Dal patriottismo al pacifismo verso l’antimilitarismo di classe
Sotto il nome di operazione "libertà duratura", l’esercito degli Stati Uniti sta facendo piovere bombe e missili cruise sull’Afghanistan. Dopo settimane di eccitamento dell’isteria in nome della giustizia e della necessità di difendere lo stile di vita americano facendo leva sui sentimenti della popolazione e sul suo desiderio di una qualche reazione agli attacchi [dell’11 settembre], si dà ora per scontato che noi applaudiamo e salutiamo con gioia questa versione tecnologica della giustizia da selvaggio West, allineandoci ad essa. Dal richiamo di G.W. Bush ai vecchi manifesti "Wanted -vivo o morto" fino alle immagini su internet di bin Laden posto nel mirino di un cecchino, siamo chiamati a sostenere questa nuova guerra statunitense come un gregge di pecore.
Ma noi veterani sappiamo molto bene per l’esperienza che abbiamo fatto nell’esercito statunitense che questa guerra non si fa per la giustizia, si fa, invece, per difendere in tutti i modi gli interessi del dominio statunitense. Lo sappiamo perché siamo stati proprio noi a fare il lavoro sporco di questo paese nel Golfo, a Panama e nel Vietnam, solo per fare alcuni esempi. Noi abbiamo visto con i nostri occhi, tanto per cominciare, che lo stile di vita americano si realizza sulla pelle dei popoli del mondo, in particolare di quelli del cosiddetto Terzo Mondo. Sappiamo, inoltre, che non c’è nulla di nuovo in questa guerra, dato che è da decenni che gli Usa sono in guerra con i popoli del Medio Oriente. La realtà è che la sola libertà che si difende con questa guerra è la libertà degli Usa di imporre i propri ordini al resto del mondo.
Sostenendo di avere elementi certi su chi ha effettuato questi attacchi, elementi che in accordo col vero spirito della giustizia "americana" si rifiutano di rendere pubblici, G.W. Bush&C. hanno chiamato in causa Osama bin Laden. Oltre l’Afghanistan, essi hanno preavvertito l’Iraq e altri paesi del Medio Oriente che saranno colpiti dai verdetti della giustizia imperiale. Se non c’è dubbio che Osama bin Laden sia un mostro, non dimentichiamoci, però, che egli è una delle creature della Cia. Fino a non molto tempo fa, egli, come Saddam, Noriega, Fujimori, Marcos ed un’altra schiera di gente simile prima di loro, era un amico di questo paese quando si prestava a fare il nostro lavoro sporco. Gli Stati Uniti hanno assicurato volentieri denaro, armi e addestramento sia a bin Laden che ai taleban per incoraggiarli e sostenerli nella guerra contro l’Unione sovietica. L’intento statunitense era di trasformare l’Afghanistan nel Vietnam dei sovietici. Tuttavia, come spesso accade, perfino i più studiati piani dell’imperialismo vanno in vacca, e così anche bin Laden, come altre precedenti creature degli Stati Uniti, si è rivoltato contro il proprio padrone -una cosa che è accaduta talmente spesso da costringere la Cia a coniare un termine ad hoc per essa, "blowback", ovvero un colpo che ritorna indietro. La differenza è che questa volta il colpo è tornato indietro dentro il territorio degli Stati Uniti e ha portato qui la realtà del terrore, provocando uno shock nel cuore stesso di questo paese.
Bush e i governanti di questo paese vorrebbero che noi credessimo i morti negli attacchi dell’11 settembre più importanti di coloro che sono caduti nel 1999 a seguito del bombardamento Usa/Nato di un convoglio di rifugiati albanesi [in Kosovo], o di quanti morirono in Sudan a seguito di un attacco Usa condotto con missili cruise contro la fabbrica di medicinali Shifa, o dei 400 iracheni riuniti in preghiera che nel 1991, durante la guerra del Golfo, perirono per effetto del bombardamento Usa del rifugio anti-aereo Amariya, o degli altri innumerevoli esseri umani che un po’ dovunque nel mondo hanno perso la vita per effetto di invasioni o di interventi armati statunitensi. Ma durante tutto questo tempo, in quanto terroristi al servizio degli Stati Uniti, noi abbiamo imparato che le vite della popolazione di questo paese non hanno più valore delle vite dei popoli del resto del mondo. Sappiamo per nostra diretta esperienza che la gente che ha ricevuto la sua ultima ora dalle bombe statunitensi aveva gli stessi sogni, gli stessi desideri della gente di questo paese -il sogno e il desiderio di tirar su le proprie famiglie e di vivere in pace con il resto del mondo. È questa la ragione per cui i veterani soffrono nel proprio intimo quando vedono grandi effusioni di simpatia e di partecipazione per le vittime dell’11 settembre e, all’opposto, una totale indifferenza per le vittime del terrore statunitense. Questo non vuol dire che non si dovrebbero piangere i morti dell’11 settembre; è giusto piangerli, e noi lo facciamo. Ma è necessario che mostriamo un dolore altrettanto forte, se non maggiore, per le vite che vengono falciate in nostro nome. Noi dobbiamo saper vedere oltre le parole e le menzogne dei nostri governanti per mettere fine alle invasioni e agli interventi, alle morti e alle distruzioni provocate dal nostro paese. È proprio con il mettere fine al dominio di questo [nostro] paese che è il più grande terrorista del mondo, che faremo un passo in direzione della fine definitiva del terrorismo.
No alla guerra Usa!
Gli arabi non sono i nostri nemici,
sono nostri fratelli e nostre sorelle!
Il nostro dolore non è un grido di guerra!