Nei mesi a cavallo tra il vecchio ed il nuovo anno i lavoratori immigrati sono tornati a scendere in piazza in varie città italiane fino a giungere alla riuscita manifestazione nazionale del 19 gennaio a Roma. La mobilitazione ha trovato il suo punto di coagulo nella comprensione generalizzata da parte degli immigrati di quanto duro sia l’attacco sferrato ad essi dalla nuova normativa del governo Berlusconi ed ha ricevuto ossigeno anche dalla, sia pur relativa, tenuta del movimento "no-global" nonché dai primi timidi segnali di ridiscesa in campo dei lavoratori italiani. Allo stesso tempo la lotta degli immigrati è riuscita a tratti a far emergere e ad affrontare alcuni nodi politici centrali anche per la ripresa del più generale e complessivo movimento operaio e proletario delle metropoli occidentali.
Nel momento in cui scriviamo la legge Bossi-Fini sull’immigrazione è in discussione alle camere. È probabile che durante l’iter parlamentare essa venga a subire modifiche e limature che comunque, in nessun caso, ne potranno incrinare l’essenza ed il portato pienamente razzista e discriminatorio.
La nuova proposta di legge prevede tra l’altro procedure più "snelle ed efficaci" per le espulsioni, rafforzamento dei cosiddetti "centri di permanenza temporanei" (veri e propri lager per "clandestini"), maggiori ostacoli per i ricongiungimenti familiari, e, soprattutto, lega la concessione ed il mantenimento del permesso di soggiorno al contratto di lavoro: l’immigrato che viene licenziato o che comunque perde il lavoro, perde allo stesso tempo il diritto alla permanenza sul suolo nazionale ed è soggetto ad espulsione. In sintesi si tratta di una normativa che punta ad incrementare esponenzialmente il ricatto costante cui già sono quotidianamente sottoposti i lavoratori immigrati al fine di mantenere ed incrementare su di essi un regime di super sfruttamento, di ostacolarne ogni processo di organizzazione e lotta e di rafforzarne l’utilizzo, quindi, anche come massa di pressione verso il proletariato italiano. La Bossi-Fini è parte integrante del più complessivo attacco governativo contro l’intero mondo del lavoro. In un certo senso essa sintetizza ed evidenzia al meglio il reale e generale orizzonte confindustriale: legare e subordinare totalmente l’esistenza del lavoratore alle esigenze aziendali ed alle leggi del mercato, eliminare di fatto la possibilità di una reale contrattazione collettiva, precarizzare all’estremo il rapporto di lavoro abolendo ogni diritto, garanzia e tutela. Si parte dai "neri" per arrivare ai… "bianchi".
La nuova legge sull’immigrazione non è un fulmine a "ciel sereno". Il terreno su cui va a impiantarsi è stato già abbondantemente preparato per tempo dalla precedente azione di governo del centrosinistra. È stato proprio l’Ulivo con la legge Turco-Napolitano (votata anche da Rifondazione) a instaurare i campi di permanenza temporanea, a velocizzare ed efficientizzare le pratiche di espulsioni, a ricorrere alle forze di polizia contro gli immigrati in lotta, a inasprire i controlli alle frontiere (ricordiamo agli smemorati che Prodi era presidente del consiglio quando nel marzo ’97 la nave militare italiana Sibilla affondò nel canale di Otranto l’imbarcazione Kater I Rades carica di albanesi provocandone una strage), a rispondere picche ad ogni richiesta di sanatoria più o meno generalizzata, a predisporre insomma socialmente, politicamente e legislativamente il campo all’accelerazione berlusconiana. Signori Fassino, D’Alema e dell’Ulivo tutti: poche chiacchiere. La conquista e la difesa dei diritti degli immigrati non è compatibile con le esigenze del mercato e dell’economia nazionale, cioè con quegli idoli sacri a cui voi avete ispirato la vostra opera di governo e a cui quotidianamente rivendicate la più assoluta dedizione. Le vostre "vibranti" denunce contro la nuova normativa sono lacrime di coccodrillo e come tali meritano di essere trattate.
