Molto meriterebbe dire sugli ultimi sviluppi delle vicende che riguardano le condizioni operaie al Nord-Est. Non per la "particolarità" di ciò che qui accade, ma giusto al contrario perché gli ultimi avvenimenti confermano che non esistono per i lavoratori "isole felici" al riparo dai venti della tempesta della mondializzazione dello sfruttamento.
Solo qualche anno fa, infatti, il tema noiosamente ricorrente era come estendere al resto dellItalia i "benefici" del mitico modello del Nord-Est. E la risposta più diffusa, quasi indifferentemente a destra e a sinistra, era:
"Per estendere questo modello economico allinsieme del paese sarebbe sufficiente creare un sistema istituzionale e politico incentrato sul federalismo in grado di dare ulteriore slancio allo spirito diniziativa dellimprenditoria diffusa. Il "benessere" che sgorgherebbe da questamalgama economico-politico finirebbe a vantaggio di tutti, inclusi naturalmente i lavoratori".
Oltre la dinamica piccola-media industria privata, uno dei fiori allocchiello del rampante Nord-Est era la Fincantieri, che agli inizi del 1998 vantava di aver chiuso lanno con un fatturato record di oltre 4 mila miliardi e di essere diventata unazienda leader nel mondo delle navi da crociera (il cantiere di Portomarghera negli ultimi sette anni si era aggiudicato il 60% della domanda delle navi da crociera), tanto che il boss dellazienda, Antonini, parlava di vero e proprio stress da successo.
Ebbene, soltanto due anni dopo, la semi-stagnazione colpisce, oltre lItalia nel suo complesso, anche la produzione triveneta e nella stessa Fincantieri si comincia a parlare di "rischio di ridimensionamento", di "incertezza sul futuro" (in tutta Europa sono a rischio 90 mila posti di lavoro nella cantieristica) così che nel mese di ottobre i sindacati sono stati costretti ad indire in tutto il gruppo assemblee, scioperi e presidi davanti ai cancelli delle fabbriche.
Cosa diavolo è successo al mitico modello del Nord-Est? Niente di particolarmente strano o imprevedibile. Semplicemente è successo che le ferree leggi della concorrenza intercapitalistica, che rimescolano continuamente le carte del mercato, ora a favore delluno, ora dellaltro, e che agiscono in modo ancor più spietato nellera della mondializzazione, spietato anzitutto contro la classe lavoratrice, ieri giocavano inequivocabilmente a favore delle imprese nordestine, oggi assai meno.
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Aumentano gli infortuni e le morti sul lavoro.
Ed ecco che alla Fincantieri non solo compare unincertezza sul futuro fino a ieri inimmaginabile (appena appena attenuata dallannuncio di nuove commesse), ma le stesse condizioni di lavoro prima "esclusive" dei lavoratori delle imprese dappalto stanno via via estendendosi anche ai dipendenti Fincantieri: allungamento degli orari di lavoro, introduzione del turno di notte, ritmi più intensi, maggiore flessibilità e precarietà. È questo il rimedio alla incombente crisi: maggiore flessibilità, cioè maggiore sfruttamento.
Quanto al Petrolchimico, poi, momentaneamente sembra rinviata la chiusura della fabbrica, ma la situazione è tuttaltro che stabile, tantè che nelle imprese degli appalti Enichem si manifesta un crescente malcontento per le condizioni di sicurezza precarie, gli orari, i sistemi retributivi illegali se non totalmente in nero.
Insomma: lincertezza sul futuro dalla Galileo, dallArsenale, dallEnichem, dallOlivetti si è estesa fino alla Fincantieri, ed il nuovo schiavismo tipico degli appalti Fincantieri si è esteso al Petrolchimico, che credeva di esserne immune, mentre impazza più che mai nelle piccole e piccolissime imprese al servizio, a costi sempre più contenuti, di quelle grandi, con il suo portato di condizioni che ricordano quelle dellottocento: orari di oltre 50 ore a settimana, ritmi intensi, assenza delle più elementari misure di sicurezza, paghe globali (il lavoratore, cioè, deve pagarsi da sé, le spese mediche, i contributi previdenziali, lassicurazione sulla vita). Tutte condizioni che fanno sì che il lavoratore per potersi guadagnare da vivere debba spaccarsi la schiena fino a pagare con la sua stessa vita.
Esattamente quello che sta accadendo. Negli ultimi due anni sono morti alla Fincantieri sette operai, sei lavoravano nelle ditte di appalto. E la cosa è tuttaltro che limitata a questo cantiere.
Da un documento dellINAIL emerge un quadro di generale aggravamento quanto a sicurezza e salute dei lavoratori. In Veneto ed in Italia il numero degli infortuni denunciati è nel 1998 aumentato rispetto al quadriennio 1994-1997. Tra il 1997 ed il 1998 cè stato nel solo Veneto un aumento del 2,5% (percentuale che schizzerebbe molto più in alto se si potesse venire a conoscenza degli infortuni non denunciati, come accade alla stessa Fincantieri, dove molti lavoratori dei subappalti, per paura di perdere il posto di lavoro, rifiutano in ospedale la prognosi e tornano a lavorare anche quando hanno subìto gravi lesioni agli occhi o alle articolazioni).
