Da "tute bianche" a guardie bianche? (*)


Indice

L'opposizione da sceneggiata


I fatti

Si sono moltiplicati, negli ultimi mesi, in Veneto gli episodi in cui esponenti delle "tute bianche", e segnatamente del centro "sociale" Rivolta (!?), hanno aggredito o minacciato compagni appartenenti a formazioni anti-razziste, anti-imperialiste, anarchiche. La cosa ha toccato da vicino anche noi dell’OCI poiché in più di una circostanza si è preteso o tentato di non farci diffondere la nostra stampa e i nostri volantini, mentre è ormai diventato abituale che la nostra propaganda murale sia sistematicamente defissa, strappata o coperta con assoluta tempestività da mani inequivocabilmente bianche, arrivate, in un caso estremo, a scrivere su una locandina che fare "a morte" con accanto una A cerchiata (qualunque anarchico vero non sarebbe neppure sfiorato da un’idea del genere, e dunque…).

L’"opposizione" da sceneggiata

"…A scatenare quei comportamenti che critichiamo ha contribuito un ruolo negativo dei media, che hanno lavorato per mesi alla criminalizzazione del movimento. A me le parole di quel Casarini facevano pensare più a un gioco delle parti con i vertici delle forze dell’ordine che non a una dichiarazione di guerra….."

(il manifesto, 18 agosto - intervista di Loris Campetti a una dirigente della polizia)

"[A Genova] non c’era nessun attacco da gestire: c’era da concordare un segnale simbolico per le Tute bianche, bastavano cinque centimetri di zona rossa… ma non è stato possibile contrattare nulla.

"La verità è che è stata tesa una grande trappola a un movimento sostanzialmente pacifico. (…) La pratica delle Tute bianche gioca proprio sulla rappresentazione di uno scontro che in realtà non si fa, sulla conquista alla disobbedienza civile delle tentazioni violente… perché non consentirla?"

(il manifesto, 29 luglio – intervista di Ida Dominianni alla deputata verde L. Zanella)

"Sulle Tute bianche, Pericu ha detto che il loro attacco alla zona rossa era virtuale. La Barbera che si trattava di una ‘sceneggiata concordata’, Andreassi di manifestazioni che restano sul confine della legalità, altri di un attacco selvaggio… Chi ha interesse a focalizzare il discorso su di loro? E perché questo pendolo fra fiducia e diffidenza?"

(il manifesto, 30 agosto – intervista di Ida Dominianni al deputato Ds A. Soda)

Questa pratica intimidatoria -che non ci intimidisce affatto- non è nuovissima. In anni passati, infatti, questa stessa brava gente andò coprendo e sfregiando a bella posta i nostri manifesti e striscioni che condannavano l’aggressione imperialista all’Iraq, e si segnalò poi per la medesima attività in più passaggi dell’aggressione imperialista alla Jugoslavia. Il pretesto, perfettamente falso, è che fossimo per Saddam e per Milosevic (per gente ammalata fin nelle midolla di individualismo borghese, si sa che le masse non sono in grado di fare storia, lo sono solo i capi, e dunque Iraq = Saddam, Jugoslavia = Milosevic…). In realtà dava loro fastidio il sostegno incondizionato assicurato da noi internazionalisti ai popoli colpiti dall’imperialismo ed in lotta contro di esso, e siamo certi che ancor di più gliene darà la nostra intransigente opposizione alla nuova crociata anti-islamica scatenata in questi giorni dagli Usa e benedetta dai loro (degli Usa e, insieme, dei Casarini) amici e sponsor dell’Ulivo. Dava fastidio perché la lotta anti-imperialista degli sfruttati di colore spezza la "pace" metropolitana e con essa, come poi è risultato chiaro a Seattle e Genova, cancella anche i margini di manovra delle "opposizioni" di sua maestà, tipo –appunto- quella targata in bianco.

Non è una pratica nuovissima non solo nei confronti dell’OCI ma anche nei confronti di altri segmenti del movimento, se è vero che in un recente testo di denuncia (che possiamo trasmettere a chi ce ne farà richiesta) si segnalano almeno 10 episodi, tra il 1995 e il luglio 2001, di segno, come dire?, squadristico. Episodi il cui contenuto politico è opportunamente sintetizzato, dall’estensore, in una serie di divieti: divieto di circolazione per alcuni compagni (sgraditi), divieto di internazionalismo non allineato (agli interessi dell’Italia), divieto di contestazione del centro-sinistra, divieto di critica, vietato l’uso del termine imperialismo, vietato di fatto il riferimento ai popoli oppressi, divieto di autonomia organizzativa, divieto di occupare centri sociali non allineati, vietato essere anti-razzisti indipendenti (dal colore non bianco), vietato manifestare fuori dal monopolio bianchista…

