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CONTRO L’OFFENSIVA REFERENDARIA 
DELLA BANDA PANNELLA-BONINO

Indice

Scheda sui referendum pannelliani

Dalla patria della "rivoluzione" pannelliana, una lezione per contrastarla

La banda Bonino-Pannella, già distintasi come campione degli interessi dell’imperialismo nella guerra di aggressione italo-americana alla Jugoslavia, ha avviato durante i mesi estivi una nuova campagna referendaria. L’iniziativa comprende una ventina di quesiti, che riguardano, tutti, molto da vicino il proletariato. Un corpo centrale di temi propone di abolire con un colpo di spugna le più generali e decisive tutele normative e contrattuali di chi lavora sotto padrone (vedi la scheda riepilogativa); i rimanenti quesiti -su giustizia, sistema elettorale, finanziamento pubblico dei partiti, etc.- chiedono una riorganizzazione in senso ancor più autoritario e anti-proletario dello stato borghese e delle sue istituzioni, con l’intento di incalzare l’inconcludenza delle forze politiche e dell’insieme della borghesia italiana su questo decisivo terreno.

La fantomatica "rivoluzione liberale" dei radicali altro non è se non la petizione aggressiva del dominio incontrastato del capitale e dell’impresa sul lavoro salariato. Non è casuale il sostegno attivo che il padronato italiano assicura all’iniziativa referendaria dei radicali. Ne sono sponsor e finanziatori imprenditori del calibro di Pininfarina, Benetton, Marcecaglia, Della Valle, Sanson e tanti altri ancora (1).

D’altra parte i temi sollevati dai radicali sono gli stessi iscritti nell’agenda del governo D’Alema, il quale, nelle sue funzioni di esecutore delle "richieste dei mercati" e "gestore delle compatibilità del capitalismo", persegue nella sostanza la stessa politica, sia pur con tempi e modalità differenti(2). Una politica che risponde a necessità e istanze non meramente italiane, essendo iscritte nella generale tendenza del capitalismo mondiale. La crisi a scala mondiale dell’accumulazione capitalistica spinge la borghesia a espropriare il proletariato di quanto esso aveva conquistato con la lotta durante il ciclo precedente; per questo si rende necessario per il capitale ridimensionare drasticamente la capacità e la "libertà" di organizzazione sindacale e politica dei lavoratori. Nel riquadro sottostante sintetizziamo contenuti ed effetti delle politiche antiproletarie condotte dai campioni Reagan e Thatcher coi degni eredi Clinton e Blair. La necessità di realizzare anche in Europa ciò che laderegulation ha compiuto nel mondo anglosassone è divenuta per la borghesia del vecchio continente e per le sue nutrite schiere di servitori un’autentica ossessione che conquista ogni giorno nuovi adepti. Inoltre i rinnovati compiti di aggressione imperialista che si impongono all’Occidente e all’Italia (dall’Irak ai Balcani e all’Asia) chiamano la borghesia di casa nostra a realizzare in fretta questi passaggi, se non vuole retrocedere -a partire dai propri ulteriori storici ritardi- nella contesa (sempre più a mano armata) sui mercati mondiali.

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Un ulteriore attacco all’unità materiale e politica della classe operaia e...

