Il vertice di Johannesburg

È il capitalismo

ad essere insostenibile.

A dieci anni da quello di Rio si è tenuto a Johannesburg il nuovo vertice Onu sul cosiddetto "sviluppo sostenibile". Intanto, in questo lasso di tempo tutti, ma proprio tutti, i problemi che affliggono il pianeta e la specie umana sono andati enormemente intensificandosi. La desertificazione avanza, l’inquinamento appare inarrestabile, le epidemie nel Sud del mondo assumono sempre più le dimensioni di piaghe bibliche, miliardi di persone non hanno acqua, la fame e la miseria dilagano, migliaia di specie animali e vegetali sono a rischio di estinzione.

 

Gli unici parametri sono il profitto ed il mercato.

 

Il vertice del ’92 si era concluso con una risoluzione finale (la cosiddetta "agenda 21") che individuava una serie di obiettivi da perseguire da lì a breve per migliorare le condizioni complessive del pianeta. A Johannesburg i boss dell’economia e della politica mondiale hanno ritenuto che persino una simile (ingannevole) apertura di facciata rappresentasse un intralcio e, conseguentemente, non hanno concesso niente neppure formalmente. Il summit in realtà ha ulteriormente ribadito (casomai ve ne fosse il bisogno) lo strapotere delle multinazionali e, al di là di qualche fumosissima promessa -come quella di diminuire l’uso dei diserbanti tossici nei prossimi quindici anni- si è sancita la assoluta preponderanza delle necessità del profitto e del mercato su quelle umane. Le stesse vergognose chiacchiere circa il dimezzamento entro il 2015 del numero delle persone che non hanno accesso all’acqua sono servite di fatto solo ed esclusivamente ad assecondare con rinnovata forza il processo di privatizzazione e di appropriazione di tutte le risorse naturali ed idriche del Sud del mondo da parte delle global company (fatte passare truffaldinamente come le uniche – grazie al loro know-how – in grado di affrontare positivamente il problema della distribuzione idrica).

A tal proposito dicono bene Rosario Lembo e Riccardo Petrella quando su il manifesto (8 settembre 2002) affermano che "al vertice hanno vinto i potenti e le grandi imprese multinazionali private che sono state presentate dall’Onu e considerate dagli altri soggetti (Ong comprese) come il partner obbligato ed insostituibile per lo sviluppo sostenibile del mondo". Ma dicono male quando affermano che "ha perso l’Unione europea la quale malgrado alcuni (deboli) ruggiti e (brevi) momenti d’audacia alla fine si è adeguata". Attardarsi sul falso mito di un’Europa "alternativa"e rimpiangere una sua presunta (e mai esistita) "diversità" rispetto agli Usa non ha infatti giovato e non gioverà certo alla causa di quanti vogliono battersi contro gli immani disastri ambientali ed umani prodotti dal dominio mondiale delle banche e delle multinazionali. Non è forse vero che l’Europa, al pari degli Stati Uniti, sussidia e protegge la propria grande produzione agricola a tutto danno del terzo mondo? E le aziende europee, dalla Bayer all’Agip, producono forse meno inquinamento e devastazione ambientale in giro per il pianeta di quanto non ne faccia la concorrenza a stelle e strisce? E a Johannesburg, nei primissimi giorni del vertice, non sono state forse proprio le delegazioni europee a concordare con gli Usa un documento in cui si ribadisce la stretta necessità di sottomettere ogni iniziativa alle regole sancite dal Wto? Ed ancora non è stata forse l’Unione Europea a promuovere l’embargo contro lo Zimbabwe reo di aver avviato una tutt’altro che radicale riforma agraria con l’esproprio di alcune terre di latifondisti bianchi di origine britannica ed europea? A proposito delle divergenze tra le due sponde dell’Atlantico il Sole 24 ore del 31 agosto, con cristallina chiarezza, dice che "non sono certo estranee alle divisioni tra Stati Uniti ed Europa emerse in questo summit le influenze di contenziosi economici e commerciali sempre più aspri". Come sempre gli eventuali contrasti tra Europa ed Usa sono screzi tra belve fameliche che si contendono la preda e puntare su una qualche, sia pur minima, azione positiva del "vecchio continente" porta solo a rinfocolare micidiali illusioni.