Una pratica non nuova, quindi. Ciò che è, invece, almeno parzialmente nuovo è l’infittirsi di questi episodi (l’ultimo, a fine settembre, ha visto una quindicina di esponenti del Rivolta (!?) circondare, insultare, minacciare e pesantemente invitare ad andarsene da un corteo di sostegno al popolo kurdo una militante della Rete Antirazzista di Venezia , rea di anti-razzismo non allineato) e l’accentuarsi della violenza fisica e verbale degli stessi. Per fare solo un esempio, in un comunicato del Rivolta (!?) datato 6 agosto, pochi giorni dopo il pestaggio da loro operato in campo S. Margherita a Venezia di alcuni giovani dell’area anarco-comunista rei di avere criticato giustamente lo smisurato opportunismo dei capi del Genoa Social Forum e il loro atteggiamento forcaiolo verso i Black Bloc, si legge (il destinatario delle minacce è uno degli aggrediti): "Ma com’è sta storia? Un grande rivoluzionario è in realtà un uomo di merda? Sì. Solo che ora, denunce o non denunce, deve stare molto attento. Perché gli rompiamo il culo a lui e ai suoi amichetti. Non per ‘politica’, solo per educazione. Se uno a 40 anni non sa ancora come ci si comporta, glielo insegniamo noi. Quindi, siccome il sopraccitato abita da queste parti, è meglio se i ‘compagni di Trieste, Verona, Vicenza, etc.’ gli trovano una casa. Anche se anche lì non è poi così tranquillo." Chiaro, no? Parzialmente nuovo, infine, è anche il fatto che comportamenti di questo tipo inizino a comparire, in particolare nei nostri confronti, anche in altre città oltre Venezia, sia pure in una forma per ora soft , con protagonisti altri esponenti del circuito di Ya Basta. In generale costoro si sentono impegnati attivamente a limitare e, se possibile, chiudere gli spazi all’azione dell’organizzazione comunista.

Qualcuno, perfino tra i colpiti, suggerisce di lasciar perdere; vuoi per quieto vivere politico, vuoi per vera e propria paura fisica. Non se ne parla neanche! E non perché, iddio ne scampi, ci interessi mettere il luce il violentismo anti-comunista di questi "pacifisti" (per noi scontato) e, tanto meno, per invocare un metodo più democratico (poiché costoro già agiscono da veri democratici trasportando dentro il movimento i metodi che la polizia democratica usa abitualmente nei confronti degli oppositori veri). Ne parliamo, e ne parleremo fino a quando non si sarà venuti a capo della questione, perché ci interessa aprire un dialogo con quei settori giovanili che hanno visto, e vedono tuttora, nell’esperienza delle "tute bianche" un momento di positiva aggregazione, un luogo in cui poter socializzare i propri bisogni e disagi, e (anche) uno strumento di contestazione e di lotta al "sistema". E l’oggetto di questo dialogo non può che essere, a partire dagli episodi su ricordati che forse non sono a loro conoscenza, la traiettoria lungo la quale è avviato da tempo il drappello di "personaggi" che guida le "tute bianche", e la stringente necessità, per quanti intendono davvero contestare il "sistema", o perfino solo lottarne le più perverse conseguenze, di separarsi dalla politica bianca.

La sceneggiata è finita.

Non c’è dubbio, per noi, che tanta aggressività dipenda dallo stato di crisi del movimento delle "tute bianche", crisi riconosciuta, per altro verso, dopo le giornate di lotta di Genova, dallo stesso Casarini: "A Genova abbiamo visto all’opera una logica imperiale di governo del mondo. Le tute bianche sono impreparate a fronteggiarla e hanno così esaurito il loro ruolo" (intervista a il manifesto, 3 agosto). Molto curioso, e indicativo, che solo a Genova costui abbia visto all’opera la democrazia imperialista con tutto il suo corredo di immensa e sistematica violenza repressiva, quella violenza che i popoli ribelli del Terzo Mondo assaggiano sulla propria carne da secoli e stanno subendo per l’ennesima volta in questi giorni, quella stessa che il cinquantennio di regime democristiano (bianco, a proposito…) ha fatto assaggiare in Italia a centinaia di proletari e compagni assassinati (di cui Carlo Giuliani è soltanto l’ultimo in ordine di tempo, non il primo) e a migliaia e migliaia di arrestati. Ma lasciamo perdere: se non gli risulta, non gli risulta. Il punto chiave è un altro: cosa mai si è reso evidente a Genova con la violazione dei patti conclusi tra gli apparati di polizia e i "leaders" del GSF? Si è reso evidente che il tempo della "opposizione" teatrante, della "disobbedienza civile" come sceneggiata pre-concordata e, diciamolo, adeguatamente foraggiata da parte delle istituzioni, è definitivamente concluso. E si è definitivamente concluso perché il livello di esplosività mondiale delle contraddizioni capitalistiche è tale da non poter più consentire neppure qui in Italia, il sempiterno paese dell’operetta, che vadano in scena rappresentazioni di piazza che anche solo "alludano" ad una vera lotta organizzata, e –meno ancora- che "alludano" allo scontro organizzato di piazza.