Inoltre, lincidenza degli infortuni dei lavoratori immigrati (occupati prevalentemente nei lavori più pesanti e nocivi) è complessivamente aumentata in Veneto del 2,7% nel 1998 rispetto al resto dellItalia. E se teniamo presente che i lavoratori immigrati con una posizione lavorativa "regolare" sono solo una parte di quelli presenti e che molti di loro sono costretti a lavorare in nero, non è difficile immaginare che i dati reali siano ben superiori a quelli resi noti dallINAIL.
Un ultimo dato degno di attenzione riguarda gli "infortuni in itinere", quelli cioè che avvengono durante il tragitto tra il luogo di lavoro e labitazione del lavoratore e viceversa, quelli -per intendersi- causati dalla fatica e dalla stanchezza di otto (e spesso più) ore di lavoro massacranti, o dalla fretta nello spostarsi da casa al lavoro o da un cantiere allaltro Tali infortuni passano dallo 0,05% sul totale degli infortuni indennizzati, al 6,01% del totale. Se esaminiamo gli infortuni "in itinere" mortali, la percentuale passa dallo 0,17% del 1996 al 18,18% del 1998!
Tutto questo accade nel cuore del "mitico Nord-Est".
Gli omicidi sul lavoro, sintende, non sono una prerogativa della Fincantieri o del Veneto, visto che arriva quotidianamente in Italia dalle fabbriche e dai luoghi di lavoro un vero e proprio bollettino di guerra: 3-4 lavoratori uccisi al giorno assassinati da imprese assatanate di guadagni illimitati da realizzare sulla pelle e sul sangue di chi lavora. Fiumi di sangue, se è vero che ogni anno cadono sul lavoro in tutto il mondo oltre 200.000 lavoratori: un massacro che sfugge ai signori dei giornali e delle tv così permanentemente commossi da massacri inventati ad arte!.
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Davanti a questo estendersi dellincertezza e davanti a questo scempio della salute e della vita dei lavoratori, che cosa fa il sindacato?
"Il sindacato sa, ma non può far niente". Questa la risposta data dal neo-segretario della Camera del Lavoro di Venezia in occasione di un "Forum sul lavoro nero" tenutosi a Mestre, alla domanda di uno dei presenti su cosa ne pensa il sindacato delle centinaia di lavoratori (immigrati soprattutto) che dalle 5 del mattino aspettano lingaggio a giornata davanti ai cancelli della Fincantieri o dei mille cantieri edili. Veramente una bella risposta! Accompagnata dalla proposta di "aprire un tavolo cui invitare i più svariati soggetti dei settori produttivi del Veneto (ovviamente, esclusi gli unici soggetti che tutto producono: i lavoratori, n.), con lobiettivo di portare su un piatto dargento a Roma un progetto qualificato e competitivo". Il problema principale sarebbe, infatti, secondo i vertici sindacali, lassenza di qualità e di qualificazione professionale sui posti di lavoro; risolto questo problema, anche il lavoro nero potrà essere superato, poiché "esso esiste laddove non ci sono margini di competitività, e questultima è possibile nella misura in cui i lavoratori sono più qualificati".
Una catena di falsificazioni della realtà. Se la Fincantieri di Portomarghera ha potuto aggiudicarsi negli anni scorsi il 60% delle commesse di navi da crociera è proprio grazie al fatto che essa si è ampiamente servita del sistema degli appalti e subappalti, dove -come capita nella maggior parte dei casi- lavorano in nero non operai comune, ma molto spesso operai qualificati, specializzati (come nel caso degli operai bulgari o rumeni dei cantieri navali "Ceaucescu"), se non super-specializzati.
Per non dire poi della proposta risibile e per certi versi provocatoria del mettersi tranquillamente al tavolo di accordo, senza la minima mobilitazione di lotta, sintende, con quegli stessi padroni che attentano di continuo alla salute e alla vita dei lavoratori, pretendendo di insegnare loro, che lo sanno fare a memoria da qualche secolo, come si fa ad organizzare le aziende, ovvero: come si fa ad organizzare lo sfruttamento del lavoro salariato. Ovviamente, non è al singolo bonzo sindacale che imputiamo la responsabilità di una logica che subordina gli interessi dei lavoratori a quelli delle aziende e dellazienda-Italia, una logica (la stessa propria di tutta la sinistra, istituzionale e non) tanto suicida per i lavoratori quanto fallimentare per la stessa organizzazione sindacale.