Undici dei venti quesiti si prefiggono l’obiettivo di smantellare tutto ciò che ancora consente ai lavoratori di tutelare e contrattare collettivamente la propria condizione nei confronti del padronato e dello stato. Essi perseguono la completa deregolamentazione del mercato e del rapporto di lavoro e puntano a picconare il servizio sanitario nazionale e gli istituti pubblici di previdenza e assistenza. Ciò non solo per immediati tornaconti economici (abbassare i salari, liberare quote di spesa sociale, mettere finalmente le mani su nuovi mercati che promettono giri di affari colossali). Si mira soprattutto a spezzare le condizioni dell’ unità materiale (e potenzialmente politica) della classe operaia e creare quelle per cui ogni singolo lavoratore sia costretto a gestire la difesa delle proprie condizioni di vita e salariali individualmente, dunque in maniera più debole di fronte alle ferree leggi del mercato e del profitto. Su fisco, previdenza e sanità, l’attacco punta esattamente in questa direzione. Oggi, infatti, i lavoratori hanno come controparte diretta lo stato, con il quale essi si confrontano collettivamente, potendo all’occorrenza organizzare una lotta unitaria per difendere obiettivi comuni. Si vuole, invece, che il lavoratore, sempre più precarizzato e magari a partita Iva (in realtà dipendente e soffocato dall’impresa con cui "collabora"), se la veda da solo con il fisco e con le compagnie di assicurazione.

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...alla sua capacità di organizzazione.

Non a caso il disegno si completa con la reiterazione di un attacco in grande stile alle organizzazioni sindacali dei lavoratori. I radicali rilanciano l’indignazione del padronato contro il "potere di veto" della "sindacatocrazia" e attaccano il sindacato confederale, che, dopo lo squagliamento al sole dei partiti "operai" (in quanto reali contenitori e organizzatori su base politica della classe operaia), rappresenta oggi l’ultima organizzazione "generale" di difesa del proletariato (dobbiamo aggiungere di potenziale difesa, considerato lo stato larvale al quale anche essa è stata ridotta dalla bancarotta del riformismo). In ultima istanza l’obiettivo è quello di assestare il colpo finale alla residua capacità di tenuta unitaria del movimento operaio. Per questo il fronte borghese e padronale vomita tutti i giorni veleno antioperaio sui sindacati e sui partiti di "sinistra" (senza risparmiare quelli che servono così fedelmente i suoi interessi al governo del paese); perché essi ancora portano, sia pure del tutto pro forma, oppure semplicemente evocano, come lontano riflesso di un passato mai abiurato abbastanza, la bandiera del lavoro. Attraverso di essi è la massa dei lavoratori che si punta a colpire e l’idea stessa che tutti i proletari possano organizzarsi in un partito autenticamente comunista e in un sindacato di classe.

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Si fomentano le contrapposizioni per mobilitare il proletariato contro se stesso.

Il ruolo d’avanguardia dei radicali, già sperimentato nell’analoga iniziativa referendaria del ’95, si sostanzia nel porre sul tavolo la necessità di una attivizzazione militante di tutti i settori della borghesia a sostegno della propria offensiva di classe. Oggi vediamo che questo disegno -pur dovendo registrare il limite del ritardo nella reale attivizzazione militante borghese- segna un ulteriore passaggio in quanto punta direttamente a mettere lavoratori contro lavoratori, a mobilitare proletari contro altri proletari.

Nella raccolta di firme questi campioni ultraprivilegiati della "lotta ai privilegi" si rivolgono direttamente ai giovani senza lavoro, ai disoccupati, a quanti non hanno mai goduto delle tutele di un contratto collettivo, financo agli immigrati. Portando la loro propaganda fin dentro i quartieri e le piazze proletari, additano come causa dei problemi di questi soggetti la "sindacatocrazia", che, imponendo la preservazione di un insieme di garanzie sociali a favore di una "minoranza di lavoratori garantiti", impedirebbe le "riforme", che invece potrebbero veramente risolvere i problemi dei giovani e dei senza lavoro. Gli effetti di questa infame propaganda, che ovviamente sottace le vere responsabilità della disoccupazione e del super-sfruttamento del lavoro operaio, non vanno sottovalutati, dal momento che essa fa leva sui sentimenti contraddittori di molti proletari e lavoratori, soprattutto giovani, che, privi di qualsiasi tutela in un mercato in via di progressiva deregolamentazione, provano giusto disgusto per la politica condotta dai vertici sindacali. Una politica sempre più cedevole di fronte agli interessi del profitto e che dunque lascia i lavoratori in balia del mercato, privandone una parte crescente della stessa possibilità di organizzarsi nelle forme tradizionali e di accedere alle tutele collettive; un’organizzazione burocratica immancabilmente votata al patteggiamento sottobanco con le istituzioni, che, dunque, ancor di più fa percepire a questi proletari lontana e "corporativa" la difesa di quei "diritti generali" che il sindacato dice a parole di voler tutelare.