I capi delle "tute bianche" non se l’aspettavano. Per tutti gli anni ’90 avevano svolto con il massimo di libertà il compito di ricondurre nell’alveo istituzionale un certo malessere e blando dissenso giovanile, e hanno vissuto fino a Genova nell’illusione che questa cuccagna, contrappuntata da iniziative di vera e propria (remunerativa) imprenditorialità, potesse andare avanti all’infinito. Un "conflitto" sociale di bassa intensità, pre-definito fin nei particolari con i vari organi dello stato, con forme di apparente "illegalità" sempre filmate in diretta e ritrasmesse dai consenzientissimi massmedia legali, capace di dare voce e una parvenza di circuito "alternativo" a un settore del mondo giovanile indisponibile a seguire in toto i principi, le mode e i valori dominanti. Un "conflitto", che questi consumati (in ogni senso) professionisti sono sempre stati attenti a ricondurre nell’alveo della democrazia, cioè del capitalismo bianco e delle sue necessità, smorzando o attaccando sul nascere ogni forma di potenziale antagonismo. Da qui il loro smaccato, e reiterato, giuramento di anti-comunismo, essendo il comunismo il solo possibile sbocco di ogni reale antagonismo sociale e politico.

(Tutto il capitolo, punteggiato di episodi non poco grotteschi, dello "zapatismo" delle "tute bianche" meriterebbe di essere analizzato proprio sotto questo profilo: dal Chiapas, a dire loro, sarebbe venuta una proposta di "nuova" conflittualità, un conflitto più agito sul terreno virtuale e mediatico-simbolico che reale, un conflitto capace di superare le vecchie forme e i vecchi contenuti del conflitto di classe e della rivoluzione sociale per affermare una nuova –nuova?!- prospettiva di trasformazione graduale del potere, e addirittura di convivenza pacifica con "l’impero", ossia con l’imperialismo!)

Su queste basi si comprende facilmente perché costoro abbiamo potuto tessere un triplo filo di rapporti e di cordiali intese con le istituzioni borghesi, fatto anzitutto di sostanziale comunanza di prospettive politiche, di iniziative concordate, di facilitazioni nell’accesso agli spazi pubblici e privati, di appalti e di consulenze da sottopancia di sottogoverno. Ora, chi tiene saldamente in mano questo filo all’altro suo capo, ossia i poteri forti interni allo stato, lo sta tirando bruscamente a sé: ragazzi (si fa per dire, eh), la ricreazione è finita! Un certo vostro "ruolo" da pifferai "magici" (si fa per dire, eh) si è esaurito. Ora si depone il piffero, gli arieti finti, le catapulte finte, gli scontri finti e tutti gli altri ammennicoli da commedia, e si deve lasciare il campo libero (e con una "libertà infinita"…) ai manganelli, ai blindati, ai proiettili, ai missili, alle portaerei e -se necessario- alle atomiche.

Quale "nuovo" ruolo?

Questa secca intimazione padronale agli intimatori (nel movimento) si è materializzata dopo Genova in una precisa ingiunzione: dovete prendere le distanze dai Black Bloc, anzi compartecipare attivamente al loro isolamento, alla loro criminalizzazione, al loro schiacciamento. E l’ingiunzione ha prodotto i suoi effetti tant’è che al generale coro forcaiolo i "leaders" delle tute bianche hanno pensato bene di non far mancare il loro apporto. Non per caso il più recente momento di attrito con noi è stato proprio in merito all’atteggiamento da assumere nei confronti dei Black Bloc (chi voglia sapere come la pensiamo, può leggere la pagina qui accanto), e la più recente aggressione di Venezia è avvenuta proprio su questo terreno. Ma… ma qui sono emersi un po’ di problemi, perché una buona quota dei giovani del Carlini, cioè dei giovani provvisoriamente "parcheggiati" in Rifondazione o negli stessi "centri sociali", Rivolta (!?) incluso, non se l’è sentita e non se la sente di avallare questa compartecipazione alla repressione di stato e, sia pur non con quella nettezza che a noi piacerebbe, ha continuato e continua a indirizzare la propria protesta per quel che è successo a Genova nei confronti degli apparati dello stato. Di qui una serie di dichiarazioni dei "capi" bianchi formalmente oscillanti tra l’attacco frontale ai Black Bloc e la richiesta di intendere le ragioni della loro nascita e del loro sviluppo, dovute proprio al tentativo di minimizzare lo scontento creato dalle prese di posizione forcaiole dei primi momenti. La sostanza, però, rimane immutata. "Dopo Genova", cioè dopo che i poteri statuali dei G-8 hanno mostrato di essere pronti a militarizzare sempre più la società, il movimento di massa, parola dei "suoi portavoce" bianchi e rosa, deve recedere e rinunciare ad ogni forma di "militarizzazione", e cioè di risposta militante ed organizzata anche sul terreno della forza e della violenza. Risposta che si rende necessaria se non si vuole abbandonare il campo e piegare la testa ai signori mondiali della guerra e dello sfruttamento.

