Su L’Unità del 6 dicembre 2001, a firma di Pietro Greco, abbiamo trovato queste interessanti considerazioni statistiche sulle guerre dei nostri tempi:
"Noi moderni siamo capaci di confezionare guerre di gran lunga ‘più disumane’ rispetto ai nostri avi. Questa tragica comparazione ha un senso perché è proprio a cavallo tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 che si registra un’accelerazione improvvisa nella ‘disumanizzazione’ dei conflitti. Il Novecento è stato di gran lunga il secolo più crudele nella storia dell’umanità. E il nuovo secolo non preannuncia nulla di buono.
"Tra il 1890 e il 1995 sono decedute in guerra 110 milioni di persone: un numero tre volte maggiore al totale dei morti per guerre di tutta la storia precedente."
Nel ’500 "il numero di morti in guerra non superava lo 0,3% delle persone coinvolte, nel ‘600 e nel ‘700 la percentuale si è mantenuta stabile intorno all’1%, nell’800 è salita all’1,4% e nel ‘900 è schizzata al 4,4%: quindici volte più che nel ‘500". Inoltre ciò che ha caratterizzato le guerre del ‘900 è il numero crescente di morti civili. Nel corso della prima guerra mondiale furono il 50% (13 su 26 milioni), nella seconda salirono al 60% (oltre 32 milioni su 54), mentre "in tutte le guerre successive al 1946 il numero di vittime civili non è mai sceso sotto il 50%": per la guerra yankee alla Corea si calcola il 50%, per quella al Vietnam il 58%, per quella russa in Afghanistan il 67%.
Questi dati, che il redattore de L’Unità trae per lo più dal libro di M. Renner, State of the War, Edizioni Ambiente, 1999, sono non poco imprecisi e peccano, tanto per cambiare, di evidente trascuratezza verso le immani perdite umane che le guerre del proto-capitalismo europeo causarono agli indios sud-americani, alle popolazioni nere dell’Africa e alle genti indiane, indonesiane, malesi e quant’altre dell’Asia. E tuttavia non si può non concordare con la sua conclusione: "nell’ultimo secolo il tasso di disumanità [della guerra] ha subito una forte e inedita impennata".
Resterebbe da spiegare il perché e qui il nostro s’impapocchia alquanto. Appare impedito a ricordare (forse non le ignora) alcune cose semplici semplici che il marxismo ha affermato, con Lenin, Trotzkij, Luxemburg, Bucharin ed altri in tempo, per dir così, reale, già nel corso della prima guerra mondiale. E cioè che per l’appunto alla fine dell’800, le date coincidono, il capitalismo (qualcosa di assai più preciso del "noi moderni"…) ha raggiunto il suo stadio massimo di sviluppo e di concentrazione, quello monopolistico; che in questo stadio, che chiamiamo imperialismo, essendosi già compiuta la formazione del mercato mondiale, la concorrenza tra i grandi potentati capitalistici ed i rispettivi stati si è trasformata in una lotta per la spartizione e la ri-spartizione di detto mercato; che questa lotta si svolge con mezzi "pacifici" ma sempre più spesso bellici, donde il fenomeno nuovo nella storia dell’umanità delle guerre mondiali, che sono guerre capitalistiche e meritano a pieno la qualifica di guerre terroristiche; che in questa sua fase "estrema" il capitalismo, pur continuando a far crescere e con grande intensità, in dati periodi, le forze produttive, con altrettanta inedita sregolatezza poi, in altri periodi, torna a follemente distruggerle, non solo a mezzo delle ‘normali’ crisi economiche; che, in generale, questa epoca del capitalismo imperialistico è un’epoca in cui la violenza e l’oppressione capitalistica sul proletariato e sulle masse (ossia: l’ipertrofia degli apparati statali, altro che "scomparsa degli stati"!) raggiungono l’estremo, tanto in pace quanto in guerra.
La guerra è, da sempre, co-essenziale al capitalismo quanto lo sfruttamento del lavoro salariato, ed è a questo funzionale. Lo è tanto più nel capitalismo decadente del ventesimo e ventunesimo secolo che ha visto gli stati più forti, gli stati imperialisti produrre e usare (ricordate Hiroshima, la guerra di Etiopia o le guerre all’uranio impoverito?) armi di distruzione di massa. Usarle in modo tanto più cinico e crudele quanto più vedono salire dalla sterminata massa degli sfruttati del mondo, dal capitalismo stesso, creata e "provocata" alla lotta, lo spettro della ribellione e della rivoluzione.
Sì, il ventesimo secolo, che è stato il secolo, per certi versi, del massimo trionfo del capitalismo può essere considerato "il secolo più crudele nella storia dell’umanità". Sì, per davvero, con la prospettiva della guerra infinita proclamata dalla Casa Bianca "il nuovo secolo non preannuncia nulla di buono" sul versante del capitale. La buona novella può portarla, a se stesso e all’intera umanità, solo un nuovo movimento proletario che sia in grado di opporre alle guerre reazionarie a catena che USA e Europa preparano la sua vecchia consegna: guerra alla guerra, guerra rivoluzionaria al capitalismo per il comunismo.