Attraverso queste leve reali il nemico di classe borghese lavora con metodo affinché le contraddizioni di cui è gravida la crisi possano scaricarsi contro gli stessi proletari che le subiscono, aumentando le divisioni e le contrapposizioni tra tutti gli sfruttati. Spetta a noi comunisti lavorare con altrettanto metodo nell’opposta direzione, individuando bene la natura dell’attacco e disponendosi nel modo più consono per poterlo respingere.

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Quale difesa?

Diventa, dunque, determinante chiarire in che senso e su quale terreno i lavoratori devono difendersi contro un attacco che punta a smantellare collocamento, sanità e previdenza pubblici. Sarebbe illusorio e perdente mobilitarsi in nome della difesa dell’Inps, dell’Inail, della sanità o del collocamento pubblici, in quanto enti e istituzioni dello stato, che sarebbero presuntamente da difendere come "nostri" baluardi contro la manomissione e l’assalto dei privati. Queste e altre istituzioni pubbliche sono, in quanto tali, istituzioni che hanno sempre risposto e rispondono agli interessi della borghesia e del capitale, veri e propri baracconi che amministrano i soldi dei lavoratori non certo nell’interesse dei lavoratori ma del mercato (come provano le lotte che i disoccupati hanno dovuto ingaggiare contro il collocamento pubblico, quando sono riusciti a organizzarsi per esercitare il proprio controllo di classe sull’avviamento al lavoro, o come sperimentano tutti i giorni i malcapitati proletari vittime dei mille episodi di cosiddetta "malasanità").

Quel che conta per i lavoratori è il controllo che essi riescono a esercitare sull’erogazione di tali "servizi". Pubblica o privata che ne sia la gestione, non cambia di una virgola l’essenza del problema: chi e come la controlla? Il singolo lavoratore è impotente in quanto individuo a ottenere ciò di cui ha bisogno in una società in cui domina il denaro, merce di cui ha scarsa disponibilità; solo i lavoratori organizzati possono, con la lotta collettiva, imporre allo stato o ai privati standard "soddisfacenti". La gestione statale non è di per sé garanzia di migliori "servizi" per i proletari, né, d’altra parte, come oggi si vede nelle riforme in atto, è sottraibile per definizione alle leggi del mercato e del profitto. Anche, quindi, con l’attuale gestione pubblica c’è per il proletariato da fare una dura lotta per riottenere quei "servizi" che conquistati nei decenni di "avanzata", oggi vengono lentamente, ma inesorabilmente, erogati solo in cambio di crescenti spese individuali. È, quindi, necessario impedire l’ulteriore smantellamento che i referendum radicali vogliono realizzare, ma non è sufficiente difendere l’attuale situazione, accontentarsi che rimangano in "mani pubbliche" una serie di "servizi". Anche il "pubblico" può "funzionare" per il proletariato solo se esso è capace di imporglielo con la forza.

Altro allora che difesa della macchina parassitaria dello stato, che i lavoratori per primi sono interessati a sbaraccare! Quel che dobbiamo difendere contro questi attacchi è ciò che il padronato punta a minare: l’unità -materiale e dunque politica- del nostro fronte di classe, come unico strumento di difesa collettiva di quanto la classe operaia ha conquistato con la lotta.

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Contro l’attacco antisindacale non basta difendere l’esistente.

