Un portavoce delle Brigate Al-Aqsa conferma che è intenzione del suo gruppo organizzare in tempi brevi unità di donne combattenti. "L’esempio della martire Wafa Idris ha spinto molte ragazze a dichiararsi pronte a lottare e sacrificarsi. La lotta per la liberazione non fa distinzione fra uomini e donne." Il manifesto, 9 marzo |
Le piazze dei vostri paesi si sono riempite contro l’aggressione israeliana nella West Bank. L’ampiezza delle manifestazioni, la rabbia e l’odio che avete espresso contro lo stato di Israele, gli Stati Uniti e le potenze occidentali false e ipocrite, le critiche implicite ed esplicite alla "moderazione" dei governi arabi: tutto ciò supera, per certi versi, quanto si era visto in occasione dell’aggressione all’Iraq di dieci anni fa. Siete scesi in centinaia di migliaia per le strade di Damasco chiedendo il boicottaggio delle merci anche statunitensi, un milione e mezzo nello Yemen, qualche milione in Egitto, tre milioni circa in Marocco in una manifestazione autorizzata dal re, e ancora in Iraq, Iran, nella stessa Arabia Saudita dove ogni manifestazione pubblica è proibita, in Bahrein e, dopo la non proprio bella figura del vertice arabo di Beirut, ancora in tutti i paesi della Lega Araba con toni di evidente delusione e rabbia verso i risultati del vertice, una volta di più assolutamente innocui per Israele.
La reazione è stata diffusa e omogenea, segno dell’enorme potenzialità delle vostre forze, delle forze di chi vive del proprio lavoro, se solo si unissero. È come se le immagini di Al Jazeera che dai territori palestinesi entrano nelle vostre case portando scene di morte e distruzione avessero sintonizzato su una medesima lunghezza d’onda il vostro sentimento di rabbia. E in effetti è sempre più palese ai vostri occhi l’intreccio profondo che lega i diversi angoli del mondo arabo-islamico, della sua maggiore esposizione come insieme alla politica imperialista di cui lo stato israeliano è la testa di ponte, e di una più profonda comunanza di condizioni e destini tra le masse oppresse di questa area. La coscienza di ciò è una delle condizioni della vostra lotta, ed è quello che temono i media e i poteri occidentali.
Dalle mobilitazioni è emersa la comune volontà di ingaggiare una vera lotta contro chi uccide impunemente (…cioè con la complicità della cosiddetta comunità internazionale) i fratelli palestinesi. Per questo avete chiesto ai governi arabi di fare finalmente sul serio, di passare ad azioni di concreta ritorsione contro lo stato israeliano, e di concreto sostegno all’Intifadah con soldi e armi. Avete giustamente denunciato l’appoggio degli Stati Uniti ai sionisti e la loro politica imperialista. Si fa strada, inoltre, fra più ampi settori di voi la richiesta di unirvi alla resistenza palestinese, di seguire l’esempio di quei giovani egiziani che hanno tentato di superare gli sbarramenti di confine per giungere a Gaza rimanendone uccisi (la stessa stampa governativa non ha potuto tacere il nome di Hemeida, il primo shahid egiziano caduto il quindici aprile scorso).
Di fronte a questa rabbia anche i governi filo-occidentali di Egitto, Marocco, Yemen e altri, sono stati costretti a dare "libera uscita" alla popolazione permettendole di manifestare. Ma quando la mobilitazione si è radicalizzata e ha mostrato di voler superare i limiti imposti dall’alto, la polizia non è andata per il sottile (così in Marocco, in Egitto -con scontri e un morto-, in Giordania dove è vietata ogni manifestazione non ufficiale pro-Intifadah nei campi palestinesi).
Alle chiare richieste delle vostre mobilitazioni, però, nessuno dei governi arabi legati all’Occidente ha dato uno straccio di risposta positiva. Mubarak, per esempio, ha fatto mostra di una certa rigidità verso Israele e Stati Uniti per non dare alimento allo scontento diffuso nel suo popolo, ma di rompere con questi due paesi neanche se ne parla (negli stessi giorni, anzi, era in discussione con emissari statunitensi un maggior ancoraggio all’economia yankee tramite l’istituzione di una zona di libero commercio. Del resto l’Egitto è, dopo Israele, il secondo paese beneficiario di "aiuti" Usa, sappiamo quanto velenosi). Un’ulteriore prova di ciò è la risposta di tutti i governi alla sfida lanciata ai poteri occidentali dall’Iraq con il blocco della vendita del petrolio: nessun governo l’ha raccolta (l’Iran si è detto disponibile… a patto che il blocco sia di tutti i paesi arabi produttori)!
È questo il nodo fondamentale che la vostra mobilitazione deve affrontare. Voi giustamente sentite che in Palestina è in atto uno scontro che riguarda tutti gli oppressi e sfruttati dell’area, dal Marocco al Pakistan e oltre, e che bisogna rispondervi con una guerra generale di tutti i popoli arabi. Questo obiettivo comporta uno scontro a fondo con l’imperialismo (che si prepara a frantumare la Palestina in piccoli bantustan, l’Iraq in tre parti, l’Afghanistan…) e il suo bastione locale, lo stato israeliano (che ha già detto di esser pronto a usare l’arma nucleare). Sono nemici formidabili che possono essere affrontati efficacemente solo svolgendo una serie di compiti non più rinviabili.
