Nelle immagini, alcuni momenti della splendida manifestazione
a Vicenza in occasione dello sciopero generale provinciale di
otto ore dei lavoratori immigrati.
Un’iniziativa di lotta per la difesa della propria dignità e anche di quella dei lavoratori italiani (anche se questi ultimi al momento non sembrano percepirlo). Torneremo in dettaglio sull’iniziativa nel prossimo numero. |
"Incidenti"Il 24 marzo a Roma l’associazione degli immigrati albanesi Illiria ha organizzato una manifestazione per l’"incidente" della Kater i Rades. La nave carica di immigrati, soprattutto albanesi, fu speronata da una nave della Marina militare italiana. Era il marzo del 1997. La direzione delle operazioni non faceva capo a Le Pen o a Haider o Fini… ma al governo dell’Ulivo… Più di mille. Tanti sono (ufficialmente) gli immigrati morti da allora al largo della Puglia della Calabria e della Sicilia. In altri "incidenti", naturalmente… Come quello avvenuto nel marzo scorso al largo di Lampedusa, in cui -lo ha denunciato un gruppo di pescatori siciliani- le navi militari sono rimaste a guardare la richiesta di aiuto di decine di immigrati scaricati in mezzo al mare dai piccoli trafficanti che stivano e trasportano gli schiavi del Duemila. "Non abbiamo fatto nulla perché noi non dobbiamo fare nulla", hanno scritto in una lettera a Liberazione alcuni uomini della Marina italiana. "Poco tempo fa, più o meno nella stessa zona di mare, per una imbarcazione di lusso in difficoltà (otto passeggeri più l’equipaggio) si sono subito levati in volo tre elicotteri e sono partite cinque nostre unità. Allora nessuno aspettò che si muovessero i maltesi! Ieri il nostro pattugliatore Cassiopea, avvisato dai coraggiosi pescatori dell’Elide sulla gravissima situazione, ha avuto l’ordine di tenersi lontano dal luogo del naufragio." "Incidenti"… Da piangere (a parole), da invocare (nei fatti) affinché i lavoratori terzo-mondiali in viaggio verso l’Eldorado non vi arrivino con troppi grilli in testa, si rassegnino al fatto che sono "cose parlanti" e si tengano ben stretta la schiavitù che i capitalisti d’Occidente, i grandi trafficanti di braccia del Duemila (e di corpi di donne o di organi di bambini…), sono amorevolmente disposti a concedere loro qui in Europa. Alla manifestazione di Roma erano presenti e sono intervenuti decine di immigrati di altri paesi dell’Europa dell’Est, dell’America Latina e dell’Asia. Insieme agli albanesi dell’Illiria hanno gridato che non vogliono un risarcimento monetario per i morti affondati. Vogliono che gli "incidenti" finiscano, e che finisca l’"incidente" quotidiano autore di ben più vasta strage a valle e a monte del viaggio. Da un lato l’"incidente" del saccheggio neo-"coloniale" dell’Est e del Sud del mondo. Dall’altro l’"incidente" del razzismo e del super-sfruttamento nelle metropoli occidentali. Nell’unità fraterna tra il piccolo gruppo di immigrati di nazionalità diverse in piazza a Roma il 24 marzo, nel loro generoso sforzo di opporsi ai tentativi dei governi occidentali di sedimentare l’ostilità e l’indifferenza reciproca (ad esempio quella tra albanesi e slavi o quella tra indiani e pakistani), c’è in germe il mezzo per non far rimanere questa rivendicazione un sogno. E tale, non rimarrà!
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Otto marzo a RomaUn’assemblea di lavoratrici immigrateLe recenti mobilitazioni contro la legge Bossi-Fini hanno visto manifestare in piazza in modo meno "timido" che nel passato anche le lavoratrici immigrate. A Roma, inoltre, sulla spinta delle mobilitazioni più generali, un gruppo di lavoratrici (quasi tutte "badanti" e colf) provenienti dalla Moldavia, dall’Albania e dall’America Latina ha iniziato, sia pure con discontinuità, ad incontrarsi e a discutere collettivamente per la costituzione di un coordinamento di lotta delle immigrate. Questo gruppo di donne, in occasione dell’8 marzo, ha promosso un’assemblea (oltre cento immigrati presenti, l’80% donne) in cui si è ribadita la necessità di "autoattivizzarsi e autorganizzarsi come donne per collegarsi e lottare insieme con gli immigrati maschi per i diritti di tutti e per il permesso di soggiorno". Nel dibattito, diverse lavoratrici immigrate hanno preso per la prima volta la parola in pubblico e hanno con semplicità e chiarezza denunciato la loro condizione di triplice oppressione (di classe, di razza e di sesso). Mentre una fetta di immigrate è costretta a subire sulle strade delle nostre città un autentico stupro etnico, un’altra parte di esse "vive" segregata per 12-14 ore al giorno nei dorati appartamenti del ceto medio italiano. Schiava sessuale o schiava domestica (e quando "va bene" impiegata con turni massacranti e salari infimi nelle ditte di pulizia, nelle mense o in altre aziende), ecco il ruolo che la nostrana "superiore civiltà" riserva alla donna immigrata. Sottoposte a mille controlli e mille "tutele" (non ultima quella delle istituzioni ecclesiastiche con il loro "caporalato istituzionalizzato" nel collocamento delle colf) queste donne (la cui vita lavorativa è spesso un impasto di fatica, solitudine ed umiliazioni che non lascia spazio a socialità alcuna) incubano però una carica di vitalità e di disponibilità alla lotta che, seppure ancora compressa, si preannuncia di una forza dirompente, proporzionale all’oppressione che quotidianamente subiscono. Dopo questa riuscita assemblea, le immigrate stanno incontrando difficoltà a dare continuità alla loro azione. Ciò è dovuto alle massacranti e dispersive condizioni di lavoro cui sono soggette, al grande e colpevole ritardo in materia tuttora presente nella classe lavoratrice italiana (in entrambe le sue componenti maschile e femminile), al "disinteresse" verso tale tema radicato nella massa degli immigrati maschi. A tutto ciò va "ovviamente" aggiunta l’azione governativa che -tramite la promessa sanatoria per colf e "badanti"- mira a frazionare il movimento degli immigrati e ad ostacolare la partecipazione delle donne alle mobilitazioni ed alle lotte. Noi, come comunisti internazionalisti, sosteniamo pienamente lo sforzo di auto-organizzazione delle proletarie immigrate. E chiamiamo le donne e i proletari italiani, e gli stessi lavoratori immigrati a non guardare con sospetto alla scesa in campo delle lavoratrici immigrate e alla loro richiesta di protagonismo. Al contrario, a darsi da fare per sostenerle (organizzativamente e politicamente) in quanto parte vitale per lo sviluppo del movimento di lotta degli immigrati, di quello delle donne e di quello dei lavoratori d’Italia verso un unitario movimento di lotta contro i padroni, lo stato italiano e le catene del sistema capitalistico. |