Lettere: dall’Ortomercato di Milano
I capi di uno stesso filo da riannodare
Siamo ben lieti di far conoscere attraverso questa lettera un’esperienza di lotta di cui poco si è parlato. Tanto più perché minacce e ricatti pesanti continuano a piovere sui lavoratori e sui delegati che la hanno animata e diretta. Ad essi va la nostra solidarietà, per modesta che possa essere fattualmente.
Il significato di questa lotta è tutt’altro che circoscritto. Perché ha avuto ed ha al suo centro una esigenza comune alla gran parte dei lavoratori in Italia (e non solo): l’azione di contrasto al lavoro in nero. Ma anche perché con la sua intensità ha fatto emergere, se non altro nel lavoratore, nel compagno che ci scrive, un bisogno politico che riguarda l’intera classe lavoratrice: il bisogno del partito rivoluzionario di classe.
È successo anche altre volte, nelle lotte più vive, che affiorasse (anche solo provvisoriamente) una tale esigenza. Questo bisogno sta incominciando a riemergere a misura che si vanno sempre più riducendo gli spazi riformistici in grado di soddisfare le urgenze immediate della classe lavoratrice senza mettere in discussione gli imperativi del profitto. Ed in quanto i lavoratori, nei loro conflitti con il capitale, avvertono sempre più lontani ed estranei da sé (per le tematiche affrontate, per le priorità assunte, per il personale fisico agente) i partiti che ad essi si sono tradizionalmente rivolti e in cui si sono finora riconosciuti.
La conseguenza di questa situazione è duplice. Da un lato, i lavoratori si stanno venendo a trovare via via più "scoperti" sul versante dell’espressione politica, e cioè complessiva, dei loro interessi. Dall’altro lato, a coprire questo "vuoto" si stanno impegnando formazioni borghesi "nuove", quali la Lega o i raggruppamenti della destra "sociale" che, senza essere in nulla e per nulla alternativi al capitalismo, si presentano però con una tematica, un linguaggio, dei "volti", che hanno una certa attrattiva sui proletari disillusi dal riformismo storico proprio per il loro presunto "anti-capitalismo". Queste formazioni amano non a caso presentarsi come forze "rivoluzionarie". Non a caso perché l’acutizzazione del contrasto tra capitale e lavoro è ormai tale, specie nella sua dinamica, da richiamare l’esigenza di una lotta decisa, di una lotta rivoluzionaria, appunto, contro il capitalismo in quanto tale. Non vogliamo dire che tale lotta sia già oggi all’ordine del giorno, ma solo che essa necessariamente tornerà all’ordine del giorno, ed i lavoratori capaci di guardare più lontano già, in qualche modo, la presentono, avvertendo anche che per prepararsi a questo evento è indispensabile "costruire" una "casa comune dei lavoratori".
Siamo d’accordo con il compagno che ci scrive: questo "focolare" ci è assolutamente necessario! E non potrà prendere corpo nel "puro" mondo delle idee, ad opera di "gruppi comunisti" intenti a coltivare la propria autosufficienza. Anche per noi esso potrà svilupparsi solo nella connessione tra i nuclei comunisti (di necessità, oggi, sparuti) e gli attuali pur primordiali livelli di iniziativa dei lavoratori, solo confrontandosi con le richieste espresse dalle fiammate di lotta che d’improvviso si determinano. Ad esempio la situazione all’Ortomercato descritta nella lettera richiede di rispondere ad una domanda cruciale: come si può lottare efficacemente contro gli effetti della concorrenza impulsata dalle direzioni aziendali tra lavoratori "garantiti" e precari, tra lavoratori italiani e immigrati? Una tale questione rimanda immediatamente alla mondializzazione del mercato del lavoro e alle politiche con cui il capitale sta costituendo un enorme esercito industriale di riserva planetario da scagliare contro i lavoratori occupati. Ma fare i conti sul serio con simili processi comporta di necessità il dover affrontare il nodo della lotta contro il capitalismo come sistema, il nodo del programma e dell’organizzazione di classe, pena la dispersione di generose energie proletarie nei vicoli ciechi dell’aziendalismo.
