Si scrive Nassiriya, si legge ENI.

Quando si tratta di guerre capitalistiche, è buona regola, per chi non voglia farsi infinocchiare dalla grancassa bellicista, chiedersi: quali interessi materiali sono in gioco? Nel caso dell’aggressione all’Iraq lo sanno anche i neonati: si tratta del petrolio. Ma proprio questa "parolina" compare, deve comparire il meno possibile nelle cronache di guerra. Ufficialmente, infatti, si tratta di "liberare" gli iracheni da Saddan e gli occidentali dall’incubo dei "mezzi di distruzione di massa" in possesso dello stesso.

Non sempre, però, i giornalisti riescono nel funambolico gioco di menzogne di tacere sugli interessi reali in ballo, ed ecco, a chi fosse sfuggito, cosa scrive Claudio Gatti, il corrispondente del Sole 24 Ore da New York, il giorno 13 novembre:

"Da tempo l’azienda petrolifera italiana (Eni) ha gli occhi sui campi petroliferi di Nassiriya. All’Eni quel giacimento da 300mila barili al giorno e con riserve tra i 2 e i 2,6 miliardi di barili interessa dai tempi del regime di Saddam Hussein. Subito dopo la fine ‘ufficiale’ della guerra, l’azienda italiana ha riaperto il negoziato con gli americani di Paul Bremer e con il ministero del petrolio irakeno. A giugno una delegazione dell’ Eni si è recata a Baghdad a bordo di un aereo militare italiano per discutere nei dettagli l’affare".

"La trattativa per l’affidamento di quei pozzi all’Eni non è stata conclusa, ma senza dubbio gli italiani sono in pole position", riferisce al Sole 24 Ore una fonte americana. Ma quello di Nassiriya è un investimento ‘pesante’, sia sul fronte finanziario - si parla di quasi 2 miliardi di dollari - che su quello delle risorse umane. Ed è chiaro che, qualora fosse affidato all’Eni, l’azienda italiana non potrebbe non tener conto della questione sicurezza. Ecco quindi l’interesse degli attentatori a trasformare Nassiriya in un inferno in cui sarebbe troppo rischioso avventurarsi. Cosa che oggi l’Eni si è trovata costretta a riconoscere. "Noi avevamo un interesse per quella zona e lo confermiamo", ha dichiarato l’amministratore delegato Vittorio Mincato "contavamo di chiudere i colloqui in corso entro l’anno ma i fatti di oggi confermano quanto temevamo: se ne parlerà l’anno prossimo".

Ohibò! Ma noi italiani-brava-gente non eravamo a Nassiriya solo ed esclusivamente per aiutare la popolazione irachena?