Il processo di costante e attiva sindacalizzazione e le mobilitazioni che, pur tra alti e bassi, nel corso di questi anni si sono di continuo sviluppate tra i lavoratori immigrati hanno iniziato a produrre e selezionare uno strato di autentiche avanguardie di lotta. E sono state proprio queste avanguardie che, appena reso noto il progetto di legge sull’immigrazione, hanno intuito la portata dell’attacco e compreso come fosse indispensabile reagire. Senza questi militanti provenienti da Africa, Asia, Est Europa e America Latina, senza questi militanti che spesso hanno iniziato a "occuparsi di politica" qui in Italia spinti dalle sofferenze e dai soprusi subiti quotidianamente e che sono legati a doppio filo con la massa profonda degli immigrati, non sarebbe stato possibile mettere in campo quel -poco o tanto che sia- livello di mobilitazione contro la legge Bossi-Fini che sino ad ora si è dato. E ciò non solo e non tanto dal punto di vista quantitativo, ma anche, e soprattutto, dal punto di vista qualitativo.
È stato infatti soprattutto grazie all’istinto di classe di queste avanguardie che nella lotta hanno cominciato a vivere -sia pur non senza difficoltà, incertezze ed incongruenze- due elementi che, da un lato hanno contribuito a dare forza e determinazione alla mobilitazione e che, dall’altro, al di là degli sviluppi immediati della "specifica" battaglia, potranno pesare in modo determinante e positivo nel più generale percorso di ripresa che attende l’insieme del movimento operaio. Primo: si è cercato con determinazione di entrare in contatto con il proletariato italiano per chiamarlo ad una comune lotta individuando nell’attacco all’articolo 18, alle spese sociali e nella Bossi-Fini vari aspetti di una medesima offensiva (pubblichiamo qui accanto l’appello ai lavoratori italiani stilato dagli immigrati). Secondo: ci si è sforzati di collegare l’ulteriore pesante giro di vite contro gli immigrati al montare della guerra infinita che la nostrana "superiore" civiltà conduce contro i popoli e le masse del Terzo Mondo, giungendo - a volte in modo esemplarmente chiaro - a sottolineare come la battaglia contro il razzismo non possa essere disgiunta da quella contro le aggressioni occidentali. La combattiva manifestazione di Brescia del 24 novembre scorso in cui dal palco operai dalla "pelle scura" indicavano a chiare note la necessità di stringersi in un unitario fronte con i lavoratori italiani, lo striscione d’apertura della manifestazione romana del 22 dicembre portato dalle donne sud americane e moldave che recitava "solidarietà e diritti contro la legge razzista Bossi-Fini e contro la guerra ai popoli del Sud del mondo ed ai migranti", sono stati dei piccoli, ma estremamente interessanti ed importanti segnali. Lo stesso andamento della ben riuscita manifestazione nazionale del 19 gennaio che ha visto sfilare nella capitale decine di migliaia di lavoratori immigrati insieme a decine di migliaia di giovani, donne e lavoratori italiani, deve far riflettere. Certo, alla manifestazione hanno dato la loro adesione il partito dei DS, i Verdi ed altre forze del centrosinistra. Certo, il sindaco Veltroni ha fatto capolino alla partenza del corteo ricevendo anche una dose (tutt’altro che oceanica) di applausi e, qua e là, durante il percorso si è affacciato in spot pubblicitari qualche parlamentare "progressista". Tutto vero, ma: uno, l’organizzazione e la preparazione della giornata di lotta ha visto un reale protagonismo dei lavoratori immigrati in carne e ossa; due, per la prima volta dal palco di una manifestazione di tale entità è risuonata per bocca degli immigrati una esplicita denuncia dell’azione di rapina, delle guerre, degli embarghi e della politica terrorista che le democrazie occidentali seminano per tutto il pianeta; tre (un portato anche dei primi due punti), nessun parlamentare o ex-ministro dell’Ulivo ha reputato opportuno andare a pavoneggiarsi sul palco.
Tutto a posto, dunque? No, non saremo certo noi a "farla facile". Sappiamo perfettamente che quanto appena sottolineato costituisce l’acquisizione di una, tutto sommato, ristretta avanguardia di immigrati. Sappiamo che tale acquisizione in queste stesse avanguardie è tutt’altro che irreversibile e che le pressioni materiali e ideologiche provenienti tanto dal governo, quanto dalla "opposizione" agiscono in senso contrario. Sappiamo quanto pesi in senso negativo la ancora troppo, troppo tiepida scesa in campo dei lavoratori italiani a sostegno di queste lotte. Sappiamo bene tutto ciò, ma sappiamo anche che queste preziose "questioncelle" sono state realmente poste all’interno delle mobilitazioni e che su di esse (senza mai sottacere le difficoltà) si può, si deve e si dovrà fare perno affinché il movimento di lotta (e ciò vale tanto per i proletari immigrati, quanto per quelli italiani) inizi a dotarsi di una prospettiva e di una politica di classe adeguata allo scontro a cui si è chiamati. E, tanto per cominciare, eviti di farsi spiazzare e dividere già nell’immediato da qualche mossa di "apertura" del governo Berlusconi.