 

Preziosi insegnamenti

 

L’andamento e i risultati del vertice hanno prodotto delusione e malcontento in buona parte degli attivisti presenti al vertice delle ong tenutosi in contemporanea a quello ufficiale. Non certo, però, tra quei professionisti (ben remunerati) del settore ong divenuti oramai assidui frequentatori degli uffici delle istituzioni internazionali e delle multinazionali. Per essi il lobbyng è diventato prassi consolidata e riconosciuta, con un giro di affari non proprio indifferente finanziato direttamente da grandi imprese e stati in cerca di legittimazione. Si tratta, come ha dimostrato questo summit, di un lobbyng che non può portare nulla alle masse povere del Sud e non risolve neppure uno dei problemi dell’ambiente, che anzi finiscono puntualmente per essere strumentalizzati per fini opposti a quelli dichiarati.

Un secondo settore di attivisti delle organizzazioni non governative e dell’associazionismo ambientalista -la gran parte del vertice alternativo- è andato a Johannesburg per condizionare, tramite la pressione organizzata e anche la lotta, le scelte dell’assise ufficiale presentando richieste "sostenibili" per gli stati e le imprese e per questo ritenute fattibili. Questo "realismo" si è dimostrato del tutto inefficace. L’Onu, più di altre volte, ha dimostrato di essere solo ed esclusivamente un’agenzia internazionale di servizio e di marketing al soldo delle grandi potenze occidentali e delle centrali della finanza mondiale. Un dato non "condizionabile" con cui sempre più deve fare i conti chi non vuole fermarsi alla delusione patita e deve dunque iniziare a riflettere sul fatto che in realtà il summit non è fallito, ma è andato nell’unica direzione in cui poteva andare: l’Onu non è "inadeguata" di fronte allo strapotere delle multinazionali, ma loro complice, non può quindi essere una sponda amica per chi ha a cuore le sorti dell’ambiente e dell’umanità.

Ma dalla città sudafricana è venuto un ulteriore messaggio portato direttamente in piazza dal terzo settore presente, organizzato nell’Indaba, che ha rappresentato, pur non maggioritario, il vero e proprio contro-vertice. Questo movimento sceso in campo a manifestare il 31 agosto ha ribadito davanti a tutti che la questione ecologica è indissolubilmente legata alla miseria sociale che è frutto del modo di essere e di funzionare dell’attuale sistema, del capitalismo reale.

 

Le masse nere assediano il vertice…

 

Il corteo promosso dalle organizzazione sudafricane dei senza terra, degli occupanti di case e dei lavoratori riuniti nell’Indaba ha avuto una partecipazione ed una radicalità di posizioni tali da lasciare sbigottiti i mass media occidentali. Il sole 24 ore, con mal celata preoccupazione, titola "Una marcia contro tutto" e nota come il corteo sia contro il vertice, ma anche contro il governo sudafricano reo di genuflettersi ai diktat del Fmi e della Banca Mondiale ("Se l’Anc non verrà incontro alle esigenze dei poveri e dei senza terra ci comporteremo con loro come abbiamo fatto con il regime dei bianchi" dice al cronista un portavoce di Indaba). L’organo della Confindustria prosegue riferendo stupefatto di scritte pro-Osama e di "bandiere palestinesi ovunque e di slogan, anche trucidi, contro Israele e Sharon". Da parte sua il Corriere della sera, dopo aver anch’esso sottolineato come il tema dell’appoggio alla lotta del popolo palestinese fosse diffusissimo e come vasta fosse la presenza islamica, riporta la dichiarazione di un militante del Pagad ("People Against Gangs And Drugs", un’organizzazione sudafricana fondata e diretta da donne che si batte, anche armi in pugno, contro la diffusione della droga nei sobborghi popolari) che dice: "Noi organizziamo ronde e lotte contro gli spacciatori di morte: i bianchi, Bush ed Israele lo sono".

Ciò che ha lasciato realmente sgomenti i commentatori non sono state tanto le singole, anche se durissime, dichiarazioni o i singoli striscioni, bensì l’intreccio strettissimo tra le varie rivendicazioni che si respirava in una piazza colma di sfruttati ed in cui emblematicamente a migliaia indossavano la maglietta con su scritto "classe lavoratrice in lotta". Decine di migliaia di manifestanti hanno detto con la loro presenza in piazza che la lotta per la terra, quella per l’acqua, quella contro il lavoro minorile e per migliori condizioni nelle miniere e nelle fabbriche, la battaglia per avere accesso ai farmaci, quella per la Palestina e contro la nuova aggressione all’Iraq, che tutte queste lotte insomma devono cominciare a fondersi e a rivolgersi unitariamente contro il medesimo nemico: l’imperialismo occidentale, le sue multinazionali ed i suoi Stati.

