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FIAT-GM, ITALIA-USA:
UN PATTO D’ACCIAIO CON OGGETTO IL PROLETARIATO

Dopo una sequela d’annunci e smentite la Fiat ha presentato il suo nuovo invadente socio americano. Un coro di consenso s’è levato d’ogni dove. Non di vendita di una singola azienda s’è trattato, ma di conferma di un patto d’alleanza politico-militare tra Italia e USA, i cui oggetti di scambio sono: profitti all’ombra yankee per la borghesia italiana in cambio della vendita del "proprio" proletariato agli interessi (americani e propri) delle guerre di conquista verso l’est. Prenderne atto per i lavoratori e fornire l’adeguata risposta vuol dire: lotta contro le aggressioni imperialiste, fratellanza e unità con i proletari tedeschi e americani e con le masse che l’imperialismo opprime e sfrutta in tutto il mondo.

"L’Avvocato è sempre stato un grande patriota, un vero europeo, un leale alleato dell’America e un manager di grandi visioni". Se Kissinger loda così intensamente Agnelli (Corriere della Sera, 15.3.) ne ha ben donde. L’Avvocato ha preso, dal punto di vista degli interessi americani, la decisione giusta. E si merita anche per questo l’appellativo di "vero europeo", perché i veri europei sono quelli che si genuflettono allo strapotere americano, e non quelli che scalpitano per sostituirlo al posto di comando nel dominio e nello sfruttamento dell’intero mondo.

Agnelli ha confermato in pieno che la sua scelta è stata dettata esclusivamente da motivazioni politiche, a tal punto convinte da rivendicare un atavico amore per gli Usa, riscontrabile fin dalle pulsioni adolescenziali di divenire azionista della General Motors.

La Fiat ha cercato di resistere autonomamente sul mercato mondiale, attingendo a piene mani dagli aiuti statali e dalla pressione produttiva e salariale sugli operai. Ma non erano alla sua portata i capitali necessari a superare la "soglia critica" per sopravvivere.

Certo, se avesse avuto alle spalle un sistema-paese… Ma esiste in Italia un sistema-paese? Ogni singolo capitalista lo invoca quando ne avverte la necessità per se stesso, ma lo rinnega quando si pone come esigenza collettiva-nazionale. La risposta dietro cui si trincerano molti capitalisti è che nell’epoca della globalizzazione non ha neppure senso porre un problema del genere. Ma è una risposta ipocrita. Ognuno sa, infatti, che il paese motore della globalizzazione, gli Usa, è anche il paese in cui gli "interessi nazionali" sono tenuti, sotto ogni punto di vista, al vertice delle preoccupazioni politiche ed economiche.

In Italia la febbre del "piccolo è bello" ha ancora temperature alte, e tutti sembrano felici di conservare le proprie condizioni gregarie rispetto a capitali maggiori senza preoccuparsi se questi risiedano all’estero o nel territorio nazionale. Di conseguenza ognuno pensa solo a se stesso o, tuttalpiù, al suo ridotto territorio, a debita distanza, o in aperto conflitto, con tutti gli altri. Una lotta di tutti contro tutti.

L’oggetto della vendita: il proletariato

Alla Fiat, dunque, prima di esalare l’ultimo respiro non rimaneva altro da fare che cercare di vendere, rinunciare alla propria autonomia e lasciarsi incorporare da un concorrente più grande. A chi, però, vendere? La Daimler-Chrysler aveva offerto un pacco di miliardi in cambio dell’immediata proprietà totale della Fiat. La Gm ha offerto meno miliardi, ma un patto d’acquisto più ambiguo che lascia sopravvivere un’ombra di autonomia aziendale e un ruolo ancora industriale per la famiglia italiana. Il vero motivo, però, per cui la famiglia ha scelto gli americani, Agnelli l’ha espresso fin dal giorno dell’annuncio: "Mi fido più degli americani che dei tedeschi" (la stampa, 14.3).

La fiducia in questione non attiene a risvolti economici o industriali, tutti sanno che in tali affari i capitalisti tedeschi meritano la massima fiducia, ma attiene a qualcosa di diverso e di più profondo. Agnelli ha fatto la sua scelta, e l’ha indicata a tutta la sua classe nazionale: tra Usa ed Europa ha scelto gli Usa. Con ciò non abdica, né propone di abdicare, ad un ruolo imperialistico, semplicemente ammette che tale ruolo per l’Italia non può che essere, appunto, gregario, e, avendo la possibilità di scegliere si sceglie la via più "comoda", ovvero quella meno impegnativa. Lavorare per l’Europa significa, infatti, darsi da fare per sostenere una dura guerra contro il predominio americano. Una guerra non facile, che non può essere condotta in ordine sparso, ma solo serrando le fila dietro l’unico capitalismo europeo che può credibilmente dirigere la cordata, quello tedesco. La cosa è stata ben compresa in Germania, dove, per esempio, la Berliner Zeitung del 14.3 ha commentato: è stato decisivo "un elemento inespresso che ha dominato la politica italiana già al tempo del dibattito sull’euro: la paura del dominio tedesco". Schierarsi, invece, dal lato americano può, forse, comportare minori sacrifici e, magari, può portare anche qualche concreto ringraziamento per il proprio ruolo di "quinta colonna" interna all’Europa. E soprattutto lo stato americano è una solida cauzione contro il proletariato. Nel ’43-’45 il suo intervento fu fondamentale per impedire che dalle macerie della guerra sorgesse un’azione di classe proletaria. Tanto più urgente è cercarsi, oggi, protettori forti allorquando lo stato italiano centralizzato manifesta segni di sgretolamento a favore di un federalismo che ha, sì, il grande pregio di spezzettare il proletariato, ma potrebbe avere il difetto di indebolire troppo la forza di reazione anti-proletaria concentrata e centralizzata, propri di ogni stato.

