Dal patriottismo al pacifismo verso l’antimilitarismo di classe
Noi ufficiali e soldati combattenti di riserva di Tzahal, che siamo stati educati nel grembo del sionismo e del sacrificio per lo stato di Israele, che abbiamo sempre servito in prima linea, che siamo stati i primi, per ogni compito, facile o difficile che fosse, a difendere lo stato di Israele e a rafforzarlo.
Noi, ufficiali e soldati combattenti che serviamo lo stato di Israele durante lunghe settimane ogni anno, nonostante l’alto prezzo personale che abbiamo pagato.
Noi che siamo stati in servizio di riserva in tutti i territori e che abbiamo ricevuto ordini e istruzioni che non hanno niente a che fare con la sicurezza dello stato, e il cui unico obiettivo è la dominazione sul popolo palestinese.
Noi che con i nostri occhi abbiamo visto il prezzo di sangue che l’occupazione impone su entrambe le parti di questa divisione.
Noi che abbiamo sentito come gli ordini che ricevevamo stavano distruggendo tutti i valori di questo paese.
Noi che abbiamo capito che il prezzo dell’occupazione è la perdita dell’immagine umana di Tzahal e la corruzione dell’intera società israeliana.
Noi che sappiamo che i territori occupati non sono Israele, e che tutte le colonie sono destinate ad essere rimosse...
Noi dichiariamo che non continueremo a combattere in questa guerra per la pace delle colonie, che non continueremo a combattere oltre la linea verde per dominare, espellere, affamare e umiliare un popolo.
Noi dichiariamo che continueremo a servire Tzahal in qualsiasi obiettivo che serva la difesa dello stato di Israele.
L’occupazione e la repressione non hanno questo obiettivo. E noi non vi parteciperemo.
"Nessuno si sveglia la mattina e si dice: ‘Oggi dirotterò un aereo e mi ucciderò’. E nemmeno: ‘Oggi mi farò saltare in aria in una discoteca di Tel-Aviv.’ Una decisione del genere matura nella mente di una persona in un lento processo che dura anni. Il retroterra della decisione è o nazionale o religioso, sociale e spirituale. Nessuna forma di lotta armata clandestina può operare senza radici popolari e senza un ambiente che fornisca nuove reclute, assistenza, nascondigli, soldi e mezzi di propaganda. (...) Gli attacchi terroristici danno sempre testimonianza dello stato d’animo popolare. Questo è vero anche in questo caso. Gli organizzatori dell’attacco hanno deciso di attuare il loro piano dopo che l’America ha provocato in tutto il mondo un’avversione immensa. Non per il suo potere, ma per come impiega il suo potere. È odiata dai nemici della globalizzazione, che la accusano per l’abisso terribile che si apre tra ricchi e poveri del mondo. È odiata da milioni di arabi, per il suo appoggio all’occupazione israeliana e la sofferenza del popolo palestinese. È odiata da molti musulmani, per il suo evidente sostegno al predominio ebraico nei luoghi sacri dell’Islam a Gerusalemme. E ci sono molte altre persone piene di rabbia perché sono convinte che l’America sostenga i loro aguzzini. Fino all’11 settembre 2001 -una data da ricordare- gli Americani potevano coltivare l’illusione che tutto ciò riguardasse soltanto gli altri, lontani al di là dell’oceano, che non toccasse le loro vite ben protette. Non più. Questa è l’altra faccia della globalizzazione: i problemi del mondo riguardano tutti quanti gli abitanti del mondo. Ogni caso di ingiustizia, ogni caso di oppressione. La distanza da Gerusalemme a New York è breve, e così la distanza da New York a Parigi, Londra e Berlino. (...) Al posto degli edifici distrutti di New York, devono essere edificate le torri gemelle della Pace e della Giustizia."
Uri Avnery, di Gush Shalom