Parallelamente all’inizio dell’iter parlamentare della Bossi-Fini, dall’interno del governo si è iniziata a far circolare con sempre maggiore insistenza la possibilità di operare una sanatoria "generalizzata" (che secondo alcune stime coinvolgerebbe circa trecentomila persone) per i lavoratori e le lavoratrici immigrate presenti sul suolo nazionale dallo scorso anno ed impiegati come domestiche o "badanti". Vari sono i motivi che hanno spinto il governo a prendere in considerazione questa "apertura": la pressione di settori della maggioranza favorevoli ad un approccio un tantino più soft al fine di rendere più "presentabile" la nuova normativa; le determinate e specifiche esigenze di quegli strati di ceto medio che utilizzano a iosa tale manodopera; la volontà di ammorbidire ulteriormente (sic!) l’opposizione ulivista; e, soprattutto, il tentativo di dividere gli immigrati e di impedirne una loro unificazione a scala nazionale al di là delle comunità di appartenenza. "Finitela con la lotta e con altre mene del genere ed una parte di voi sarà regolarizzata": ecco il contenuto della mossa di marca governativa. Cibarsi di un simile boccone porterebbe inevitabilmente gli immigrati a dividersi comunità per comunità e città per città, a entrare in reciproca concorrenza, a finire nuovamente nelle grinfie della mafia (più o meno istituzionale) dei certificati falsi, a disfare quel tanto di preziosissimo tessuto organizzativo unitario che sino ad ora ci si è riusciti a dare. Spingerebbe allo stesso tempo le donne immigrate (in teoria le più direttamente interessate dalla "sanatoria") ad abbandonare la strada della scesa in lotta che con tanta tenacia e contro mille e mille difficoltà hanno iniziato a percorrere, privando in tal modo il movimento di una sua fondamentale ed importantissima linfa vitale. Affinché il provvedimento di "messa in regola" prospettato (al momento in cui andiamo in macchina non si hanno certezze in materia) non si traduca in un micidiale boomerang per la massa degli immigrati -inclusi gli eventuali beneficiari- è assolutamente indispensabile, al contrario, rafforzare e radicalizzare ulteriormente la battaglia contro la Bossi-Fini e rinsaldare i legami organizzativi che, quant’ancora flebilmente, si sono iniziati ad intrecciare nei mesi trascorsi. Ogni ipotesi di scambio tra "sanatoria" -quand’anche più ampia del preannunciato- ed accettazione della Bossi-Fini va rifiutata radicalmente: questa legge, come si è gridato nei cortei, andava e va respinta in blocco.
Numerose e multiformi sono le sirene che - in nome di un dialogo con la "parte sana e disponibile" delle istituzioni e del parlamento – indicano, quale "via maestra", la necessità di assumere giorno dopo giorno una politica di fatto sempre più "concreta, moderata e ragionevole". Simili "richiami" possono trovare più di un eco tra i lavoratori immigrati su di cui, soprattutto in assenza di una aperta e dispiegata scesa in campo della classe operaia italiana, grava pesantemente un tuttora notevole isolamento politico e sociale. Ma una politica di tal genere sarebbe semplicemente disastrosa. Pensare, ad esempio, di poter recuperare nelle trattative separate con i comuni e le regioni (magari dove governano quei bei campioni d’antirazzismo del centrosinistra) ciò che si perde a livello centrale è una pia illusione, e condurrebbe il movimento a disperdersi in mille rivoli localistici, minandone la sua unitarietà che costituisce il suo principale fattore di forza.
Al contrario, per consolidare e ampliare le forze sinora messe in campo, il movimento degli immigrati (che è per noi sempre e comunque parte integrante del più generale movimento operaio e proletario e i cui passaggi di conseguenza non possono essere visti in maniera avulsa dalle difficoltà e dagli sviluppi dell’insieme del movimento di classe) è chiamato a radicalizzare i suoi obiettivi e le sue prospettive politiche e a proiettarsi oltre i confini nazionali.
