Protesta sociale e
"terrorismo" in Iraq
Si sta insistendo fino alla nausea, soprattutto a sinistra, nel voler separare le proteste sociali di massa in atto ormai in ogni angolo dell’Iraq dalle "azioni terroristiche", cioè dalle azioni di vera e propria guerriglia o guerra contro gli occupanti che hanno portato la guerra in Iraq. Le prime sarebbero, in qualche modo, comprensibili, specie per l’inefficienza e protervia degli americani, salvo, si capisce, fare di tutto per oscurarle; le seconde, invece, sarebbero, per dirla con il linguaggio religioso oggi di moda... in Occidente, una sorta di "male assoluto" da esecrare e schiacciare nel sangue (se possibile...). In ogni caso, ci si ammonisce, dovrebbe essere chiaro a tutti che tra la protesta sociale e il cosiddetto "terrorismo" così indigesto ai "nonviolenti" alla Bertinotti (sostenitore di un’Europa che avvia il suo pieno riarmo), non c’è, in Iraq, relazione alcuna.
Senonché, ecco che accorre in aiuto alla nostra tesi, opposta a quella ufficiale e sottufficiale, che vede una continuità tra protesta sociale e lotta armata, nientepopodimenoche la testimonianza autografa, e proprio sull’evoluzione recente della situazione a Nassiriya, di Marco Calamai, consigliere speciale della Coalition Provisional Authority a Nassiriya, proposto dal governo Berlusconi e nominato dagli anglo-americani (citiamo da l’Unità del 29 novembre):
"La protesta sociale [nella città di Nassiriya] è cresciuta in modo sempre più preoccupante nelle due settimane che hanno preceduto l’eccidio. Migliaia di lavoratori licenziati e disoccupati hanno cominciato a protestare di fronte ai Dipartimenti ministeriali, sia di fronte all’edificio della Cpa, chiedendo assunzioni e revoca dei licenziamenti. Anche qui è emersa la cecità politica [ovvero: la politica schiavistica] della coalizione: da Baghdad è arrivata, all’inizio di novembre, la direttiva di non rinnovare una serie di contratti a termine in scadenza. Direttiva giustificata (incredibile, ma vero) dall’esigenza di evitare un aumento del deficit dello Stato iracheno. In perfetta sintonia con le regole del Fondo Monetario Internazionale la coalizione ha così contribuito (...) a rendere incandescente la già acutissima protesta sociale, sempre più minacciosa e sempre più esplicitamente orientata in senso negativo nei riguardi degli ‘occupanti’.
"Manifestazioni, tentativi di occupare pubblici edifici, scontri violenti e armati tra gruppi tribali rivali [ovvero: scontri tra "tribù" collaborazioniste e "tribù" resistenti], sparatorie notturne di oscura provenienza , minacce più o meno palesi nei riguardi della coalizione, si sono moltiplicati i primi di novembre a Nassiriya, mentre da Baghdad arrivavano notizie sempre più gravi di attentati terroristici. Abbiamo così assistito allo scollamento crescente tra popolazione e coalizione anche nel sud sciita dell’Iraq, proprio dove l’intervento anglo-americano era stato visto [non proprio ovunque, ci sembra, altrimenti perché l’epica battaglia proprio nella città di Nassiriya, la maggiore di tutta la guerra?] con particolare simpatia e speranza."
Quante frottole, dunque, erano state raccontate, a botta calda, circa gli ottimi rapporti esistenti prima dei fatti del 12 novembre tra occupanti, specie se italiani, e popolazione irachena! [Palle da cui, si capisce, neppure Calamai si astiene.] Quante palle sui "terroristi" intrufolatisi da fuori giusto per minare dei rapporti così idilliaci e invalidare i primi brillantissimi passi della "ricostruzione"! Quante palle sull’incolmabile distanza tra protesta sociale "pacifica" e azioni armate! In realtà tra questi due termini c’è la medesima "distanza" che corre tra le truppe di occupazione, la Cpa (Coalition Provisional Authority) e il Fondo monetario internazionale, pressocché nessuna, nonostante la funzionale divisione di compiti. Solo: dall’altra parte.