Oggi la massa dei lavoratori tende a scansare i compiti politici sollevati dalla sua condizione, dalle sofferenze e dalla rabbia che gli si vanno accumulando dentro. Ma sarà lo stesso processo di polarizzazione sociale che il capitale alimenta a spingere i lavoratori oggi semi-narcotizzati a porsi -nel vivo degli scontri a cui non potranno sfuggire- i compiti che al presente volentieri eludono. E nel porseli, essi dovranno e potranno giovarsi dell’apporto di quei nuclei di comunisti che alla ripresa della lotta rivoluzionaria preparano da tempo il terreno.
L’Oci è fiera di essere uno di questi. Ciò che ci distingue è lo sforzo di fare nostro integralmente il patrimonio di dottrina e di esperienza del proletariato mondiale per innestarlo nella materia vivente delle lotte messe in campo dalla massa dei lavoratori. Ciò che ci distingue è la ferrea convinzione che tra ripresa della classe e ripresa del partito e della teoria rivoluzionaria non c’è alcun dualismo: esse stanno e progrediscono insieme, o insieme cadono, in quanto due momenti dello stesso movimento antagonistico al capitale.
Per questo, una parte importante della nostra attività politica consiste nel favorire l’informazione e la socializzazione delle lotte in Italia e nel mondo, nel farne il bilancio e riportarne le lezioni alla più vasta massa di lavoratori. Scontiamo in questo intervento verso la massa sclerosi e debolezze? Sì. Debole è l’iniziativa proletaria spontanea, debole è oggi, purtroppo, anche l’organizzazione comunista. Il percorso di rafforzamento sarà un percorso comune, di avvicinamento e di elevamento comune, da portare avanti su piani distinti e interconnessi, e con il massimo degli sforzi rivolto verso le nuove generazioni proletarie, le protagoniste del futuro corso di ripresa e della classe e del partito.
Siamo ben lieti di far conoscere attraverso questa lettera un’esperienza di lotta di cui poco si è parlato. Tanto più perché minacce e ricatti pesanti continuano a piovere sui lavoratori e sui delegati che la hanno animata e diretta. Ad essi va la nostra solidarietà, per modesta che possa essere fattualmente.
Il significato di questa lotta è tutt’altro che circoscritto. Perché ha avuto ed ha al suo centro una esigenza comune alla gran parte dei lavoratori in Italia (e non solo): l’azione di contrasto al lavoro in nero. Ma anche perché con la sua intensità ha fatto emergere, se non altro nel lavoratore, nel compagno che ci scrive, un bisogno politico che riguarda l’intera classe lavoratrice: il bisogno del partito rivoluzionario di classe.
È successo anche altre volte, nelle lotte più vive, che affiorasse (anche solo provvisoriamente) una tale esigenza. Questo bisogno sta incominciando a riemergere a misura che si vanno sempre più riducendo gli spazi riformistici in grado di soddisfare le urgenze immediate della classe lavoratrice senza mettere in discussione gli imperativi del profitto. Ed in quanto i lavoratori, nei loro conflitti con il capitale, avvertono sempre più lontani ed estranei da sé (per le tematiche affrontate, per le priorità assunte, per il personale fisico agente) i partiti che ad essi si sono tradizionalmente rivolti e in cui si sono finora riconosciuti.
La conseguenza di questa situazione è duplice. Da un lato, i lavoratori si stanno venendo a trovare via via più "scoperti" sul versante dell’espressione politica, e cioè complessiva, dei loro interessi. Dall’altro lato, a coprire questo "vuoto" si stanno impegnando formazioni borghesi "nuove", quali la Lega o i raggruppamenti della destra "sociale" che, senza essere in nulla e per nulla alternativi al capitalismo, si presentano però con una tematica, un linguaggio, dei "volti", che hanno una certa attrattiva sui proletari disillusi dal riformismo storico proprio per il loro presunto "anti-capitalismo". Queste formazioni amano non a caso presentarsi come forze "rivoluzionarie". Non a caso perché l’acutizzazione del contrasto tra capitale e lavoro è ormai tale, specie nella sua dinamica, da richiamare l’esigenza di una lotta decisa, di una lotta rivoluzionaria, appunto, contro il capitalismo in quanto tale. Non vogliamo dire che tale lotta sia già oggi all’ordine del giorno, ma solo che essa necessariamente tornerà all’ordine del giorno, ed i lavoratori capaci di guardare più lontano già, in qualche modo, la presentono, avvertendo anche che per prepararsi a questo evento è indispensabile "costruire" una "casa comune dei lavoratori".