Le stesse ovazioni riservate durante lo svolgimento del vertice ufficiale al presidente della Namibia Sam Nujoma ed a quello dello Zimbabwe Mugabe quando hanno dato (giustamente!) del razzista e del colonialista al signor Tony Blair e la parallela (sempre ai lavori ufficiali) contestazione a Colin Powel sono un chiaro segnale di quanto forte cominci ad essere la pressione delle masse diseredate tanto da imporre la propria eco anche in un ovattato summit dell’Onu. Non a torto Prodi in un’intervista televisiva -sottolineando come i dimostranti "non ce l’avessero solo con gli Usa, ma anche con l’Europa"- ha invitato a non sottovalutare quanto accaduto in Sud Africa. Il presidente della Commissione europea, da degno rappresentante del capitalismo internazionale qual è, ha infatti intuito come la manifestazione di Johannesburg sia stata segnale di un sentimento anti-sistema che va maturando ed ampliandosi sulla scala di interi continenti.

 

…raccogliamone l’urlo di lotta.

 

Nei giorni del vertice stuoli di "opinion makers" sono scesi in campo per commentare i temi in discussione. Stringi stringi ed in sostanza sono state dette due cose. Primo, che la miseria e la fame derivano da un eccesso di popolazione (ah, vecchio Malthus!) e che quindi le principali responsabilità sono, di dritta o di storta, dei popoli extra-occidentali che figliano troppo e da cui è dunque necessario prendere le distanze. Secondo, che è vero che nel mondo le sperequazioni sono eccessive, ma se le vogliamo livellare si estenderebbero anche alle nostre plaghe. Insomma il capitalismo non è il migliore dei mondi immaginabili, ma certamente (a detta di tali grassi ed interessatissimi Soloni) è il migliore tra quelli possibili. Nessuno (o quasi) ha minimizzato i "mali che affliggono il mondo" (farlo, di fronte a tanta evidenza, equivarrebbe a negare che il mare è acqua salata), ma sono state proposte all’unisono diagnosi e prognosi tutte tese (quand’anche differenti tra di esse) ad evitare che sul banco degli imputati finisse il vero responsabile: il sistema del profitto e del denaro, le sue immodificabili leggi di funzionamento ed i suoi santuari che dall’Occidente dominano l’intero globo terrestre.

Ma il fatto che in nome delle regole del mercato e della proprietà privata lo sviluppo scientifico e tecnologico assuma connotazioni sempre più anti-sociali, il fatto che -sempre in nome di queste regole- nonostante i mezzi di produzione atti potenzialmente a liberare l’umanità dal bisogno, siano invece la fame e la miseria a dilagare, il fatto che cresca parossisticamente lo stupro ed il saccheggio di ogni risorsa naturale (l’uomo in primis) al fine dell’accumulazione di denaro, tutto ciò sta a dire che anche le questioni ambientali ed ecologiche (intese nel senso più ampio dell’accezione) richiamano proprio alla necessità di una radicale e complessiva alternativa di sistema. Un "altro mondo" non solo è possibile, ma è necessario ed urgentemente indispensabile. Un mondo dove le conquiste scientifiche e tecniche e l’insieme dei mezzi di produzione siano strappati dalle grinfie del capitale e siano utilizzati armoniosamente a scala planetaria secondo i bisogni dell’intera specie umana e di un suo sano rapporto con la natura. Certo, il comunismo (perché è di questo che si tratta) non è per l’immediato. Ma è già oggi che a nuda realtà impone che ogni lotta "per la difesa del pianeta" vada a caricarsi di contenuti e di valenze anti-capitaliste e tenda a collegarsi con le lotte dei popoli di colore. Unica strada questa attraverso cui tra l’altro si potrà costruire la forza necessaria per fronteggiare e ridurre "a più miti consigli" l’arroganza dei signori del business mondiale anche su "singoli, specifici ed immediati" problemi. Da Johannesburg le masse sfruttate ed oppresse dell’immenso "Sud" del mondo ci chiamano alla lotta. A noi, lavoratori, donne e giovani dell’Occidente, raccoglierne il potente e combattivo messaggio e scendere in campo incondizionatamente al loro fianco in un unitario e fraterno schieramento di battaglia contro il capitalismo insostenibile.