Ancora in fasce, il cosiddetto movimento anti-mondializzazione è già posto, dal capitale globale, dai grandi poteri imperialisti oggetto della sua contestazione, dinanzi a scelte che non potranno non scomporlo, a scelte che gli impongono, pena la sua stessa scomparsa, di assumere fino in fondo e con coerenza i compiti politici che la dichiarazione di lotta al capitalismo globalizzato comporta.
Come già abbozzò a Seattle, infatti, la cupola del Fmi e della Banca mondiale si rivolge ai propri contestatori con una proposta di dialogo, prospettando loro la sua disponibilità a disegnare insieme una "mondializzazione dal volto umano", una "economia mondiale al servizio di tutti". È significativo, in tal senso, che per la prima volta ci sia stato un filo diretto tra Porto Alegre e Davos, voluto e organizzato da un industriale "etico" (?) brasiliano, uno tra i massimi promotori del Forum sociale mondiale. Dunque, una proposta di dialogo e una prima prova di dialogo, ancorché, si capisce, conflittuale. Sotto la rigidissima sorveglianza preventiva dei servizi segreti e delle polizie di tutto il mondo capitalistico! Già perché, non staremo a raccontarne i particolari di cui anche noi dell’Oci siamo stati bersaglio, mai come questa volta Davos è stata superblindata, con tanto di carri armati, e vietata a ogni forma di manifestazione di massa. Dialogo sì, però su basi non contrattabili, e dunque con il campo assolutamente sgombero da ogni interferenza del movimento di massa, della pressione organizzata del proletariato e degli sfruttati. Un "dialogo", insomma, come ha detto Charles-André Udry concludendo l’assemblea di Zurigo, in perfetto stile da democrazia imperialista.
Ma il movimento, o l’embrione di movimento organizzato, anti-mondializzazione si è trovato anche di fronte, in specie a Porto Alegre, a una seconda "proposta", dietro cui è sempre più trasparente l’azione della socialdemocrazia europea: quella, per dirla con Jospin, che in Brasile ha inviato due dei suoi ministri (con le mani lorde di sangue balcanico, ben assistiti da Chevenement, il lurido co-assassino del popolo iracheno), di una mondializzazione democratica, armoniosa, più egualitaria, regolata, civilizzata. Una mondializzazione che avrebbe nell’Europa socialdemocratica, non liberista, sociale o "dei popoli" o comunitaria (o, perché no?, socialista-nazionale) il punto di riferimento naturale, polemico con la casa-madre dell’ultra-liberismo, l’America. Si tratta di una prospettiva ancora molto timida sul versante dell’anti-americanismo (un anti-americanismo di matrice schiettamente imperialista), ma che ci pare destinata, anche per le prevedibili linee di indirizzo della nuova amministrazione Bush, diverse delle quali piuttosto sgradite all’Europa, ad acquistare maggiore convinzione nei prossimi anni, specie a misura che dovesse riaccendersi lo scontro di classe all’interno dell’Europa. Questa prospettiva si è presentata in forma già abbastanza strutturata a Porto Alegre, con un’assemblea di ciarlatani, bonzi parlamentari e sindacali, largamente dialogante con le istituzioni del capitalismo globale. Al Forum sono convenuti in modo significativo anche operai, Sem terra e Madri de Plazo de Mayo, a testimonianza che ogni movimento reale dell’America latina ha bisogno e consapevolezza di dover cercare alleati nel cuore di quell’impero che opprime l’intero sub-continente, per poterlo contrastare con maggior forza. Sulla base di ciò si è disposti a dare credito anche agli alfieri dell’Europa "social-democratica e anti-Usa", salvo cominciare a sperimentare anche sul campo di questi primi incontri di trovarsi dinanzi "alleati" che fanno le pulci agli "eccessi" troppo protestatari e poco propositivi di tali movimenti, poco inclini a immedisimarsi con il clima di tali nobili consessi, auto-rappresentantisi come importanti fucine di proposte, e non più di proteste. Di proposte, ovvio, atte solo a fregare operai, Sem terra e madri.
Questa -"è il momento di crescere, ragazzi, basta di far casino, facciamoci carico veramente dei problemi con proposte di governo delle contraddizioni e dei processi" … del capitale!- è stata la menata con cui giornalisti "antagonisti" del calibro di un P.L. Sullo o dei redattori di Liberazione hanno servito in tavola la più squallida sbobba socialdemocratica, con i più scafati tra loro pronti a presentarla addirittura come una sorta di "nuovo internazionalismo" capace di farsi carico delle attese dei popoli del Terzo Mondo.