Siamo d’accordo con il compagno che ci scrive: questo "focolare" ci è assolutamente necessario! E non potrà prendere corpo nel "puro" mondo delle idee, ad opera di "gruppi comunisti" intenti a coltivare la propria autosufficienza. Anche per noi esso potrà svilupparsi solo nella connessione tra i nuclei comunisti (di necessità, oggi, sparuti) e gli attuali pur primordiali livelli di iniziativa dei lavoratori, solo confrontandosi con le richieste espresse dalle fiammate di lotta che d’improvviso si determinano. Ad esempio la situazione all’Ortomercato descritta nella lettera richiede di rispondere ad una domanda cruciale: come si può lottare efficacemente contro gli effetti della concorrenza impulsata dalle direzioni aziendali tra lavoratori "garantiti" e precari, tra lavoratori italiani e immigrati? Una tale questione rimanda immediatamente alla mondializzazione del mercato del lavoro e alle politiche con cui il capitale sta costituendo un enorme esercito industriale di riserva planetario da scagliare contro i lavoratori occupati. Ma fare i conti sul serio con simili processi comporta di necessità il dover affrontare il nodo della lotta contro il capitalismo come sistema, il nodo del programma e dell’organizzazione di classe, pena la dispersione di generose energie proletarie nei vicoli ciechi dell’aziendalismo.
Oggi la massa dei lavoratori tende a scansare i compiti politici sollevati dalla sua condizione, dalle sofferenze e dalla rabbia che gli si vanno accumulando dentro. Ma sarà lo stesso processo di polarizzazione sociale che il capitale alimenta a spingere i lavoratori oggi semi-narcotizzati a porsi -nel vivo degli scontri a cui non potranno sfuggire- i compiti che al presente volentieri eludono. E nel porseli, essi dovranno e potranno giovarsi dell’apporto di quei nuclei di comunisti che alla ripresa della lotta rivoluzionaria preparano da tempo il terreno.
L’Oci è fiera di essere uno di questi. Ciò che ci distingue è lo sforzo di fare nostro integralmente il patrimonio di dottrina e di esperienza del proletariato mondiale per innestarlo nella materia vivente delle lotte messe in campo dalla massa dei lavoratori. Ciò che ci distingue è la ferrea convinzione che tra ripresa della classe e ripresa del partito e della teoria rivoluzionaria non c’è alcun dualismo: esse stanno e progrediscono insieme, o insieme cadono, in quanto due momenti dello stesso movimento antagonistico al capitale.
Per questo, una parte importante della nostra attività politica consiste nel favorire l’informazione e la socializzazione delle lotte in Italia e nel mondo, nel farne il bilancio e riportarne le lezioni alla più vasta massa di lavoratori. Scontiamo in questo intervento verso la massa sclerosi e debolezze? Sì. Debole è l’iniziativa proletaria spontanea, debole è oggi, purtroppo, anche l’organizzazione comunista. Il percorso di rafforzamento sarà un percorso comune, di avvicinamento e di elevamento comune, da portare avanti su piani distinti e interconnessi, e con il massimo degli sforzi rivolto verso le nuove generazioni proletarie, le protagoniste del futuro corso di ripresa e della classe e del partito.
lettera: "Dare una casa ai lavoratori..."
Centoquaranta imprese di grossisti ortofrutticoli, tutte rigorosamente attente a rispettare il non superamento della quota dei 15 dipendenti (al caso si sopperisce con soci lavoratori, pensionati, lavoro nero ecc.). Centosessanta imprese di produttori diretti, cioè di imprenditori autorizzati a vendere solo merce di produzione propria,con ridotta presenza di lavoratori dipendenti. Una presenza di cooperative di soci lavoratori che prestano lavoro alle imprese dei grossisti. Alle tre cooperative "storiche" la C.L.O. (cooperativa lavoratori ortomercato), la CO.TI.M (cooperativa trasporti interni), la Nuova Ausiliaria, che nell’insieme occupano nell’area dell’ortomercato circa 250 soci lavoratori, si sono aggiunte, negli ultimi anni, altre micro cooperative e micro imprese di carattere banditesco, nate per promuovere attività di caporalato e di sfruttamento vampiresco del bisogno di lavoro.
Forte presenza di lavoratori immigrati provenienti in particolare dall’Africa Occidentale, dall’Europa dell’Est e dall’Asia.