Insieme alle foto di Sharon e Bush ieri a Gaza bruciava anche una bara con la
scritta ‘Lega araba’. La rabbia dei manifestanti palestinesi questa
volta non ha risparmiato nemmeno i governi arabi: "oggi bruciamo la
Lega araba, che ha lasciato da soli il nostro popolo e il nostro
presidente", recitava uno striscione…"
dal manifesto, 2 aprile |
Noi vi diciamo fraternamente -con la franchezza di chi appoggia incondizionatamente la vostra lotta antimperialista e nei limiti delle proprie forze chiama i lavoratori d’Occidente a farla propria contro il comune nemico- che questa battaglia i governi e le forze borghesi arabe legate all’Occidente non la faranno mai, tanti e tali sono i rapporti che hanno, per i propri interessi di classe, col mercato mondiale e con le forze che su di esso dominano. Mai e poi mai potranno ingaggiare una lotta a fondo contro i signori del dollaro e dell’euro perché ciò metterebbe in discussione il proprio stesso potere che è legato, per quanto in infima posizione, allo sfruttamento del lavoro delle masse lavoratrici arabe, di cui hanno ricevuto in appalto dagli imperialisti una sottoporzione.
Tanto meno si può fare affidamento sui governi europei e sul loro presunto contrasto di interessi con gli Stati Uniti. Questo contrasto esiste, certo, ma verte esclusivamente su come e quanto rapinare le ricchezze del mondo arabo e su come spartirsele, ma non se rapinarlo.
L’unico soggetto che può farsi carico della lotta contro lo stato israeliano e i suoi padrini è quello che non ha nulla da perdere, e al contrario tutto da guadagnare dal suo rovesciamento: le masse oppresse dell’intera regione! La loro forza potenziale è immensa, ma ha bisogno di essere organizzata e centralizzata. Per fare ciò è necessaria l’attivizzazione in prima persona degli oppressi, la loro organizzazione diretta, non delegata o surrogata da niente e nessuno. È necessario, dunque, per battersi veramente contro Israele e l’imperialismo sollevare la bandiera del riscatto sociale, dare alle masse povere la prospettiva di un’emancipazione complessiva che deve mettere nelle loro mani le risorse dell’area distruggendo le diseguaglianze e le ingiustizie.
Voi avvertite già l’esigenza dell’unità, la riprova è che molti di voi si orientano a cercare un programma unitario (che l’islamismo radicale e internazionalista si candida a raccogliere e rappresentare) che unifichi il mondo arabo-islamico per una guerra generale all’imperialismo e allo stato di Israele. Ma, proprio ciò implica uno scontro con le forze sociali e le direzioni politiche al potere attualmente nel mondo arabo nella prospettiva di un loro rovesciamento. Allo scatenamento di un’aperta lotta di classe dentro la società araba si oppone tanto l’islamismo internazionalista che quello di Hamas (perché rivelerebbe come illusoria la comunità interclassista che vagheggiano). Esso viene osteggiato anche da raggruppamenti come Tanzim, che pure denunciano con fermezza gli "speculatori" palestinesi. Per realizzarlo davvero è indispensabile, dunque, un salto ulteriore sul piano politico e organizzativo.
Le masse sfruttate del mondo arabo e islamico devono lavorare alla propria unificazione, al di sopra e contro gli attuali confini statuali, devono passare al proprio armamento diretto, richiamare con un proprio protagonismo e programma radicale di emancipazione i settori finora rimasti passivi e l’immenso potenziale rappresentato dalle donne -dalla cui scesa in prima fila la lotta degli oppressi ha tutto da guadagnare e nulla da temere-, unire la radicalità dell’immensa schiera dei diseredati delle campagne e delle periferie urbane con l’esperienza di organizzazione dei lavoratori sindacalizzati.
La lotta del popolo palestinese ha iniziato questo percorso. Nel corso dell’Intifadah si sono sviluppati organismi di massa, migliaia di giovani e donne disposti a battersi con la propria vita hanno cominciato a partecipare in prima persona alla lotta e all’organizzazione, le svendite e i compromessi di certi suoi "capi" sono stati duramente contestati e talvolta bloccati, la denuncia degli stati imperialisti che stanno dietro Israele si è fatta sempre più esplicita. Con ciò anche la società araba si è inevitabilmente polarizzata tra chi, in alto, contrasta questa battaglia e chi, la massa degli oppressi, è disponibile a farla propria.
L’Intifadah non può portare a termine da sola questi compiti, un salto della lotta rivoluzionaria contro l’imperialismo è indispensabile in tutta l’area per saldare le istanze di lotta di tutte le masse arabo-islamiche superando la ristrettezza del nazionalismo arabo e dell’islamismo e per fondarle sugli interessi del proletariato e delle masse oppresse senza farsi deviare dall’appello a un’impossibile unità delle diverse classi nel popolo.
Bandiere verdi islamiche e rosse popolar-democratiche sventolano insieme nelle manifestazioni in Palestina. Questa co-presenza è simbolo della necessità di riunificare le forze degli sfruttati in una prospettiva che non è né quella nazional-democratica né quella islamista, ma quella di un internazionalismo proletario e comunista.
Questo superamento in avanti non è cosa che possiamo chiedere solamente a voi sfruttati arabo-islamici. Noi stessi sappiamo che può avvenire se il proletariato internazionale per primo saprà finalmente mettere in campo una battaglia vera contro il capitalismo e l’imperialismo, nella prospettiva della distruzione di un sistema basato su oppressione e sfruttamento, sulle cui ceneri organizzare una comunità mondiale umana di chi lavora finalmente libera dal denaro e dal mercato.