Non eravamo a Porto Alegre fisicamente; eravamo, invece, a Zurigo, dove si è svolta, benché i suddetti "antagonisti" hanno fatto del loro meglio per oscurarla, un’importante assemblea militante organizzata da Attac Suisse e da Solidarité, una rete sindacal-politica attiva in tutta la Svizzera, che ha visto la partecipazione attenta e tesa di un migliaio di compagni e di "studiosi-contro", con una platea composta, per fortuna, in larga misura di giovani. In questa assemblea noi siamo intervenuti esattamente per incitare a mettere a fuoco e respingere senza equivoci l’ipotesi socialdemocratica e social-imperialista con cui la sinistra europea sta cercando di adescare e deviare il movimento anti-globalizzazione e l’intero proletariato d’Europa. A essa abbiamo contrapposto la sola prospettiva di lotta al capitalismo mondializzato che sia liberatoria, e non reazionaria: la mondializzazione delle lotte e dell’organizzazione di classe. Questa prospettiva già vive in nuce in ogni importante battaglia anti-capitalista, dagli scioperi coreani o statunitensi (Ups, General Motors) alle lotte contadine in Africa e America latina, dalla marcia mondiale delle donne alle dimostrazioni di Nizza, Praga, etc., ma deve essere fatta vivere in modo sempre più organizzato e cosciente dentro la classe, dentro il movimento di massa degli sfruttati e degli oppressi di tutto il mondo, da una avanguardia comunista capace di riconoscere nelle scaramucce o nei veri scontri del presente, l’alternativa storica tra capitalismo e comunismo, e impegnata dunque a far fronte alle relative bisogne.
Abbiamo molto apprezzato l’attitudine militante e l’apertura internazionalista dell’assemblea zurighese; proprio per questo ci siamo permessi, e ci permettiamo, di invitare questi compagni a trarre tutte le conseguenze dalle premesse che essi stessi stanno ponendo per gli ulteriori sviluppi del "movimento anti-globalizzazione", a imboccare con decisione la strada del più conseguente anti-capitalismo. Se il nemico contro cui si combatte non è il neo-liberismo soltanto, ma il capitale mondializzato, cioè l’imperialismo; se questo nemico sfrutta e schiaccia al tempo stesso, seppur con modi e forme assai differenziati, la classe lavoratrice e la gran parte della gioventù delle metropoli e tutti i popoli di colore, non soltanto i popoli ribelli, palestinesi, colombiani, etc.; se l’imperialismo è, come s’è lì detto da più parti, un sistema economico, sociale, politico, militare, culturale, irriformabile e fortemente centralizzato; la lotta a fondo, non a metà o a un quarto, contro di esso in quanto sistema, deve coinvolgere in una unità fraterna la classe operaia occidentale e le sterminate masse sfruttate dei paesi dominati dall’imperialismo, e questa lotta non può che esser fatta in nome e con la finalità di instaurare sulle ceneri del capitalismo imperialista un nuovo sistema sociale che finalmente risponda ai bisogni sempre più compressi e violati sia dell’umanità lavoratrice che della natura; e questo nuovo sistema sociale ha un volto (teorico) ben preciso, quello del comunismo, e una forza motrice centrale e centralizzatrice, quella della classe proletaria, a condizione, beninteso, che questa ridiventi sé stessa.
Sappiamo quanto la catastrofe dello stalinismo renda oggi ostici questi temi, dando a molti, giovani e meno giovani, la sensazione, comprensibile ma inesatta, che uscire dal generico e dall’intermedio, dal riferimento al "movimento" e solo al "movimento" (immediato), voglia dire farsi imbrigliare, irregimentare, "militarizzare", mortificando la viva partecipazione in prima persona alla battaglia anti-capitalista. Ma valga come primo elemento di riflessione proprio l’impatto, sotto le montagne di Davos, tra una delegazione del "movimento" e la democrazia imperialista schierata in armi: lì solo l’individualista incorreggibile, dell’uno o dell’altro genere, se la può prendere, com’è accaduto, con i presunti "espropriatori" che osano, perché devono, prendere decisioni e dare ordini, poiché non comprende che aver a che fare con un nemico organizzato e centralizzato esige il massimo di organizzazione e contro-centralizzazione, cose che solo L’individualista incorreggibile può ritenere in contraddizione con il massimo di partecipazione e di discussione collettiva. La lotta al capitale mondializzato è un fatto serio, e se nella sua conduzione c’è una cosa che deve "frustrarci", come ha detto in conclusione Pino Sergi, non è il fatto che ci si debba dare un’organizzazione e una disciplina all’altezza dell’avversario di classe contro cui ci si batte, ma che ancora siamo costretti a combatterlo con contingenti così ridotti e così esitanti a organizzarsi a dovere. Proprio così!