Vogliamo la nostra parte di torta! Chi scrive (sul Messaggero veneto, un giornale di area ulivista, il 13 novembre) è Lucio Caracciolo, direttore della "prestigiosa" rivista di geopolitica Limes, e, per fortuna, va al sodo delle questioni. Così, dopo aver liquidato le barzellette sul carattere pacifico e umanitario della partecipazione italiana alla guerra riconoscendo che "siamo di fatto parte del meccanismo complessivo di occupazione dell’Iraq", e dopo aver dichiarato la necessità di restare laggiù, viene a sostanziare quelli che dovrebbero essere i "nuovi obiettivi" della nostra missione e il "riposizionamento dell’Italia e dell’Europa rispetto all’egemonia Usa": "Ciò significa innanzi tutto essere parte a pieno titolo della coalizione, e perciò stesso disporre di una limitata possibilità di co-determinare il senso della missione. L’idea che gli americani possano disporre di risorse altrui per fini propri non è accettabile. In qualsiasi mercato, compreso quello strategico, vige la regola dello scambio. Quindi dobbiamo sapere cosa chiedere agli americani, consapevoli dei nostri modesti mezzi, ma anche dell’altezza della posta in gioco. In linea di massima dovremmo puntare verso tre obiettivi. Primo, trasformare l’occupazione in amministrazione provvisoria a guida americana, in cui le altre potenze siano più o meno coinvolte. Il che significa, per esempio, che russi e francesi (e anche italiani) devono poter partecipare alla spartizione della gestione del petrolio iracheno. Secondo, che vanno costituite e legittimate al più presto istituzioni locali e "nazionali" utili anche a scaricare le responsabilità su altri [ossia sui locali mercenari –n.], piuttosto che sui soldati occupanti. Terzo, garantire un futuro nell’Iraq post-saddamiano anche alla gran parte dei militanti del partito Baath e alle stesse forze armate irachene. Dopo di che potremmo gradualmente sganciarci da un teatro comunque poco attraente [dopo aver riempito ben bene le nostre tasche dell’agognato bottino, s’intende... –n.]." Ecco cosa significa "il riposizionamento" dell’Europa e dell’Italia rispetto agli Usa (con qualsiasi motivazione ed "intenzione" lo si rivendichi): chiedere ed ottenere la nostra fetta di torta, il nostro pezzo della carne irachena con cui banchettare qui, al sicuro, dopo aver opportunamente organizzato lì l’"umanitario" scannamento reciproco tra iracheni. E poi assassini e barbari sarebbero quelli che si battono contro gli occupanti... |
Le missioni umanitarie della pacifica Italia che "lavora e produce" "All’improvviso, anche se forse troppo tardi, i media romeni hanno fatto squillare un forte segnale d’allarme: gli stranieri ci stanno comprando illegamente e per pochi soldi la terra più fertile. I più attivi in tale campo sono gli investitori italiani che si sono gettati sull’‘ovest romeno’, il Banato dove hanno comprato a prezzi letteralmente irrisori, come afferma il presidente della Camera di Commercio di Timisoara, Emil Mateiescu, circa 400mila ettari di terreni. Il quotidiano Advevarul spiega il ‘trucco italiano’ [secondo le leggi in vigore infatti le persone fisiche estere non hanno il diritto di acquistare terreni, n.] per l’acquisto dei terreni in Romania: per comprare la terra gli italiani hanno fondato società commerciali, attualmente solo nella contea di Timisoara ve ne sono 1.276, che, fatto salvo rare eccezioni, non si distinguono per avere un sostanzioso capitale sociale in valuta. Questo potrebbe significare che alcuni investitori italiani, che in Romania sono diventati dei ‘feudatari’, intendono realizzare grossi profitti rivendendo i terreni tra alcuni anni" (Da Politika, Belgrado, 4 marzo 2003, riportato in Notizie Est. Balcani, n. 652 dell’8 aprile 2003)
Altra avanzata sul fronte orientale, questa volta siamo in Slovacchia, a Samorin, non lontano dal confine austriaco, dove è stato inaugurato il "distretto industriale italiano" e già 14 aziende venete vi hanno delocalizzato la produzione. La fanteria, l’esercito delle braccia salariate, è motivato e ci accoglie a braccia aperte, parola del sindaco stesso di Samorin: "In quest’area le risorse umane sono molto qualificate. La produttività di manodopera e tecnica risulta particolarmente alta", e soprattutto "ci sono molte facilitazioni. Da gennaio, ad esempio, l’imposta sugli utili d’impresa scenderà dal 25 al 19 per cento." Quanto guadagna un operaio a Samorin? "Preferisco dirle quanto costa alle aziende. Si tratta di circa 300-330 euro al mese, comprensivi del 38% di oneri sociali e previdenziali. Le aziende italiane mi dicono che sono cifre sette-otto volte inferiori a quelle del Veneto. Ma gli imprenditori sostengono che vi sono luoghi dove il costo del lavoro è molto più basso e che Vicenza ha voluto scommettere sulla qualità" (Dal Sole24Ore, 19 ottobre 2003)
La battaglia del lavoro si combatte dura e cruenta anche sul fronte interno. Siamo in Friuli, nel paese di Manzano, cuore del "distretto della sedia" (circa 20mila addetti sparpagliati in una miriade di piccole e piccolissime fabbriche): "L’identikit è semplice: si tratta di lavoratori provenienti dall’Oriente e (spesso) in possesso di regolare permesso di soggiorno che fanno parte di cooperative gestite da persone della stessa origine e capaci di lavorare a ritmi improponibili per ogni altro lavoratore del comparto del legno. Impagliatori e lavoratori conto terzi che operano compressi in una stanza con un solo obiettivo: produrre. Velocemente ma con una velocità accompagnata ad una grande qualità. È questa la nuova frontiera dell’immigrazione nel distretto della sedia. Insomma c’è anche una "delocalizzazione interna" con piccole imprese o cooperative composte da lavoratori orientali capaci di produrre anche 2000 sedili in una sola giornata" (Dal Messaggero Veneto, 3 luglio 2003).
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