Quella stessa logica che fa sì che anche qualora si reagisce al degrado delle condizioni di lavoro dei proletari (comè accaduto di fronte allultimo omicidio in Fincantieri, in seguito al quale i sindacati confederali e la Fiom hanno indetto unora di sciopero in tutta Portomarghera denunciando lincidente per quello che esso è: "Non una fatalità ma lennesimo incidente mortale che si lega alla catena di "omicidi bianchi" che segnano i cantieri navali", e denunciando altresì che "sono gli operai degli appalti e dei subappalti il punto più debole di questa catena"), si finisca poi non con lappellarsi ai lavoratori della Fincantieri chiamandoli in lotta a difesa e alla testa di quelli super-sfruttati e super-ricattati degli appalti, bensì con una richiesta ai padroni e alle istituzioni di "regolarizzare e rendere trasparente" il sistema degli appalti. Vale a dire proprio quel sistema che ha come regola principale ed ineluttabile (pena la sua stessa ragion dessere) garantire alle aziende committenti il minor costo possibile del lavoro. E minor costo del lavoro significa inesorabilmente maggiori profitti per le imprese e minori garanzie per i lavoratori e quindi, necessariamente allungamento degli orari di lavoro, ritmi più intensi, nessuna misura di sicurezza maggiori rischi di infortuni e di morti.
Quindi, da una parte si dice di volere la massima sicurezza sul lavoro, un istante dopo lo si nega ammettendo la "inviolabilità" del sistema degli appalti (come fa la stessa Fiom, pur in attrito con lultra-moderatismo della segreteria CGIL, quando afferma: "è impensabile reggere lattuale modello produttivo senza ricorrere agli appalti", La Nuova Venezia, 20.10.99). Ma riconoscerne la "inviolabilità" significa nei fatti ammettere lesistenza di lavoratori di serie A e di lavoratori di serie B, C e D. E in cosa si distinguerebbero tra loro questi "diversi" lavoratori se non proprio nei diversi trattamenti e nelle differenti condizioni di lavoro e quindi nel diverso grado di ricattabilità da parte dellazienda (sia essa quella principale, sia la più piccola ditta degli appalti)?
E allora, se si vuole bloccare davvero la minaccia crescente sia alla stabilità che alla sicurezza del lavoro, è la logica delle compatibilità aziendali e nazionali che va completamente rovesciata. Altrimenti come lavoratori rischiamo di farci scagliare non contro i nostri nemici, i padroni e la banda governativa che li sostiene, ma contro altri lavoratori come noi: i lavoratori della Fincantieri contro quelli degli appalti, i lavoratori "locali" contro quelli meridionali ed immigrati, quelli meridionali contro quelli immigrati e tutti insieme contro gli operai giapponesi e coreani, super-sfruttati e super-ricattati, che disgraziatamente qualcuno vorrebbe presentare come la fonte dei nostri guai (quelli stessi operai coreani a cui il Fmi e la Banca Mondiale stanno offrendo non "aiuti", come dice un documento della Fim Fiom e Uilm, bensì un surplus di corda per strangolarli se è vero, come è vero, che in Corea governo e imprese stanno attuando -proprio grazie agli aiuti di cui sopra- misure di restrizione e repressione di ogni attività sindacale, tagli alloccupazione e ai salari. La paga oraria media degli operai coreani è passata dai 7,5 dollari del 1996 ai 4,3 del 1998!).
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Non è da oggi che la nostra organizzazione interviene per denunciare il vero segreto del "miracolo" del Nord-Est (come di ogni altro "miracolo" capitalistico) e per mettere in guardia i lavoratori tutti dal rischio di infezione sciovinista ed aziendalista di cui sindacato e "sinistra" sono infestati.
Anche in seguito allultimo incidente in Fincantieri (in continuità con il lavoro da noi finora svolto) siamo intervenuti con la diffusione di un volantino alle fabbriche e con la partecipazione allassemblea delle RSU, rivolgendoci ai lavoratori con la schiettezza di chi è consapevole che oggi ha davanti una classe che non si comporta come tale, ma con la fiducia che essa dovrà e saprà svegliarsi dal torpore in cui è caduta.
Non ci nascondiamo -e tanto meno lo nascondiamo ai lavoratori- che linfezione di cui sopra sia andata ben oltre la stessa "sinistra" ed il sindacato: è entrata tra i lavoratori, al punto tale che anche di fronte al cadavere ancora caldo di un operaio degli appalti cè stato, tra i dipendenti Fincantieri, anche chi ha continuato a parlare dei lavoratori immigrati come di "gente che non vuol lavorare". Abbiamo definito questatteggiamento vergognoso (in senso di classe, ovviamente) e suicida, così come è suicida, per i lavoratori italiani ed europei, lasciarsi intrappolare nella logica delle compatibilità aziendali e nazionali, secondo la quale possiamo salvare la nostra pelle a livello nazionale ed europeo solo riuscendo ad essere più competitivi di giapponesi e coreani.
Ad onta di chi vorrebbe farci credere che lunica cosa che ci rimane è scannarci con altri operai, unalternativa per noi cè, ed è quella di ritrovare la fiducia in noi stessi, nella classe lavoratrice, mettendo fine alla concorrenza seminata nelle proprie fila dai capitalisti, mettendosi a fare sul serio la lotta di classe contro questi ultimi. Solo unendo le nostre forze in una battaglia generale e senza tregua alla devastante precarizzazione della condizione proletaria che coinvolge ormai settori sempre più ampi e colpisce i lavoratori coreani non meno che noi, e che deve essere perciò una battaglia alla scala internazionale, potremo contrastare efficacemente lodierno attacco capitalistico e spazzare via definitivamente la concorrenza come base dellorganizzazione economica della società.