Anche in Italia lo scoppio della guerra non è passato senza che ci fossero manifestazioni di protesta nelle piazze di molte città. Poca cosa rispetto a quelle precedenti la guerra, ma, si sa, battersi contro una guerra imperialista, e che guerra!, non è impegno facile. Possiamo e dobbiamo scontare, inizialmente, un senso di sconcerto e di impotenza, anche. Ma gli avvenimenti, le tremende distruzioni e stragi che puntuali verranno a spazzare via la menzogna della "guerra chirurgica", serviranno a dare la "misura" esatta, che ancora tantissimi non percepiscono, del processo che è cominciato e che, parola di Bush e del suo entourage di usurai assassini, e credetegli!, durerà, durerà a lungo.
Per intanto, però, vogliamo far notare una cosa ai lavoratori più coscienti che già s’interrogano sulla natura reale di questa guerra e ai giovani che erano a Genova, con il corpo o anche con il cuore, e che manifestarono allora contro i signori del G-8, anche in quanto signori della guerra, e non l’hanno già dimenticato, a differenza dei loro camaleontici "portavoce". E la cosa è che in nessuna delle manifestazioni avvenute qui in Italia s’è sentita una sola, chiara, forte parola di solidarietà contro i reali bersagli di questa guerra: le masse oppresse dell’Afghanistan e di tutto il mondo arabo islamico. E che non s’è sentita una sola, chiara, forte parola (non ne parliamo, poi, di gesti ed azioni concrete, manco l’ombra!) di solidarietà nei confronti di quelli tra i lavoratori che da subito, qui, hanno pagato pesantemente il prezzo di questa nuova aggressione colonialista: i lavoratori immigrati, islamici e non, sentiti e presentati come i nemici interni, i cavalli di Troia che sono già qui, dentro casa "nostra" (la casa, cioè, di proprietà degli Agnelli e dei Berlusconi) a "minacciarci".
Questa mancanza è grave. E va colmata quanto prima. Nell’interesse dei popoli colpiti, nell’interesse dei nostri fratelli di classe immigrati, nel nostro interesse. Infatti, se resteremo –come ora siamo- divisi tra di noi, non sarà solo il loro massacro fisico e materiale, ma sarà anche il nostro "massacro" politico, sindacale e, inevitabilmente alla lunga, anche fisico e materiale.
Del resto, cosa ci attenda anche qui, Bin Laden o non Bin Laden, lo si è già visto a Genova, e sarebbe il caso di non dimenticarlo. Lì non s’è vista in opera una polizia fascista, non s’è visto in azione un regime pinochettista, bensì una polizia democratica, un governo democraticamente eletto dalla maggioranza degli italiani, e -anzi- la bellezza di 8 governi democratici tra loro coalizzati nel ribadire che l’ordine mondiale capitalistico è intangibile ed irriformabile, e guai a chi pensi di muoversi a contestarlo, tanto più se vuol fare sul serio, e non intende tenersi le botte che riceve e baciare la mano che lo percuote.
E se Genova e dopo-Genova, con l’auto-assoluzione totale e anzi la piena rivendicazione dell’operato di polizia da parte dei poteri forti, non fossero bastate, ecco il governo Berlusconi dichiararci apertamente che cosa ci aspetta, per mano sua e non dei terribili "terroristi" islamici. Ci aveva annunciato una finanziaria "di guerra" che doveva trasferire fondi dalle spese "sociali" a quelle belliche. E pareva averlo fatto solo in parte. Ma l’istante dopo il ministro Maroni ha gettato sul tavolo il suo (e del governo) "libro bianco" che annuncia: la fine della concertazione, cioè l’indurimento dell’attacco alle residue garanzie senza neppure richiedere l’assenso preventivo, quand’anche semi-scontato, dei vertici sindacali; la fine dei contratti collettivi nazionali; la piena estensione della flessibilità; la licenziabilità senza freni, con la soppressione anche formale dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori; l’ulteriore restrizione (ancora?) del diritto e della possibilità di scioperare; una nuova riforma delle pensioni. Può bastare, non è vero? O dobbiamo ricordare che per Confindustria ciò è ancora poco, e che i metalmeccanici sono ancora senza contratto?
E la guerra è appena cominciata, ed ancora l’Italia non è entrata formalmente in questa guerra. "Speriamo che non ci entri mai", sospirano in molti. Ma è una speranza vana. La guerra in atto ha per posta non le "organizzazioni terroristiche", bensì qualcosa di un po’ diverso: il petrolio, il gas, e le braccia degli sfruttati dell’Islam e dell’Asia. E siccome il bottino (possibile) è immenso, gli avvoltoi di casa nostra, statene certi, non si terranno fuori dall’assalto. Cercheranno come in passato di limitare i rischi, ma si butteranno anch’essi sulla preda, altro se si butteranno! Ed è una speranza vana anche per un’altra ragione: perché, come hanno dimostrato i fatti, gli sfruttati del Terzo Mondo sono stanchi di subire a casa loro, sono stanchi di vedersi distruggere l’uno dopo l’altro i propri paesi e le proprie case, di vedersi storpiare e violentare le proprie donne e i propri figli, e ardono dal desiderio, ed hanno ormai anche la capacità, di portare la loro reazione, la loro lotta, la loro guerra di sopravvivenza e di liberazione qui. E non solo qui in Europa, bensì perfino nell’irraggiungibile, inattaccabile, invulnerabile centro del centro dell’Occidente. Washington e il Pentagono. New York e il cervello operativo di Wall Street. E dunque: credete davvero che la guerra non ritornerà qui, qui in Italia, come un boomerang? Folle illusione, se non altro perché la guerra è già qui con le sue avanguardie: con una finanziaria di guerra, per l’appunto, con una disciplina sociale sempre più da tempo di guerra, nelle scuole e nelle piazze, con misure di vera e propria guerra contro i lavoratori immigrati.
