze, abbiamo cercato di favorire l’emersione di un indirizzo classista che mirasse a dare continuità alla mobilitazione e che contrastasse la prospettiva, fin da subito evidente, di una totale delega in chiave elettorale al governo della coalizione di centro-sinistra. La quale, lo abbiamo ricordato più volte, in passato ha fatto la sua parte per intero contro la donna e promette di continuare a farla, nel mettere sopra ogni cosa le ragioni del mercato, nel mantenere la precarizzazione e la flessibilità del lavoro, nell’accogliere politiche di "pari opportunità" del tipo del lavoro notturno per le donne, nel mostrare accondiscendenza ai progetti di revisione della 194.
Nella prima fase della mobilitazione sono emerse riflessioni e richieste suscettibile di favorire il rafforzamento di una solida iniziativa di lotta, per quanto ancora minoritaria. L’aver individuato nella denuncia che l’attacco del governo Berlusconi alla 194 rappresenta un’intimidazione nei confronti soprattutto delle giovanissime e delle "straniere", l’aver denunciato la maternità senza diritti e la precarietà come il contraccettivo del futuro, l’aver richiesto la partecipazione maschile non per mera solidarietà ma come parte in causa, non segnando l’iniziativa in senso separatista e registrando un’effettiva partecipazione di uomini nella manifestazione di Milano, la spinta a ricomporre le differenze tra i generi e le generazioni, tutti questi sono elementi positivi. Che richiedevano di essere chiarificati e sviluppati ulteriormente per potere rafforzare quelle energie che avevano "ripreso la parola", per organizzarle sul piano politico in vista dell’estensione della mobilitazione diretta, per imporre le ragioni delle donne al nuovo governo attraverso lo sviluppo di un ampio movimento di lotta.
È stato fatto questo? Si è tentato di andare in tale direzione? Assolutamente no. A Milano abbiamo ripreso la parola, a Napoli abbiamo sussurrato e… poi il silenzio. Come mai? Cosa ha fatto sì che questo movimento, neanche il tempo di vedere la luce, e già si è disperso? L’aver fatto pienamente proprie le scelte elettorali, istituzionali e stataliste (laiciste) ha inevitabilmente portato a favorire una smobilitazione della piazza e a funzionalizzare ogni energia alla futura scadenza elettorale.
Subito dopo la manifestazione di Milano con crescente insistenza voci "autorevoli" si sono spese nelle assemblee per indirizzare la discussione e l’iniziativa verso l’interlocuzione con i candidati dell’Unione, contrastando le poche voci che volevano andare avanti sul terreno della mobilitazione di piazza. Con l’occhio rivolto all’urna, le presidenze hanno puntato, senza in verità incontrare grandi ostacoli nelle platee, a incanalare l’iniziativa in un lavoro al chiuso, privo di qualsiasi proiezione verso la massa delle donne -figuriamoci poi dell’insieme degli sfruttati-, orientato solo ad ottenere ascolto dai rappresentanti del centrosinistra alle prese con liste e programmi. Secondo questa linea da binario… morto, si sono lasciate cadere le proposte di fare dell’otto marzo una giornata di ripresa dell’iniziativa delle donne (era stato proposto anche di caratterizzare l’otto marzo contro la guerra in Iraq), e si è scelto invece di dedicarlo all’incontro con i candidati e le candidate del centro-sinistra, depennando i punti più caratterizzati della propria piattaforma quali la precarietà e l’attacco alle donne immigrate, e senza neanche fare una seria pressione sugli eleggibili per vincolarli alle proprie condizioni, usando al contrario la massima cautela per non compromettere le "necessità elettorali".
Infatti, per vincere nelle urne, è il "centro moderato" che va conquistato, quindi –viva il "realismo"– è meglio attutire e mettere la sordina" alle proprie rivendicazioni. Ciò vale tanto per il movimento dei lavoratori, quanto per quello delle donne. Questo "serviva", e questo è stato fatto, con piena convinzione anche nella massa che si è mobilitata e non solo nelle attuali direzioni. Le conseguenze di una tanto "concreta" politica non tarderanno a farsi sentire. Guardiamo al recente passato. Ad ogni nostro silenzio è corrisposta un’azione sempre più arrogante del nostro nemico. È di questo che occorre prendere atto per cominciare a reagire -non sarà mai troppo tardi- a questa micidiale impostazione che oggi ammorba le lotte di ogni settore degli sfruttati, non delle donne soltanto. Per dirne solo una: l’aiuto economico proposto dalla Turco alle donne in difficoltà che non interrompono la gravidanza non mira anch’esso al consenso femminile verso le politiche familiariste che puntano a ricacciare indietro la generale condizione della donna?
Da dove riprendere?
Innanzitutto dalle questioni poste al sorgere della mobilitazione e poi lasciate cadere. Dal loro approfondimento, dal cominciare a risalire dagli effetti alla causa, il sistema capitalistico, che determina l’oppressione crescente della donna. Non ci si deve far paralizzare dalla presenza del governo dell’Unione, dal vedere in esso qualcosa per la cui sopravvivenza bisogna legarsi le mani, ma occorre incominciare a prepararsi ad una battaglia contro le sue prossime mosse politiche.
Occorre darsi proprie organizzazioni di lotta e svolgere un’azione di denuncia e propaganda rivolta alla massa delle donne, delle lavoratrici, delle immigrate. Le quali non sono "straniere", ma parte integrante di questa lotta, cui non faranno mancare le loro energie se noi prenderemo in carico le loro rivendicazioni, se sapremo opporci alla propaganda imperialista che si presenta come tutrice della donna islamica per giustificare l’aggressione ai popoli del Sud del mondo.
Quest’azione deve farsi carico di rivolgersi anche ai proletari maschi affinché si sentano parte in causa dell’attacco rivolto alle donne e affinché percepiscano che i privilegi di cui godono come sesso sono la misera ricompensa che l’attuale società capitalistica regala loro per la mancanza di pienezza e lo stravolgimento della relazione umana tra uomini e donne. Perché sostengano la ripresa della lotta delle donne e la sua piena integrazione in quella più ampia del proletariato tutto.
Serve un’azione costante, anche attraverso un lavoro di piccoli nuclei, che prepari il terreno al ritorno al protagonismo di massa delle donne, all’intreccio di esso con la ripresa delle altre iniziative di lotta degli sfruttati, per una battaglia comune contro l’attacco ai servizi sociali, contro la precarietà del lavoro, contro l’oppressione differenziale della donna, contro le guerre "umanitarie" condotte contro i popoli dell’Est e del Sud del mondo.
Quest’azione non può saltare il compito di dotarsi di un’altra politica e di una vera alternativa, affinché gli sfruttati ricomincino a vivere la necessità del proprio partito politico, per una società, il comunismo, alternativa al capitalismo e non subordinata al mercato e alle sue leggi, per poter conquistare, attraverso la socializzazione dell’economica domestica, la liberazione della donna e la riproduzione della specie come responsabilità sociale collettiva di uomini e donne.
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA
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