"Guerra umanitaria" alla Jugoslavia, il giorno dopo: 

lo sbarco dei "nostri" imprenditori.

 

Dopo i piani di aggiustamento strutturale del Fmi, dopo lo smembramento benedetto dall’Onu, dal Vaticano e dalla sinistra europa (rifondarola compresa), dopo l’embargo onuista, dopo la guerra umanitaria sotto il vessillo della socialdemocrazia, dopo l’arrivo della democrazia a Belgrado, la Serbia e i Balcani sono beneficiati dello sbarco dei "nostri" imprenditori. Che finalmente possono mettere le mani sulla manodopera qualificata dell’area, costretta a svendersi per qualche centinaio di dollari a causa della distruzione operata nei decenni scorsi del precedente tessuto economico e sociale.

I titoli dei quotidiani che riportiamo a fianco danno un’idea di questa nuova invasione, che segue quella delle "nostre" forze armate all’uranio impoverito. Essi dovrebbero far meditare chi, tra i proletari europei, ha creduto alla favola della guerra umanitaria, l’ha appoggiata sotto la formula della contingente necessità e ha poi brindato (come invitarono a fare i responsabili del manifesto con il vergognoso titolo che riproduciamo) per la vittoria di Dijndijc.

Oggi si può vedere chiaramente che l’aggressione occidentale alla Jugoslavia mirava a spezzare le istituzioni statali e di lotta con cui il proletariato jugoslavo e balcanico si era difeso dai piani di supersfruttamento sfornati per decenni dal capitale finanziario. Oggi l’esperimento compiuto in Jugoslavia sta per essere esteso al Medioriente e, da qui, all’Asia tutta, verso le centinaia di milioni di lavoratori che compongono la classe proletaria dell’Oriente e in particolare della Cina.

Che i lavoratori occidentali stavolta vedano per tempo il senso e si oppongano alla enduring war! Che mettano da parte le folli illusioni che essi hanno nutrito durante lo spolpamento della "ex"-Jugoslavia: l’illusione che la guerra non li riguardasse oppure l’illusione di poter ricavare qualcosa dalla sottomissione dei popoli ribelli al di là dell’Adriatico, di poter ricevere in cambio dell’appoggio alla guerra terroristica qualche sconto nell’attacco subito alle conquiste strappate con l’autunno caldo. Lo sbarco dei capitalisti italiani a Timisoara, a Belgrado, in Slovacchia e in tutti i Balcani mostra che l’indifferenza o l’appoggio a quell’aggressione sono stati per i lavoratori l’indifferenza o l’appoggio a un’aggressione contro se stessi, visto che oggi ci si ritrova licenziati per effetto della delocalizzazione o sottoposti ai ricatti presentati sotto la minaccia di essa. I moderni conquistatori dell’Est sono attratti nei Balcani dalla presenza di imprese in cui il sindacato è praticamente assente. E stanno usando questa possibilità per imporla nella stessa Ue, come mostra la vicenda dell’art. 18.

Ecco cosa coprì la propaganda contro il presunto "dittatore" di Belgrado, contro la minaccia dell’uso di armi di distruzioni di massa da parte dello stato serbo! Servì per giustificare l’imposizione (attraverso le armi di distruzione di massa di cui dispone solo la Nato!) della dittatura dei mercati capitalistici, a Belgrado e in Europa!

Come venirne fuori?

Lo indicano i settori più avanzati del proletariato balcanico. Che chiedono alle organizzazioni sindacali italiane ed europee di farsi carico della sindacalizzazione dei lavoratori a Timisoara, a Belgrado, in Slovacchia, a Tirana in modo da poter evitare insieme quella concorrenza al ribasso della forza lavoro vantaggiosa solo per i capitalisti e suicida per gli sfruttati. Sì, la globalizzazione turbo-capitalistica chiama i proletari alla costruzione di un fronte comune di lotta contro di essa per imporre la parificazione verso l’alto dei diritti e delle condizioni dei lavoratori. E per sbarrare la strada alle azioni (armate e "pacifiche") con cui le borse e i re della finanza occidentali si aprono la via per la loro "ricostruzione" economica.