La rete 28 aprile
Dinanzi al convergere di "Lavoro e società" verso un abbraccio unitario e blindato con la maggioranza, vari delegati si sono posti il problema di come dar vita e mantenere un’opposizione di sinistra all’interno della CGIL. E’ in questo contesto che ha visto la luce la "rete 28 aprile".
Non vogliamo entrare qui nel merito della, non brillantissima e non certo priva di significato, vicenda che ha portato quest’area dall’ipotesi di un proprio documento congressuale alternativo all’appoggio di due singole tesi-emendamenti presentate dal segretario della FIOM Rinaldini. Al di là di ciò, infatti, una serie di tematiche sollevate sono effettivamente importanti per la ripresa di un sindacalismo militante (come lo sono, del resto, i problemi sollevati da Rinaldini), ma per avere gambe queste specifiche tematiche debbono richiamare ad una specifica politica di classe.
Giustamente l’area "28 aprile" si pone il problema di come porre un argine alla subalternità politica e di iniziativa della CGIL di fronte ad un eventuale governo di centro-sinistra e come impedire ogni possibile nuovo (e peggiorativo) patto concertativo tra governo, Confindustria e sindacati. A tal fine oltre a chiedere l’abrogazione delle norme introdotte da Berlusconi e a denunciare le responsabilità dei precedenti governi dell’Ulivo, avanza la necessità di una politica fortemente rivendicativa: reintroduzione di una specie di scala mobile, riduzione generalizzata dell’orario di lavoro, trasformazione dei contratti di lavoro precario in contratti a tempo indeterminato, etc.
Bene, ma dall’orizzonte della "rete" scompaiono gli elementi di fondo con cui, volenti o nolenti, ci si trova oggi ad impattare. Come si può, ad esempio, pensare ad una coerente azione di difesa e, addirittura, di miglioramento dei diritti e delle condizioni proletarie senza fare i conti con la concorrenza internazionale? Ed in che modo un sindacato di classe deve affrontare questo materialissimo problema?
L’asse di un lavoro per lo sviluppo di una "politica sindacale di classe" non può centrarsi esclusivamente sulla pur giusta rivendicazione di una vera democrazia sindacale e sulla altrettanto giusta denuncia di ogni possibile ritorno (ritorno?) ad una politica concertativa. Un simile lavoro non ha gambe senza che si metta innanzitutto al centro la necessità di una proiezione organizzata verso i lavoratori europei, asiatici e di ogni dove. Senza che si inizii a dibattere e a ragionare sul serio su come si possa e si debba veicolare tale necessità tra i lavoratori e nelle loro mobilitazioni.