Un’area dove ogni giorno circolano dalle 9.000 alle 10.000 persone. Un’area dove affluiscono in media 400 camion al giorno. L’area è di proprietà del comune di Milano, che la gestisce attraverso una società pubblica la SO.GE.MI., società titolata al governo dell’Ortomercato e al rilascio delle concessioni ad operare agli imprenditori. Dunque una serie di rapporti con il potere politico locale che nomina i vertici della SO.GE.MI. Ne deriva una serie di connivenze, di complicità, di intrecci affaristici al cui interno la voce dei lavoratori non ha alcun peso.
Questo sommariamente descritto è l’alveare umano che risponde al nome di Ortomercato di Milano.
Lavoratori e soci lavoratori
Sono 2.000 gli operai, gli impiegati e i soci lavoratori presenti nell’area Ortomercato. La loro condizione di vita si è venuta fortemente deteriorando nell’ultimo decennio.
La "concorrenza" tra lavoratori nella ricerca di occupazione si è fortemente accentuata. È stata gestita attraverso la nascita di micro imprese dedite al collocamento di forza lavoro a prezzi inferiori a quelli in uso o governata direttamente dagli imprenditori grossisti attraverso l’uso di lavoro nero o l’assunzione alle più basse qualifiche contrattuali e, contemporaneamente, con l’eliminazione sostanziale di quel pezzo di salario di fatto che, sotto il nome di "porture", integrava quotidianamente il salario dell’operaio dell’ortomercato. Tutto questo ha portato a un forte deprezzamento del lavoro operaio.
Nella stessa tornata di tempo, la realtà delle imprese cooperative si è venuta profondamente trasformando. Esse operano in una pura logica capitalistica in cui lo scopo mutualistico è stato tradito e negato. La gerarchia che tende ad autoperpetuarsi è il "padrone" che trae sostanziali emolumenti dalla vita della cooperativa e che si slega dal lavoro operativo. Dall’altro lato i soci di base sono ridotti peggio dei lavoratori dipendenti dalle imprese private. Sotto l’aspetto occupazionale, se ancora 6-7 anni orsono la ricollocazione di un lavoratore era facilmente risolvibile, oggi è diventata una delle fonti di maggiore preoccupazione; è difficile rioccuparsi e ci si rioccupa a condizioni peggiori di quelle di partenza.
Questi fattori che caratterizzano la vita del lavoratore dell’Ortomercato, si inseriscono in una più generale condizione di degrado ambientale dell’area, che alla fatiscenza delle strutture accompagna il venir meno di ogni regola. Così è possibile che le merci siano oggi scaricate fuori dalle apposite aree, con grave intasamento di camion nei viali interni, a motori accesi, a pochi centimetri gli uni dagli altri, e lì in quel caos di lamiere e ruote in movimento, si trovino a operare i lavoratori con gravissimi rischi di finire stritolati e nel continuo respirare quantità incredibili di gas di scarico.
È utile illustrare brevemente la realtà occupazionale di una ditta. In questa impresa sono impiegati: 7-8 operai direttamente alle dipendenze della stessa, di nazionalità italiana; 5-6 impiegati direttamente alle dipendenze della stessa, di nazionalità italiana; 3 pensionati direttamente alle dipendenze della stessa, di nazionalità italiana; 2 soci-lavoratori di una cooperativa, di nazionalità rumena; 2 lavoratori di una ditta non ben identificata, di nazionalità marocchina; 1 socio-lavoratore di un’altra cooperativa, di nazionalità albanese; 1 lavoratore in nero senza permesso di soggiorno di nazionalità albanese.
Tutti questi lavoratori eseguono le stesse identiche mansioni, tuttavia sono divisi nella retribuzione (un dipendente di una ditta percepisce in busta paga circa € 8,50 lordi, un socio lavoratore di una cooperativa € 5.80 lordi) così come nel senso di stabilità occupazionale.
Alla frantumazione dei lavoratori in tante piccole imprese si aggiunge la frantumazione materiale e psicologica nella stessa impresa. Aggiungo per completare la panoramica che nella ditta le ore medie di lavoro per ogni singolo dipendente vanno dalle 10 alle 12 ore quotidiane.