Quanto poi ai quesiti apertamente anti-sindacali, siamo alla prosecuzione e all’estensione di attacchi già portati in passato dai radicali. Oggi come allora, si punta in effetti a scatenare una canea contro il sindacalismo confederale, evidenziando come esso benefici di una particolare tutela da parte delle aziende e dello stato (3). Canea che punta a colpire i livelli esistenti di organizzazione del proletariato (che, per quanto in via di progressivo auto-sfarinamento, sono pur sempre insopportabilmente ingombranti per il capitalismo) e -attraverso di essi, ma ben oltre le imbonsonite burocrazie di Cgil-Cisl-Uil- ogni futura prospettiva di ripresa dell’organizzazione -politica e sindacale- autonoma della classe operaia(4). I lavoratori, per difendere la propria possibilità di organizzazione, devono difendere i sindacati attuali contro l’attacco del padronato?

Una semplice difesa del sindacato esistente è controproducente, in quanto esso ha dimostrato tutta la propria inadeguatezza a difendere e tenere unito il proletariato. Esso si appalesa oggi talmente inservibile ai fini di classe da non essere nemmeno in grado di mettere in conto una qualche credibile risposta a un attacco che punta a ridimensionare drasticamente il suo "potere" -per quanto debole e sottomesso- di "concertazione". Una risposta appena credibile rischierebbe, infatti, di ridare voce a un’autentica ripresa dell’antagonismo operaio, cosa questa che i vertici sindacali temono più della peste (5). Tutto è rimandato, con un fare sbracatissimo, al perdente terreno della consultazione elettorale. Ma anche se si vincesse su questo piano (con il mancato raggiungimento del quorum o la prevalenza dei "no"), il proletariato ne uscirebbe comunque bastonato. Infatti si sarebbero consegnate un’altra volta al meccanismo elettoralistico e alla "decisione sovrana" di tutte le classi sociali questioni che dovrebbero vedere invece in prima fila la mobilitazione militante e classista dei lavoratori.

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Che fare allora?

È urgente e indispensabile dare una risposta all’offensiva referendaria rompendo con la passività (se non indifferenza) che essa incontra al momento tra la massa dei proletari anche grazie all’azione smobilitante del riformismo. È possibile far ciò se un’avanguardia dei lavoratori saprà mettere in campo il proprio impegno militante e indicare alla classe un percorso di attivizzazione diretta, in prima persona, sul terreno decisivo dei rapporti di forza, e non su quello smobilitante e demoralizzante della conta dei voti.

Un primo terreno di iniziativa è quello della difesa di pensioni e sanità. Si tratta di difendere, rafforzare e allargare un vincolo collettivo del proletariato che tiene uniti l’aspetto della condizione materiale del proletariato con i suoi legami organizzativi e politici. Non, dunque, chiedendo allo stato, ente "pubblico", di garantire questo legame unitario; ma, al contrario, mettendo in campo e rinsaldando l’organizzazione e la capacità di lotta unitarie del proletariato a difesa di queste "tutele collettive". Il che che si può dare in maniera efficace- come dimostra in negativo la canea scatenata dai radicali su questo tema - solo riunificando in questa lotta, per questi obiettivi il fronte degli "esclusi", di quei proletari, e sono molti, che già adesso non posseggono queste tutele o sempre meno ne godranno in futuro.

In secondo luogo, è fondamentale ripartire con un’iniziativa concreta, che sappia rivolgersi, per coinvolgerli in una ripresa di organizzazione e mobilitazione unitaria, ai giovani, ai lavoratori precari, ai disoccupati, agli immigrati, insomma proprio a tutti quei settori privi di "garanzie" sui quali non a caso ha puntato la propaganda radicale. Anche qui i temi non abbiamo bisogno di cercarceli, sono quelli imposti dalla borghesia: lotta alla flessibilità e alla precarizzazione dei rapporti di lavoro sotto tutti gli aspetti, conquista (per questi settori) e riconquista (per quanti le stanno progressivamente perdendo) delle tutele collettive e dell’organizzazione unitaria necessaria a ciò. Si tratta insomma di iniziare il percorso intrapreso, pur tra limiti e contraddizioni, dai lavoratori statunitensi dopo che è stato toccato il fondo della deregulation; e di farlo prima che anche qui si giunga a un punto di non ritorno di disgregazione e contrapposizione tra proletari (anche quelli ancora parzialmente tutelati). Questa, e nulla di meno, è la posta in gioco che sta dietro e oltre i referendum.

