È forse l’Europa la "grande forza"

che può fermare la guerra?

 

 

Sia pur recalcitrando un po’, non soltanto i fidi Blair, Aznar e Berlusconi, ma la gran parte dei governanti europei assicurerà alla nuova aggressione degli Stati Uniti all’Iraq una larga copertura diplomatica, propagandistica e militare. Solo la Germania di Schroeder appare ferma nel suo rifiuto a collaborare.

Tuttavia è apparso piuttosto evidente, rispetto all’aggressione del 1990-’91, un certo attrito tra le due sponde dell’Atlantico. Tra i lavoratori e nel movimento no global molti credono che questo attrito Stati Uniti-Europa sia una buona chance in più per fermare la guerra. L’idea (non nuova) è grosso modo la seguente: per fermare la super-potenza ci vuole una grande forza, e questa non può essere che l’Europa, che avrà magari "i suoi interessi" (di…?), ma al momento è in contrasto con gli USA ed è a favore della "pace", ed è questo che conta. Si tratta, a nostro avviso, di un’idea totalmente infondata che, anzi, può solo intralciare e deviare lo sviluppo di una autentica lotta contro la guerra alle porte.

Chiediamoci anzitutto: a cosa è dovuto l’attrito in questione?

Non certo a un dissenso di fondo circa la "lotta al terrorismo", poiché su questo, sulla necessità cioè di schiacciare sotto i propri piedi i popoli arabo-islamici (e di tutto il Terzo Mondo) con il pretesto della lotta al terrorismo, l’intera Europa degli stati e dei governi, destra e "sinistra" largamente accomunate, è d’accordo con Bush. Tant’è che da mesi giornali e televisioni dell’Europa sono una sola grande cassa di risonanza dei proclami di guerra yankee, scatenati nella criminalizzazione delle genti arabe e islamiche. "Assoluta priorità alla lotta al terrorismo", giura Fassino, in coro con i Bush, gli Sharon &C. E l’affermazione suona: nessun allentamento della stretta soffocante sul corpo degli iracheni che anche l’Europa ha voluto dieci anni fa.

La ragione dell’allontanamento tra Washington e alcune capitali europee è altra e non così difficile da capire: "Dopo un anno l’alleanza antiterroristica non è in pezzi, ma emergono gli interessi particolari dei singoli paesi", scrive S. Soave su Italia oggi del 12 settembre. "L’Europa? A parole cercherà di differenziarsi dagli Stati Uniti: in realtà non avrà né la forza, né la necessaria unità per fermare Bush", gli fa eco F. Giavazzi sul Corriere della sera del giorno seguente. Del resto, Schroeder in persona è stato inequivoco quando ha detto: votate per me "se volete una Germania sicura di sé e dei suoi interessi". Sì, l’Europa è in attrito tanto con gli Stati Uniti quanto al suo stesso interno solo ed esclusivamente sulla spartizione degli utili attesi dalla seconda guerra all’Iraq.

La prima aggressione all’Iraq si è conclusa con uno spettacolare bottino degli Stati Uniti, che si sono fatti pagare la guerra dagli stati petroliferi arabi e dall’Europa incamerando per sé, si stima, il 95% degli utili (il restante 5% è andato alla Gran Bretagna che non a caso è l’unica decisa, nelle sue dirigenze, a fiancheggiare il Pentagono). Se alla banda di Bush e dei suoi petrolieri riuscisse di occupare e annettere a Washington anche l’Iraq, dopo aver incluso nella propria area di influenza dei paesi ex-"sovietici" di grande importanza per il petrolio quali Georgia, Azerbaigian, Turkmenistan, Kirghizistan e Uzbekistan, l’Europa diverrebbe ostaggio delle multinazionali statunitensi, e la sua concorrenzialità nei confronti dell’economia americana subirebbe un colpo micidiale.

L’insistenza europea sull’Onu e sulla "via diplomatica" in opposizione, piuttosto blanda finora, al cosiddetto unilateralismo statunitense, equivale alla richiesta di una più equa spartizione degli utili. L’Europa non è ancora pronta alla guerra, benché abbia messo in cantiere anch’essa un proprio esercito unificato e anch’essa stia per lanciarsi nella nuova corsa agli armamenti. Inoltre ha al proprio interno, assai più dell’America, la contraddizione di una forte presenza di immigrati arabo-islamici da fronteggiare. Di qui la sua prudenza, e perfino la sua riottosità ad imboccare oggi, la via della guerra guerreggiata contro l’intero mondo islamico. Ha bisogno di tempo. Alcuni governi europei, poi, contano anche sulla concomitante resistenza della Russia, della Cina e, in parte, dell’India ad assecondare l’enduring war di Bush per conquistarsi un po’ di spazio di contrattazione e di ricatto in più nei confronti di Washington.

Dal suo canto, la Casa Bianca ha messo ampiamente in conto lo smarcamento parziale dell’Europa perché fa questa guerra anche contro i concorrenti europei. E ritiene di poterli tenere a bada esercitando anche a loro indiretto favore la funzione di capofila dell’imperialismo, del neo-colonialismo. Strappare il petrolio dalle mani degli arabi e degli islamici più di quanto già non sia oggi sarà un vantaggio, benché diseguale, per tutto il capitale occidentale. Innegabile. E proprio un tale argomento è determinante nello smorzare il dissenso delle capitali europee. Per queste ragioni non sarà certamente l’Europa o -meglio- quella parte dell’Europa ufficiale che si è dichiarata contro la nuova guerra a poterla fermare. Anzi.