Dalla condizione oggettiva alla coscienza
La condizione di vita dei lavoratori che è stata sommariamente tratteggiata, delinea una "vita vissuta" ove le molte ore di lavoro, la paura di perdere il lavoro, le retribuzioni infami, la frantumazione e la precarizzazione del lavoratore presentano un insieme oggettivo in cui appare arduo individuare il nesso attraverso il quale avviare un percorso di riorganizzazione dei lavoratori. Il nesso di una riorganizzazione è nella coscienza di classe del lavoratore che appare spinta istintualmente al risveglio. Un risveglio che assume carattere embrionale, un primordiale sentire il richiamo alla unità e alla lotta. Ed è il passo che viene posto in essere da alcuni lavoratori che emergono dalla massa e si fanno agitatori di una presa di coscienza collettiva attraverso le armi della parola, nel contatto interpersonale, nei conciliaboli di piccoli gruppi.
Si crea un piccolo gruppo di militanti attorno cui ruota tutta un’area di simpatia, di condivisione, di partecipazione.
Dopo anni, dopo decenni, si organizzano alcune assemblee volanti dentro l’area dell’Ortomercato. È così che nel luglio 2004 circola il primo volantino di denuncia e protesta a nome del MOVIMENTO AUTONOMO LAVORATORI ORTOMERCATO. È posto in evidenza il problema della salute e sicurezza dei lavoratori, delle retribuzioni indegne, dell’enorme quantità di lavoro nero. Dopo un lunghissimo silenzio questa voce dei lavoratori apre la discussione, si creano aspettative. C’è, a una data fase del processo in atto, la decisione di agganciare il movimento alla Filcams-Cgil di Milano, per trovare sostegno organizzativo, una sponda su cui appoggiare una rinascita che è ancora fragile. Nel contempo si tessono rapporti con le aree alternative al sistema capitalistico che accolgono con calore, simpatia, adesione, le ragioni e gli scopi dei lavoratori dell’ortomercato.
Sciopero!
Milano, notte a cavallo del 30-31 maggio 2005. Le porte di accesso alla grande area dell’Ortomercato sono presidiate da decine e decine di agenti di polizia in tenuta antisommossa. Dopo trent’anni i lavoratori dell’Ortomercato di Milano scendono in sciopero per l’intera giornata. Le parole d’ordine sono: "Sicurezza sul lavoro! No al lavoro nero!"
Lo stato risponde inviando la polizia a presidiare non la tutela della salute e sicurezza sul lavoro, non la lotta al lavoro nero, bensì a tutelare "il libero transito delle merci". I lavoratori rispondono dando vita ad un’incredibile, magica, eroica folla che via via invade le strade, i marciapiedi, l’intera area limitrofa all’Ortomercato. L’attività produttiva è paralizzata. Là ove quotidianamente regna una frenetica attività, dove il caos e il rumore sono sovrani, ora è il regno della quiete e del silenzio. I lavoratori hanno vinto. Alle 4,30 del mattino, alla ennesima provocazione di un capo funzionario di polizia alla porta n. 4, dopo attimi che sembrano preludere ad uno scontro esplicito, sale nel cielo di Milano un immenso applauso, un tripudio di urla. La magia di una notte da tanti impensata e imprevista è tutta in quel flusso liberatorio che si perde alto nel cielo.
Morte all’Ortomercato
Mattina del 15 luglio, l’alba non è ancora accesa di luce, il buio della notte ancora pervade le vie interne ai padiglioni dell’Ortomercato. All’inizio della strada che corre tra i padiglioni D e C si avvertono urla, grida. Poi un silenzio innaturale. Un camion fermo, la portiera aperta, sotto una delle ruote anteriori giace il corpo agonizzante di un lavoratore. La morte è sopraggiunta in un’area e con le modalità previste e prevedibili. Sempre nella stessa strada, 50 metri più avanti, poco più di un anno prima, un altro operatore dell’ortomercato era morto colpito alla testa dalla pala di un muletto. Il caos, il disordine, l’accumularsi di camion uno a ridosso dell’altro, affiancati a pochi millimetri a motori accesi sono la causa fondamentale dei due esiti mortali.
"Ogni parto è sottoposto a rischi."
La SO.GE.MI convoca la Filcams Cgil, la Cisl e la Uil di Milano. Viene redatto e sottoscritto dalle parti un accordo sindacale che prevede una serie di interventi di manutenzione della struttura, alcuni punti recepiscono richieste avanzate dai lavoratori. La SO.GE.MI. si impegna a vietare il transito dei camion e di altri mezzi di trasporto nelle aree e nelle vie adiacenti ai padiglioni ospitanti le imprese dei grossisti. La SO.GE.MI. si impegna nel promuovere iniziative concrete di contrasto del lavoro nero.
Sabato 24 settembre 2005, ore 23. In uno slargo del marciapiede di via