Il 29 marzo Polo, centro-sinistra e Rifondazione hanno votato una legge per estendere il patrocinio gratuito ai non abbienti (con reddito fino a 18 milioni). All’art. 23, sempre all’unanimità, hanno infilato l’abrogazione di una legge del ’73 sulla gratuità dei processi di lavoro. Questo significa che per le "piccole" violazioni il singolo lavoratore dovrà rinunciare a ricorrere in giudizio e il padrone si sentirà incoraggiato a violare sempre di più contratti e (residue) leggi "garantiste" aumentando anche per questa via il suo comando. Un altro colpo al contratto collettivo e allo stesso Statuto dei Lavoratori in attesa di stracciarli definitivamente.
Il significato sociale dell’operazione, sulle prime, è sfuggito ai più. Alle prime proteste di avvocati, sindacalisti autorganizzati e della sinistra Cgil, una serie di parlamentari (primi tra tutti i rifondaroli) sono cascati dalle nuvole e hanno dichiarato che s’è trattato di un errore. Cgil-Cisl-Uil hanno diffuso un comunicato con cui avallavano la tesi dell’errore e si impegnavano a far rivedere la legge. La ridicola tesi dell’errore tecnico nasconde lo scopo politico di minimizzare la portata dell’ennesima controriforma, di far apparire il rimedio facile e di affidarlo agli stessi soggetti che hanno commesso l’"errore". Il messaggio è chiaro: lavoratori, non muovetevi, ci pensiamo noi.
Per avvalorare la tesi dell’errore si porta a riprova il voto favorevole del Prc. Se ha votato a favore è solo perché l’avv. Pisapia -specialista del Prc- non si sarebbe "reso conto". Ma Pisapia, grande conoscitore di diritto, era talmente consapevole della posta in gioco che ha fatto votare un emendamento per prorogare l’entrata in vigore della legge al luglio 2002. Se la legge era buona, cioè a favore dei non abbienti, pare logico anche a uno scolaretto che la si mandasse in vigore subito. Se Pisapia ha chiesto lo slittamento è perché qualche brivido nella schiena l’avrà sentito e la ragione non può che essere la gravità dell’art. 23: egli sapeva di agire per Confindustria e ha cercato il solito meno peggio. Non ce ne meravigliamo essendo iscritto nel dna del suo partito il voler mantenere la conflittualità di classe e la difesa degli interessi proletari nell’ambito stretto delle compatibilità capitalistiche. Al più ci limitiamo a constatare la parabola discendente di questo partito, impossibilitato -quanto più morde la crisi- a sostenere anche il suo ruolo riformista.
A causa della bolgia elettorale e per l’interessato silenzio sul tema, purtroppo, i lavoratori non hanno dato segni di reazione. La protesta è rimasta limitata agli addetti ai lavori. Come Organizzazione stiamo partecipando ai momenti di mobilitazione e facciamo la nostra parte perché a essi partecipino i lavoratori. Chi ci conosce sa che non pensiamo che le cause di lavoro siano la "via al socialismo" e neppure un surrogato della lotta collettiva sindacale. Non per questo restiamo però indifferenti all’eliminazione delle minime difese da parte dei lavoratori contro il potere padronale.
Mai come ora, però, bisogna dire che non basta limitarsi a ripristinare un processo gratuito, già abbastanza spuntato dalla prassi giudiziaria e da una serie di "leggine". È necessaria la scesa in campo di tutti i lavoratori, senza deleghe, cominciando a porsi fuori e contro le rappresentanze istituzionali, portando questa prima esigenza in tutte le lotte che si danno, unendo agli obiettivi di esse anche la denuncia di questa ennesima controriforma, coinvolgendo anche settori oppressi, che pur non immediatamente interessati alla vicenda, possono apprendere in concreto come funziona lo stato democratico dal quale sono ancora stregati.