Per far ciò -ed è il terzo fronte di iniziativa- i lavoratori sono chiamati dalla realtà dello scontro di classe a organizzarsi e lottare sulle proprie autonome posizioni di classe, sottoponendo a una critica a fondo i contenuti e le conseguenti "forme" di organizzazione (delega sindacale compresa) della politica degli attuali sindacati, preparandosi a presentare -essi in prima persona- il conto alle burocrazie sindacali che li stanno portando in un vicolo cieco.

L’interesse dei lavoratori è di eliminare la causa che ha condotto gli attuali sindacati a essere pappa-e-ciccia con i padroni e con le istituzioni statali. Questa causa è la politica delle compatibilità, la politica che vuole difendere gli interessi proletari compatibilmente con la difesa della competitività delle imprese. I proletari devono attivarsi per ravvivare o per costruire l’organizzazione sindacale in tutti i posti di lavoro, e per farla agire all’insegna della difesa intransigente dei propri interessi! Così sì che saranno in grado di spazzar via le attuali burocrazie sindacali e le correlate forme di collegamento con stato e imprese; a modo loro, in quanto ostacoli alla piena lotta in difesa della condizione proletaria, e non in quanto ostacoli (ciò che preoccupa Bonino-Pannella) al pieno dominio delle imprese.

La nostra Organizzazione, ben conscia dei propri numeri, ha già intrapreso la propria indipendente iniziativa contro l’attacco padronal-governativo e referendario, sulla base di questi contenuti. La possibilità per la classe operaia di battere l’offensiva "liberista" c’è: sta nell’attivizzazione unitaria e militante del proletariato su di una linea di classe. Su queste basi sarà possibile ricompattare in un unico fronte operai, disoccupati, lavoratori precari, al nero, a partita IVA, immigrati, contro le sirene radicali e dell’intero schieramento borghese.

I referendum radicali: pallottole contro il proletariato

La ricerca del posto di lavoro deve essere totalmente consegnata ad agenzie private di collocamento, preposte a favorire "l’incontro tra chi cerca e chi offre lavoro", magari nella forma del lavoro interinale. L’ingaggio della forza lavoro deve avvenire in condizioni di massima libertà per il padronato e, dunque, si propone che lavoro a tempo determinato, a part-time e a domicilio divengano sempre più le forme ordinarie di assunzione. Si chiede l’abolizione della trattenuta del prelievo fiscale sulla busta-paga: sarà il lavoratore individualmente a calcolare e pagare allo stato le tasse sul reddito.  Quanto all’obbligo per le imprese di versare i contributi sanitari per l’iscrizione del lavoratore al servizio sanitario nazionale, quelli pensionistici all’Inps e quelli per l’assicurazione contro infortuni e malattie professionali all’Inail, i radicali propongono di abolire l’obbligatorietà di questi versamenti, lasciando al singolo lavoratore la "libertà" di provvedere in altro modo e cioè pagandosi presso le assicurazioni una pensione privata ovvero polizze sanitarie e per gli infortuni. Ovviamente va data una energica ridimensionata al sindacato confederale, per il quale si richiede l’abolizione della delega alle aziende per operare la trattenuta in busta-paga della quota di iscrizione al sindacato e l’abolizione del finanziamento pubblico dei patronati sindacali. Le imprese dovranno avere libertà di licenziare (così come quella di decidere forme e condizioni dell’assunzione), quale che sia la dimensione dell’impresa e senza che la magistratura possa comunque decretare la reintegrazione del lavoratore. Infine, dulcis in fundo , si propone l’abolizione delle pensioni di anzianità, con l’immediata elevazione dei requisiti (57 anni di età o 40 di contributi) e il passaggio al sistema contributivo per tutti.  Dunque il destino del lavoratore sarà affidato "dalla culla alla tomba" al mercato e alla giungla dei suoi meccanismi votati allo sfruttamento e alla sopraffazione sociale: questa la sostanza della "rivoluzione" liberale. Sia detto senza nessuna nostalgia per il sistema di analoghe "amorevoli cure" interamente affidate allo stato, di cui la "rivoluzione" sotto i nostri occhi altro non è se non la coerente prosecuzione: a guida statale -dello stato dei padroni- o a guida privata, la sostanza di classe rimane -con le richiamate differenze del caso- la stessa.