Agnelli, dunque, sceglie di schierarsi dalla parte che sembra, al momento, decisamente vincente. Per la borghesia italiana questa non è una novità, ma è in perfetta continuità con la sua storia di posizionarsi sempre dalla parte del più forte; quando, per errore nei calcoli, non l’ha fatto all’inizio delle ostilità, ha provveduto a sanare l’errore nei minuti di recupero, con delle giravolte divenute, in certo senso ormai, "classiche".

La soddisfazione americana è ben giustificata. Dopo aver aiutato l’Italia a conservare la sua unità, brigando perché entrasse per intero nell’euro, gli Usa hanno già ottenuto in cambio due significativi ringraziamenti: l’aiuto concreto a lanciare l’assalto alla Jugoslavia e la vendita di Fiat a Gm. Questi fatti fanno ben sperare che l’alleanza italo-americana sia duratura. Dal punto di vista americano ciò determina due vantaggi. Il primo è che si ritrovano in Europa un alleato fedele, pronto ad aiutarli a vincere ogni resistenza europea in merito alle modalità con cui portare avanti l’aggressione verso i Balcani e, oltre di loro, alla Russia e all’intera Asia. Il secondo è che inseriscono un cuneo stabile nella possibilità che l’Europa si determini a costituire un proprio autonomo polo imperialista in aperta concorrenza con quello anglo-americano.

Grazie a tali cospicui vantaggi i nuovi padroni hanno potuto anche concedere ad Agnelli di rivolgere agli operai l’assicurazione che non si annunciano gravi attacchi alle loro condizioni occupazionali e salariali. Con ciò il padrone invita i lavoratori a disporsi disciplinatamente sotto l’ombrello americano, lasciando intendere che avranno in sorte una schiavitù felice, ben diversa da quella che subirebbero sotto l’egemonia tedesca. Ma la promessa è fatua sotto il riguardo economico-sociale e nasconde le conseguenze sotto il riguardo politico-militare.

Sul piano economico-sociale anche se è vero che gli Usa hanno interesse a conservare una relativa stabilità sociale ed economica in un paese alleato del peso e dell’importanza dell’Italia, è pur vero che da questo a permettere che in Italia entri in vigore una sorta di sospensione delle leggi della concorrenza e del mercato, o viga una loro versione meno "selvaggia", ce ne corre. Certe condizioni il super-imperialismo americano non può garantirle neanche al proprio interno, figurarsi se può garantirle allo stivale!

Sul piano politico-militare una stabile alleanza italo-americana rafforza l’approccio americano sul modo in cui sistemare i conti con le masse lavoratrici dell’est. Intendiamoci, tra Europa e Usa non c’è alcuna differenza sull’obiettivo di fondo: entrambi vogliono sottomettere le sterminate masse, e le immense risorse naturali di quei territori, al loro diretto dominio e sfruttamento. Né c’è differenza sui metodi da usare, quelli della costante aggressione militare, politica e finanziaria. L’unica differenza risiede nelle paure europee che un eccessivo ricorso allo strumento militare in paesi così vicini possa determinare, prima o poi, una reazione di rigetto da parte del proprio proletariato. L’Italia ha già dato in occasione dei bombardamenti alla Jugoslavia del ’99, con il governo D’Alema, un grande aiuto a disinnescare ogni tipo di reazione proletaria contro la guerra. Ancora maggiore è il contributo che le viene richiesto. Alla borghesia italiana spetta, infatti, il compito di sottomettere ulteriormente il proprio proletariato alle esigenze della continuazione della guerra, e, ancor più, quello di evitare una saldatura tra il proprio proletariato e quello tedesco. Terra bruciata attorno al proletariato tedesco, perché una sua riscossa, e una saldatura attorno a lui del proletariato europeo e balcanico non solo manderebbe a monte i progetti di conquista dell’est, ma farebbe vacillare l’intero sistema capital-imperialista planetario. E Agnelli il suo buon contributo all’odio anti-tedesco non si esime dal darlo anche con l’atto della vendita a Gm. (Contributo identico arriva da un Blair che, dimentico del suo credo liberista in tema di intervento dello stato in economia, si lancia in una campagna anti-tedesca per l’abbandono dell’inglese Rover da parte della Bmw),

Fa parte, e non secondaria, di questo patto italo-americano anche l’impegno diretto dell’Italia sul campo di battaglia: porti, aeroporti, spazi aerei, e, soprattutto, truppe da lanciare nello scontro, vera e propria carne da cannone. L’aggressione del ’99 ha già fornito un esempio del ruolo che l’Italia è chiamata a svolgere e prefigura gli ulteriori passaggi allorquando si dovrà accrescere il ruolo delle truppe di terra con l’inevitabile messe di caduti anche nel proprio campo. Visto che di bare ne dovranno ben presto tornare in copiosa quantità, meglio che siano italiane o europee piuttosto che yankee.