A questa sfida voi non potrete e non dovrete sottrarvi, a meno di accettare quel destino di schiavitù che ormai da per ogni dove i proletari di colore rifiutano di accettare. Noi siamo certi che questo non avverrà, poiché non è mai esistita nella storia una classe che abbia dismesso i propri compiti naturali e perché già molteplici segnali ci indicano che da anni è in atto una ripresa della combattività e dell’organizzazione del proletariato internazionale.
La guerra sul fronte interno e sul fronte esterno, la guerra scatenata dagli sfruttatori dell’Occidente deve avere, e avrà, la risposta che si merita. Dovremo rilanciare unitariamente la lotta contro la guerra, la lotta per i contratti di lavoro e la lotta contro i programmi anti-operai del governo Berlusconi; o queste "tre" lotte staranno insieme, così come i rispettivi "tre" attacchi capitalistici sono una sola cosa, o non ne potrà andare in porto efficacemente nessuna.
Ma perché la nostra risposta sia vincente, come può essere, è indispensabile che noi, che voi, abbandoniamo quell’indifferenza (se non quell’ostilità suicida) che ancora ci caratterizza verso le masse, verso i popoli che i nostri stati, i nostri padroni, i nostri eserciti, le nostre polizie stanno martirizzando. Non inganniamoci neppure per un istante! La loro sorte è la nostra sorte. Saranno schiacciati nel sangue? Lo saremo anche noi, con più o meno spargimento di sangue. Saranno schiacciati in una nuova servitù coloniale? Lo saremo, in altre forme, anche noi.
Non facciamoci dividere perciò dalla grancassa della propaganda borghese sulla loro "inciviltà", sui loro costumi "barbari" o "inferiori" ai nostri. La nostra civiltà, come mostriamo nell’inserto fotografico di questo numero (ed è solo una piccola rassegna degli infiniti orrori commessi dall’Occidente), la nostra civiltà è "superiore" alla loro solo in quanto abbiamo dimostrato una superiore capacità di arraffare, di saccheggiare, di spremere il lavoro, di assassinare. L’uomo bianco ha saputo circondarsi di tombe senza battere ciglio, è questa la sua grandezza, ha detto il più grande teorico del razzismo. Ed è così.
Invece che guardarli dall’alto in basso, faremmo bene ad imparare, sì ad imparare, dalla fierezza con cui questi popoli che noi abbiamo aggredito mille volte e stiamo ri-aggredendo per la milleunesima volta, sanno battersi. Per sé, e nello stesso tempo, anche per noi. Perché si battono contro coloro che quotidianamente ci succhiano il sangue, ci precarizzano la vita, ci disprezzano, ci imboniscono. Invece che diffidare di loro per via di secondarie differenze, noi dovremmo vederli come dei fratelli di classe, a cui è toccata la grande sfortuna di nascere nei paesi da "noi"-Occidente depredati. Invece di guardarli di traverso scioccamente come fossero un pericolo, dovremmo considerarli il più grande aiuto possibile alla nostra lotta.
E dunque, prepariamoci nei mesi e negli anni che abbiamo di fronte a colmare questo nostro tremendo ritardo, a sbarazzarci di questa nostra ottusità, di questa nostra arretratezza, di questi nostri pregiudizi. Impegniamoci sul serio su questa via. A cominciare da una offerta vera di solidarietà di classe ai lavoratori immigrati, vittime di raddoppiate discriminazioni e soprusi, trattati ormai come appestati e potenziali "terroristi" su cui vigilare "tutti" trasformandoci e degradandoci in un popolo di spioni.
La guerra di Bush, di Berlusconi e di D’Alema non è la nostra guerra! Nostra è e può essere solo la resistenza dei popoli e degli oppressi dell’Islam. La loro lotta, la loro guerra dobbiamo imparare a vedere ed a sentire come la nostra, poiché solo da essa potranno venirci benefici veri. Poiché è solo da essa, dalla liberazione dei popoli oppressi e dalla totale distruzione di quel meccanismo di oppressione sempre più anti-sociale e anti-storico che è il capitalismo, che potrà venire quella autentica pace che oggi non esiste da nessuna parte e che è possibile solo su basi di vera e piena eguaglianza e fraternità tra tutti i popoli e le razze.
Non vogliamo neppure pensare a quel che potrebbe essere, se questo non accadrà, l’orrore infinito di un mondo ancor più di oggi dominato dal dio profitto.