Dalla patria della "rivoluzione" pannelliana, una lezione per contrastarla

Visto che il futuro che ci verrebbe riservato dalla "rivoluzione pannelliana" è già realizzato, andiamo a vedere cosa riserva ai proletari. È un futuro roseo per padroni e imprese. È una specie di inferno per i lavoratori americani, che una volta vantavano la migliore condizione in tutto il mondo.

Riepiloghiamo in estrema sintesi i dati relativi al "modello americano" da noi pubblicati nei numeri precedenti del giornale (e su cui torniamo anche nel presente nelle pp.14-15). Dalla fine degli anni ’70 alla metà dei ’90 scomparsa di 43 milioni di posti di lavoro, a fronte, però, della creazione di 70 milioni di nuovi posti di lavoro, benchè con salari inferiori del 20% nel 70% dei casi; crescita nello stesso periodo del numero dei poveri da 24 milioni a più di 40 (ecco il miracolo capitalistico: aumentare insieme i posti di lavoro e la povertà di chi lavora); aumento fino al 49% (rispetto al 36% di dieci anni prima) delle imprese che hanno un nucleo permanente di dipendenti temporanei; 52 milioni di adulti (per tre quarti lavoratori) privi di assistenza sanitaria; primo datore di lavoro USAin termini assoluti negli la Manpower, una società che fornisce lavoratori temporanei alle aziende; 1 milione e 300 mila iscritti in meno nel solo 1996 nelle liste per l’assistenza alle famiglie con reddito insufficiente, agli invalidi e agli anziani poveri, come conseguenza dei tagli al welfare varati da Clinton; tasso di povertà dei bambini sotto i sei anni pari al 30 % (in Francia è del 6%); e si potrebbe continuare a lungo nella descrizione degli effetti di quella che John Sweeney -Presidente dell’ AFL-CIO- ha definito una "formula per il disastro sociale", lanciata in nome della prosperità economica della nazione e, ovviamente, realizzata attraverso un’opera di violento sradicamento dell’organizzazione sindacale.

Non è un caso che negli Stati Uniti i lavoratori, toccato il fondo, abbiano iniziato a battersi per sindacalizzare l’immensa area del lavoro precario, per rimettere la museruola allo strapotere dei padroni, per ridurre e spazzare via le mille discriminazioni fatte valere contro gli immigrati. È un processo lento e non privo di contraddizioni. La sindacalizzazione di precari, irregolari, part-time, immigrati, etc. urta, infatti, contro le resistenze corporative ancora forti nelle direzioni sindacali e tra gli stessi lavoratori "regolari", tanto più se bianchi. Ma essa si pone nondimeno come una esigenza ineludibile e come un passaggio necessario per riunificare l’intero fronte di classe e gettare le basi per una difesa unitaria (l’unica possibile). Non a caso nel settembre del ’97 i lavoratori della Ups (60% contratti a part-time, paghe orarie pari alla metà del tempo pieno) hanno dato vita a uno sciopero memorabile contro la flessibilità e la precarizzazione del lavoro, che ha messo in campo la sindacalizzazione, l’organizzazione e la determinazione di lotta di un settore di lavoratori precari e per questo ricattati, fino a mettere in seria difficoltà la multinazionale americana. Lo sciopero della Ups ha passato il testimone della lotta agli edili di New York, ai lavoratori della Bell Atlantic e della General Motors (dunque anche al proletariato industriale che ancora conserva in qualche misura lo status precedente e che oggi viene attaccato proprio per questo, cioè per essere sostituito con forza-lavoro più conveniente e flessibile, con la quale, dunque, ha tutto l’interesse a lottare e a organizzare insieme la comune difesa).