Come capitalista singolo Agnelli ha tutto da guadagnare dall’accordo con Gm. Come rappresentante della borghesia italiana può legittimamente sperare che la sua classe riceva delle ricompense per i ruoli e i servizi svolti e che si prepara a svolgere nella guerra Usa-Europa contro l’est. Gli uni e gli altri, però, sono in diretta dipendenza della vendita di un unico oggetto: il proletariato.

Agnelli ha ringraziato le sue maestranze perché gli hanno permesso di diventare socio importante della Gm. L’intera borghesia italiana ringrazierà (per quel che costa...) il proletariato se questo le permetterà di sedersi al tavolo della spartizione del bottino con la protezione americana. Per far diventare Agnelli socio di Gm il proletariato ha versato il suo sudore nelle officine della Fiat, per far diventare la borghesia italiana socia di minoranza della borghesia americana il proletariato dovrà versare il suo sangue nella guerra contro le masse lavoratrici dell’est europeo e asiatico, contro le masse medio-orientali e del restante mondo.

Rifiutare la guerra tra proletari

Il patto Fiat-Gm è veleno per il proletariato. Per non ingurgitarlo, al proletariato non è sufficiente saltare giù dal carro italo-americano e cercare di salire sul carro europeo. Un fronte comune anti-americano con le borghesie europee, ove mai si realizzasse davvero, assegnerebbe al proletariato un ruolo in tutto simile: carne da macello per le guerre di conquista e d’oppressione dei popoli extraoccidentali, carne da macello per la guerra tra i poli imperialisti per spartirsi il dominio del mondo.

Per sottrarsi a tale destino c’è un solo modo: unire le diverse sezioni nazionali di classe con tutti i popoli oppressi in una lotta all’ultimo sangue contro tutti i poli imperialisti.

È questa la consegna che deriva alla classe operaia dalla vendita di Fiat a Gm. Una consegna non solo e non tanto sindacale, quanto essenzialmente politica, che non può risolversi nel tentativo di partecipare alla scelta di quale padrone sia più "conveniente" o di cercare di alzare il prezzo della propria vendita, ma che rimanda alla necessità di affrontare per le corna il problema vero: sottomessa agli interessi del capitale (nazionale, americano o europeo), oppure saldamente ancorata ai propri interessi di classe? Disposta a partecipare all’aggressione del "proprio" capitale alle masse d’oltre-confine o votata a stabilire con loro un fronte di lotta contro il comune nemico?

È tempo che da parte proletaria inizi a emergere una risposta che si collochi sul suo proprio terreno di classe.

Ai lavoratori della Fiat diciamo che la prosecuzione della vicenda potrà offrire un primo terreno su cui cominciare a imbastire una reazione diversa. Il padrone vecchio e nuovo cercheranno di mettere a frutto le diversità e le contrapposizioni nazionali anche per i prossimi inevitabili "tagli" (preferendo, magari, farli negli stabilimenti tedeschi della Opel…). Non cadete in questo gioco, non lasciatevi mettere in contrasto con i lavoratori tedeschi e con quelli americani, ma ricercate con loro una risposta di lotta unitaria, al di là dei confini nazionali. Dagli uni e dagli altri abbiamo, inoltre qualcosa da apprendere. Il proletariato tedesco esprime ancora un grado di resistenza collettivo superiore a quello d’ogni altro paese europeo; quello americano manifesta in modo sempre più concreto una forte tendenza a riorganizzare le sue forze ninnanzitutto sul piano sindacale. La vostra esperienza degli ultimi decenni vi ha permesso di vedere come l’orizzonte aziendale non vi dia alcuna garanzia reale. Non sono i successi aziendali a garantire il vostro lavoro e il vostro salario, neanche quando l’azienda da cui si dipende è gigantesca come l’attuale di Fiat-Gm. Infrangete i confini aziendali e settoriali! Così come non dipendono dai "successi" aziendali, le vostre condizioni di vita e di lavoro non dipendono neanche dai successi nelle guerre di conquista e di oppressione in cui l’alleanza italo-americana, come quella "europea", vi vogliono condurre. Rifiutate di farvi intruppare nelle guerre imperialiste!

A tutti i militanti di classe che avvertono qual è la posta in gioco celata nell’accordo Fiat-Gm e nell’alleanza italo-americana, lanciamo l’appello a dare battaglia organizzata dentro il proletariato per cominciare a costruire un argine politico e organizzativo alla deriva che la borghesia italiana, aiutata dalla "sinistra", prepara per il proletariato.

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