[che fare 52]   [fine pagina]

Non dimenticare la Jugoslavia

Una delegazione di lavoratori della Zastava in Italia

Quando aiutare significa strangolare

L’ultimo viaggio in Italia degli operai della Zastava merita una riflessione.

Anche in quest’occasione (come nelle precedenti) i lavoratori jugoslavi hanno dato prova di grande dignità. Cordialissimi nei nostri confronti ovunque ci hanno incontrato (quasi tutte le iniziative tenutesi durante la loro permanenza in Italia nel febbraio di quest’anno), il clima che hanno trovato tra i lavoratori italiani non è stato certamente dei migliori. A dire il vero di lavoratori ne hanno visti pochi: un po’ ovunque, la presenza alle assemblee è stata più "istituzionale" che di massa, e anche quando c’era qualche lavoratore, il sentimento prevalente non è stato quello di una vera solidarietà di classe. Né ci aspettavamo un clima diverso, visto il modo in cui lo stesso sindacato -che di questo viaggio si è fatto promotore- ha organizzato le varie iniziative.

Un esempio soltanto, ma significativo. In tutto il Nord-Est c’è stata una sola iniziativa a Mestre, alla sede regionale della Cgil. Erano presenti 45 persone, compresi noi dell’Oci, i lavoratori della Zastava e gli stessi organizzatori (piccolo particolare: molti dei presenti erano stati avvisati da noi). Erano assenti quanti durante la guerra erano stati tra i più "attivi", e i promotori dei "comitati contro la guerra" o per la "pace" tuttora esistenti (o almeno così sembra!).

I lavoratori della Zastava chiedevano (e chiedono ogni giorno con la loro lotta contro l’Occidente) "aiuto non solo materiale, ma anche e soprattutto morale". Il che significa - se lo si intende bene- battersi qui contro il "nostro" governo, contro l’embargo e per il ritiro dai Balcani delle truppe d’occupazione occidentali.

Niente di tutto questo è emerso dall’assemblea. Il solo "aiuto" concreto che il sindacato italiano ha saputo dare loro (dopo aver vomitato, in qualche intervento, sciovinismo pro-imperialista) è stato un pietistico invito ai presenti ad aderire alla campagna per le adozioni a distanza. Non critichiamo chi in buona fede ha aderito all’iniziativa. Lo invitiamo anzi ad andare fino in fondo nel suo slancio e a non permettere che si realizzi l’obiettivo dei promotori della campagna che è un tantino diverso dalle sue aspirazioni. Ne abbiamo parlato nel numero precedente del giornale, qui ci limitiamo a denunciare il fatto che essi continuano a disertare completamente il terreno di lotta contro il governo D’Alema, contro chi, in questa guerra criminale e nella "pace" ancor più criminale che l’ha seguita, occupa un posto in prima fila tra gli aggressori dei lavoratori jugoslavi. Si tratta di una vomitevole carità pelosa da parte di chi durante i bombardamenti nulla ha fatto di veramente concreto (mo’ ci vuole) perché al popolo jugoslavo non fosse stretto il cappio strangolatorio della guerra prima e della "pace" imperialista poi, e anzi ha appoggiato i bombardamenti giustificandoli come una "contingente necessità".

Anche i pochi che qualche critica al governo e al sindacato hanno accennato, hanno finito poi col far rientrare dalla finestra quanto avevano fatto uscire dalla porta: che fare di fronte al disastro umano e ambientale prodotto dall’Occidente nei Balcani? Appellarci al nostro governo, ai nostri padroni, alla nostra "civile" Europa perché lì nei Balcani torni la "pace" imperialista e vi regni più a lungo possibile così da non turbare i nostri sonni tranquilli.

Non dimenticare la Jugoslavia è la nostra consegna di sempre. Che la lotta di resistenza del popolo jugoslavo contro l’Occidente turbi i nostri sonni, che anzi ci svegli pure!

[che fare 52]  [inizio pagina]