Non sarebbe allora il caso di reagire come si deve alla campagna referendaria?


Note

1. Sono le decine di miliardi di lire messi a disposizione da costoro che consentono la messa in opera di una campagna in grande stile, con martellanti spot televisivi, siti internet, milioni di lettere nelle case degli italiani, centinaia di banchetti (questa volta anche nei quartieri popolari e proletari,grazie all’assunzione di 1500 giovani con contratti interinali).

2. Non confondano, al riguardo, le dichiarazioni di D’Alema che prendono le distanze dall’iniziativa referendaria, affermando, addirittura, che essa assume il significato di "uno sfregio ai lavoratori", nei confronti dei quali deve essere invece riaffermato il "metodo della concertazione". Come giustamente replica la iena Bonino, quelle di D’Alema sono parole "in sfregio alla verità", dal momento che tutti i compari borghesi (D’Alema compreso) sanno bene che la comune "verità di classe", alla quale essi tutti hanno consacrato il loro impegno e i loro voti, chiede esattamente che si proceda in quella e non in altra direzione. Ecco, dunque, che per l’ ex-ministro diessino Burlando "il dialogo (con Bonino-Pannella, n.) è possibile solo se i referendum radicali possono essere letti come una positiva provocazione intellettuale", in quanto "la Bonino deve capire che è controproducente (per gli obiettivi della conservazione borghese, n.) destrutturare totalmente i sindacati e tutto l’associazionismo che difende i lavoratori" (la discussione tra compari verte, come si vede, sul quantum dell’attacco che essi tutti stanno insieme portando all’organizzazione e ai diritti dei lavoratori, n.). Del resto, non è stato forse il partito del Presidente del Consiglio ad aver consentito "democraticamente" ai radicali di mettere questa estate i banchetti e raccogliere le firme all’ingresso della propria Festa de l’Unità a Roma, con tanto di pubblici ringraziamenti di Pannella?

3. L’istituto della delega, introdotto nel dopoguerra, è un elemento "formale" di facilitazione del finanziamento del sindacato, che segue come riconoscimento e premio alle dirigenze sindacali per l’impegno da esse profuso per stemperare l’antagonismo di classe. È un tassello del patto corporativo che il sindacato antifascista e istituzionale suggella con stato e padroni. Esso confessa che il sindacato di classe dei primi anni venti è stato -transitoriamente- sradicato, mentre il nuovo sindacalismo del dopoguerra si acconcia a dirigere le lotte -reali- del proletariato entro un sistema stabile di mediazione degli interessi della classe operaia e del capitale.

4. Per questo i radicali non dimenticano, nella propaganda referendaria, di indirizzare i loro strali anche contro la Lega di Bossi, che nelle regioni del Nord rischia addirittura di sostituire il vecchio Pci come contenitore politico e riferimento organizzativo di settori della classe operaia settentrionale.

5. Semmai essi confidano di poter schivare il colpo grazie ai patteggiamenti di palazzo con il governo o si attrezzano in ogni caso ad altre forme di finanziamento indipendenti dalla delega ma ancor più legate al mercato, come la continua offerta di servizi a tinte pseudo-sociali ma con esplicite finalità di lucro.