Il movimento dei piqueteros


Il drastico precipitare delle condizioni di vita per i salariati e l’esplosione della disoccupazione (oggi ufficialmente al 25%) sono stati gli ingredienti essenziali per il "miracolo argentino" degli anni ’90. Che ha trovato i suoi maghi nei governi peronisti prima, di centro-"sinistra" poi, coadiuvati dalle stesse due principali confederazioni sindacali, la CGT e la CGT dissidente, i cui apparati dirigenti sono legati a doppio filo alla baracca dello stato borghese argentino. La tenace resistenza del proletariato ha dovuto trovare, perciò, altre strade per esprimersi fuori dal marciume istituzionale. Perlomeno dal 1996 cominciano a manifestarsi in varie zone del paese focolai di lotte, animate ed auto-organizzate da proletari disoccupati, i quali a più riprese picchettano e bloccano le grandi arterie che lo collegano. Nascono così i primi gruppi organizzati di piqueteros. Attorno ai loro picchetti, nelle "assemblee popolari" che gestiscono le lotte, vengono ad essere coinvolti altri lavoratori, giovani proletari e donne solidali con la lotta, insomma tutta una comunità proletaria si ritrova nelle mobilitazioni verso le quali lo stato democratico mostra fin da subito i suoi denti: i gendarmi, oltre ai manganelli, fanno spesso ricorso al piombo dei fucili, e le galere cominciano a riempirsi di "lottatori sociali". Per lunghi anni le battaglie dei piqueteros, pur diffondendosi e radicalizzandosi, rimangono isolate e scoordinate fra di loro, come dei fuochi di rabbia proletaria che prendono a bruciare ora in Patagonia, ora a Salta, ora a Cordoba, senza riuscire a diventare un solo grande incendio.

Il salto di qualità del movimento, il quale nel frattempo ha fatto da volano ad altre esperienze di lotta ed ha ora nelle sue fila tutta la gamma delle organizzazioni e dei militanti politici attivi della sinistra argentina, avviene nel 2001, quando è finalmente messo in atto il tentativo di coordinare ed unificare i vari movimenti di lotta. Il 4 agosto si tiene una prima assemblea nazionale alla presenza di militanti provenienti da tutto il paese, convocati dal sindacato SOECN (attivo alla Zanon) e dal tavolo di coordinamento: più di 700 tra delegati attivisti e lottatori sociali provenienti da diversi punti del paese, si incontrano al calore delle lotte dei piqueteros di Salta nel nord dell’Argentina. Le risoluzioni più significative approvate sono le seguenti:

Una seconda assemblea nazionale si tiene il 4 settembre e vede 3500 fra delegati, invitati, gruppi di disoccupati in via di formazione che si incontrano a Buenos Aires in rappresentanza di una forza organizzata di 30.000 proletari disoccupati in tutto il paese. Con il crescere del movimento vengono a definirsi le diverse "anime" che lo compongono. Che sono essenzialmente due: la prima tenta la "istituzionalizzazione" del movimento, tenta cioè di incanalarne le lotte verso una riforma del sistema, smussando la radicalità delle forme di lotta e delle rivendicazioni lanciate, prima fra tutte quella del non pagamento del debito estero, di cui la corrente moderata interna al movimento chiede la semplice rinegoziazione. Incarnazione principale di questa corrente è la CTA, ossia la terza centrale sindacale del paese, i cui vertici si sono distinti nei giorni caldi della rivolta per aver disertato le piazze arrivando in seguito a condannare "gli episodi di violenza contro banche e supermercati" ad onta del fatto che fra la trentina di morti fatti dalla violenza poliziesca vi fossero alcuni suoi militanti.

La seconda è rappresentata, invece, da diversi organismi di base, come il Coordinamento dei lavoratori disoccupati Anibal Veron, che contestano la via moderata sia nelle forme che negli obiettivi della lotta, e cominciano a porre la questione dello scontro generale aperto e dell’abbattimento del sistema.

Ancora una volta è la voce delle Madres de Plaza de Mayo, "le vecchie dal fazzoletto bianco", ad alzarsi e a colpire nella direzione giusta nel dibattito all’interno del movimento: "Di fronte alla gravità della crisi che ci schiaccia ed emargina distruggendo ogni nostro progetto, non possiamo essere così tiepidi e mediocri, la resistenza deve essere rivoluzionaria, senza mezzi termini: bisogna lottare per la vita contro il capitalismo" (Hebe Bonafini, 8 agosto 2001).