Ma l’appello all’Europa come fattore di "pace", in quanto il suo capitalismo sarebbe geneticamente diverso da quello statunitense (1), è qualcosa di peggio che infondato: è profondamente mistificatorio e pericoloso. In quanto "dimentica" il ruolo storico svolto dall’Europa nella produzione di quei rapporti coloniali che gli Stati Uniti intendono riprodurre; "dimentica" che non c’è un angolo sperduto del mondo arabo-islamico in cui gli schiavisti, gli eserciti, i missionari, gli affaristi, i coloni europei non abbiano deportato, macellato a quintali, espropriato, torchiato a sangue, scortitato vive, struprato, gasato, represso con le proprie leggi razziali, "evangelizzato" con la violenza queste popolazioni con le quali l’ipocrisia ufficiale vorrebbe ci siano, in virtù della storia (!), dei "rapporti speciali".

Un orribile passato di sfruttamento e di oppressione che si rinnova nel presente con il saccheggio del petrolio arabo (a costi ridicoli), con la torchiatura della forza-lavoro araba da parte, tanto per dirne una, delle "nostre" industrie tessili, con le guerre all’Iraq, alla Somalia, all’Afghanistan, con la consulenza "anti-terrorista" e stragista dei servizi segreti di Francia e Italia al regime algerino, con il sostegno attivo dato dall’Europa, non solo dagli Usa, a stati di polizia quali l’Egitto o la Giordania, o ad autocrazie semi-feudali in Kuweit, Arabia Saudita, Qatar, EAU, bestialmente anti-donna almeno quanto i talebani. Si rinnova con la copertura totale accordata alla politica dello stato di Israele volta a stroncare l’Intifadah. Già perché, se ogni paio di mesi i governi europei emettono un comunicatino di blanda protesta contro gli eccessi del binomio Sharon-Peres, in altra forma essi rivolgono ai palestinesi la medesima ingiunzione del governo israeliano: fermate l’Intifadah! Che è come dire: consegnatevi con le mani e i piedi legati ai vostri aguzzini. Davvero risulta difficile vedere in cosa la pax europea per i palestinesi differirebbe da quella americana ed israeliana, come non ci riesce di vedere quale accidenti di protezione dei palestinesi stiano esercitando gli "osservatori" e i militari italiani ed europei presenti in terra di Palestina. E risulta ancor più difficile vederlo agli sfruttati del Terzo Mondo, come ha ammesso lo stesso Prodi a Johannesburg quando ha riconosciuto che le contestazioni a Powell per la Palestina, l’Iraq e l’inquinamento mondiale erano rivolte "anche a noi europei". Esatto.

Ecco perché gridare "Europa, Europa", o anche soltanto invocare e sospirare l’entrata in campo dell’Europa unita autonoma dagli Stati Uniti, vuol dire semplicemente sponsorizzare, se ne sia coscienti o meno, un’altra strada verso quella stessa catena di guerre neo-coloniali contro i popoli di colore annunciata dal Pentagono, un’altra strada verso una nuova guerra mondiale. Poiché la sola Europa capitalistica unita e non amerikana che può esistere (unita con la forza!) è quella preconizzata dai fascisti extra-istituzionali alla "Orion", che a loro volta l’hanno mutuata in buona misura da Hitler e Mussolini (che ardì auto-definirsi, in chiave anti-britannica e non certo filo-islamica, "la spada dell’Islam"); è l’Europa che si contrappone all’imperialismo americano in quanto altro imperialismo, deciso a contendere agli Stati Uniti il dominio sul mondo intero, e dunque per primo sui popoli di colore. E che per arrivare a questo risultato, data la sua inferiorità di partenza, è costretta a lanciare un ingannevole amo agli sfruttati del Terzo Mondo che odiano a morte l’imperialismo statunitense.

È questo l’unico modo in cui l’Europa dei governi e degli stati capitalisti può far valere la sua "diversità", diversità dei suoi interessi di brigantaggio, dagli Stati Uniti. È possibile che lo smarcamento di oggi della Germania di Schroeder dagli ordini di scuderia dell’"amico" americano preluda, alla lontana, ad un nuovo (il terzo) tentativo di Berlino di creare un "fronte anti-americano", questa volta insieme con Russia, Cina e una parte del mondo islamico. Ma l’emergere di una simile contraddizione e prospettiva, ancora largamente sottotraccia, nient’altro sarebbe se non un ulteriore passo verso la guerra generale inter-imperialistica (ciò cambierebbe, si capisce, anche le consegne politiche del proletariato comunista, poiché una cosa è una guerra dell’imperialismo USA all’Iraq con alcuni degli altri stati imperialisti che ne dissentono, ma vi restano fuori; un’altra cosa sarebbe una guerra dell’imperialismo USA contro un Iraq inglobato in un altro schieramento imperialista).

La spaccatura in profondità, ancora eventuale, tra Stati Uniti e parte dell’Europa potrà giovare alla causa degli sfruttati arabo-islamici ed europei solo ed esclusivamente se gli uni e gli altri non riporranno la benché minima fiducia nella presuntissima "diversità" dell’Europa di oggi usuraia, guerrafondaia, razzista, che tratta gli immigrati arabi ed islamici come schiavi e come criminali. Solo ed esclusivamente se riconosceranno in sé stessi, nei proletari statunitensi e nel proletariato mondiale l’unica grande forza che ha reale interesse ad opporsi alla guerra alle porte e a quelle in preparazione, l’unica grande forza che può trasformare il cammino già iniziato dal capitalismo verso la terza guerra mondiale nel cammino verso la rivoluzione mondiale.