La rivendicazione del permesso di soggiorno per tutti (vecchi e nuovi entrati) e senza condizioni deve, ad esempio, in virtù della sua valenza unificante, cominciare ad essere vista come un reale obiettivo della lotta e non come un semplice ("troppo bello per essere vero") slogan. Del pari anche altri bisogni accomunanti la massa dei lavoratori e delle lavoratrici immigrate come quello della casa, di una istruzione non discriminante per i propri figli, della parità di trattamento nei luoghi di lavoro, della piena integrazione nella vita sindacale e politica non possono più essere lasciate sullo sfondo, per una futura seconda fase della lotta, e non debbono essere circoscritte a quanti sono in condizioni regolari, ma debbono integrarsi stabilmente, in quanto bisogni irrinunciabili di tutti gli immigrati, con la rivendicazione preliminare del permesso di soggiorno. E se la nuova normativa in preparazione non è un "incidente di percorso", se essa è un punto fondamentale del programma di governo, se è parte integrante dell’attacco all’intero mondo del lavoro, se quindi non si tratta di battersi per ovviare ad una "specifica" politica "sbagliata", ma si è chiamati a scontrarsi con l’intero impianto dell’azione governativa, allora, ai lavoratori immigrati, che si sono e si stanno battendo con magnifico coraggio, diciamo con franchezza: per dare prospettiva alla vostra (e nostra) lotta, bisogna assumere l’obiettivo politico di concentrare le forze contro il governo Berlusconi per sconfiggerlo e farlo cadere. Dobbiamo farlo insieme naturalmente, poiché non intendiamo scaricare sulle spalle "altrui" il fardello che ad oggi noi, classe operaia indigena, non sembriamo in grado di portare. Al contrario, lavoriamo e chiamiamo a lavorare affinché le lotte di queste due sezioni del proletariato si carichino entrambe della valenza politica indispensabile a battere in piazza questo governo anti-proletario e, in questa battaglia, a stringersi maggiormente in unità. Qui e alla più ampia scala, almeno europea, rompendo la separazione innaturale della nostra lotta da quella che i lavoratori immigrati (e il proletariato tutto) stanno conducendo "altrove".
Gli immigrati, di fronte all’offensiva berlusconiana sono stati costretti a reagire a scala nazionale e ad intessere contatti politici ed organizzativi anche oltre i confini di ogni singola "comunità". Africani, asiatici, europei dell’Est, arabi e latino americani si sono organizzati comunemente ed hanno lottato comunemente. Infatti se è vero che il riferimento alla "propria comunità nazionale" è la prima forma "spontanea" con cui l’immigrato tende ad organizzarsi, è altrettanto vero che si è intuito che ad un’offensiva generale non si può più rispondere separatamente e per vie centrifughe. Questo processo è stato tutt’altro che "semplice" e "spontaneo" ed è tutt’altro che irreversibile: enormi ricatti e pressioni spingono in senso opposto. All’ordine del giorno vi è dunque una seria battaglia politica da condurre tra le fila degli immigrati affinché tale tendenza si consolidi e si rafforzi, iniziando anche a porsi concretamente il problema di come collegarsi alle lotte degli immigrati nel resto d’Europa e aventi obiettivi sempre più spesso identici a quelle "italiane".
Che qui, nel cuore della metropoli, indiani e pakistani, slavi ed albanesi, musulmani ed ortodossi si battano fianco a fianco e si riconoscano uguali in quanto sfruttati ed oppressi è di fondamentale importanza. E ciò non solo per gli esiti delle mobilitazioni "contingenti", ma anche perché questo affratellamento nella lotta può iniziare ad agire da vero e proprio antidoto contro la criminale azione dell’imperialismo che è costantemente impegnato a creare, attizzare e rinfocolare conflitti "etnici e religiosi" ai quattro angoli del mondo. Un antidoto che a date condizioni avrà la facoltà di dimostrare i suoi benefici effetti in modo molto indigesto per i signori del dollaro e dell’euro e contro la cui "scoperta" costoro non a caso si impegnano forsennatamente. Alla sua diffusione noi invece ci adoperiamo ed invitiamo ad adoperarsi.