Problemi ancora maggiori sono insorti, per i tipi alla Casarini, dopo i fatti dell’11 settembre. Poiché il richiamo all’ordine è arrivato loro più perentorio che nell’immediato dopo-Genova. Ya basta, gli si è detto: basta con gli ammiccamenti anti-occidentali, basta con le dimostrazioni di piazza! Bisogna lavorare ad unire la nazione, ad unire l’Occidente, a sostenere lo sforzo bellico. Chi non lo fa, si rende complice del terrorismo islamico. Ed ecco, puntualmente, i nostri prodi "disobbedienti" cominciare a riscoprire il valore dei convegni invece che delle dimostrazioni, e lanciarsi anche loro nella campagna anti-islamica con il pretesto, davvero vergognoso, che Bin Laden sia il signore del petrolio non meno di quanto Bush sia il signore del dollaro. Come se il reale bersaglio della maxi-operazione bellica scattata in questi giorni fosse lui, e lui in quanto miliardario, e non le grandi masse arabo-islamiche in rivolta da decenni contro il brigantaggio dell’Occidente. E come se lo stesso Bin Laden venisse ora braccato in tutto il mondo per il suo essere miliardario, e non invece, come ognuno sa, per avere messo le sue ricchezze al servizio della lotta contro gli Stati Uniti… Ed ecco i nostri "disobbedienti" (!?) unirsi obbedientemente al coro di guerra dei massmedia occidentali che suggerisce alle masse sfruttate del mondo islamico di non combattere contro gli Usa, di non imbracciare le armi contro gli aggressori, di non unirsi nella sacrosanta jihad all’Occidente, e -quindi- di subire passivamente l’ennesimo saccheggio, massacro e stupro da parte della nostra superiore civiltà. Che, promettono i Casarini, essi convertiranno nel frattempo alla non-violenza e all’Onu, giusto quell’Onu che da quand’è nato ha coperto e legittimato ogni delitto dell’imperialismo, quest’aggressione all’Afghanistan inclusa. Quando si dice mentire sapendo di mentire…

Aprite gli occhi, gioventù!

Ai giovani che hanno visto e vedono ancora nel movimento delle "tute bianche" un riferimento, in qualche modo, di lotta ai potenti della terra, al capitalismo globalizzato, al militarismo e alla guerra, uno strumento per affermare che "un altro mondo è possibile", noi chiediamo di aprire gli occhi. Non solo e non tanto sulla sequela di episodi squadristici che si stanno susseguendo per opera di Casarini e della sua banda. Quanto sulle scelte politiche che li sottendono e li producono, che stanno sempre più portando dati centri "sociali" in una rotta di collisione con le esigenze di una vera lotta al "mondo del G-8", di una vera lotta contro la guerra, di una vera battaglia alle diseguaglianze e alle "ingiustizie" prodotte dal capitalismo, di una vera esigenza di comunità umana libera da ogni droga ideologica e chimica.

A questi giovani, tenuti abitualmente fuori da ogni reale discussione politica, fuori da ogni processo di autentico protagonismo politico, noi chiediamo di entrare finalmente in campo in prima persona, senza deleghe a "leaders" prescelti sulla loro testa dai padroni dei massmedia, e di prendere atto che la linea di deriva pro-istituzionale sempre più evidente di costoro conduce, uno zigzag dopo l’altro, a disorganizzare il "popolo di Genova" e a lasciare progressivamente una prateria libera proprio per quei poteri trans-nazionali economici, politici e militari che, a parole, un tempo, si diceva di voler contrastare.

Sappiamo quanta distanza, al momento, corra tra il vostro sentire e il nostro, ma, per parte nostra, c’è la massima apertura verso chiunque voglia davvero contribuire a cambiare questo mondo di merda.

(*) Questo titolo lo abbiamo "rubato" da una lettera comparsa di recente su Internet. L’autore di essa non ce ne vorrà, crediamo.