Gli operai della Zastava avevano già dato prova di non essere tra chi si piega facilmente. La loro è una storia di lotte e dorganizzazione sindacale.
Durante laggressione Nato hanno presidiato la fabbrica, per difendere il loro posto di lavoro, il loro futuro. A bombardamenti in corso una loro delegazione è venuta in Italia per denunciare la vigliacca aggressione e cercare solidarietà tra i lavoratori dOccidente. Insomma il loro istinto di classe non è andato disperso.
Terminati i bombardamenti, e nonostante lindifferenza e lisolamento in cui li ha lasciati la classe operaia occidentale (per non dire dei sindacati e dei partiti che hanno sostenuto laggressione), hanno cercato un reale sostegno internazionale per ricostruire quelle condizioni desistenza distrutte dallaggressione imperialista. Non hanno perso tempo e hanno organizzato unassemblea (a Kragujevac) il 28 luglio con le rappresentanze sindacali dei paesi della ex Jugoslavia, e con i sindacati dei paesi occidentali. Alcuni nostri compagni, operai e delegati, vi hanno preso parte.
Avevamo conosciuto i sindacalisti della Zastava durante il loro giro di assemblee in Italia a giugno. Laccoglienza da parte loro è stata cordialissima e sincera. Erano presenti operai dello stabilimento distrutto e delle altre fabbriche Zastava della Serbia, Macedonia, Montenegro, Kosovo, della Repubblica Serba di Bosnia. Non erano presenti "per ragioni tecniche" una delegazione dellIG-Metal per la Germania, dei sindacati danesi e norvegesi, del sindacato francese Sud e delle Comisiones obreras spagnole. Vi erano invece una delegazione di sindacalisti del Belgio (del Coordinamento contro la guerra, oppositori della linea ufficiale), sindacalisti della Cgil Lombardia, alcuni delegati del Coordinamento nazionale RSU e alcuni esponenti dello Slai-Cobas, che hanno portato una tranche degli aiuti raccolti.
Allassemblea, di circa tre ore, hanno partecipato 100-120 delegati e sindacalisti. Il clima era destrema attenzione e tensione per le difficoltà presenti e future. Tutti gli interventi degli jugoslavi si sono aperti con una denuncia dellaggressione Nato (mai chiamata "guerra") marchiata con parole di fuoco.
Già nella conferenza stampa del mattino la presidente del sindacato (è impressionante la presenza di donne a ogni livello di responsabilità della struttura sindacale, e non per questione di "quote") aveva richiamato limportanza dellassemblea, che vedeva i sindacati delle repubbliche della ex Jugoslavia, riuniti insieme dopo anni, discutere con alcuni rappresentanti di sindacati europei, visti non tanto per le posizioni che esprimono, ma come rappresentanti della classe operaia europea. Il messaggio è stato chiaro: per lesistenza della Zastava e dei suoi 36 mila operai (oltre quelli dellindotto) è indispensabile laiuto da parte dei lavoratori dOccidente. Ai problemi già gravi sorti con la disgregazione della Jugoslavia (la Zastava aveva fornitori e mercato in tutte le repubbliche) si sono aggiunti lembargo e laggressione Nato che ha posto termine al processo produttivo. I lavoratori hanno continuato a lavorare anche durante i bombardamenti fin quando è stato possibile, poi hanno iniziato lo sgombero delle macerie dalla fabbrica bombardata. I danni ammontano a 2 miliardi di dollari, senza contare le ripercussioni della disoccupazione forzata per i lavoratori dellindotto (226 aziende non solo in Serbia, 1 milione di persone complessivamente coinvolte). Importanti dunque gli aiuti in vista di un inverno che sarà durissimo, importanti gli aiuti già arrivati (con pubblici ringranziamenti allo Slai Cobas) e quelli che arriveranno grazie alla solidarietà dei lavoratori dEuropa. "Ma è necessario - ha spiegato - fare un passo oltre gli aiuti umanitari, mettendo insieme tutti i sindacati europei per porre le basi di una collaborazione a difesa degli interessi comuni dei lavoratori non solo della Zastava, ma di tutta Europa. È la parte più difficile da realizzare, ci vogliono pazienza e tempo, ma i lavoratori hanno interesse ad agire insieme". Un richiamo non formale, che pone un problema oggettivo, e per noi essenziale, se si vuole rispondere allaggressione imperialista, così come battersi contro gli sfruttatori e i profittatori locali, contro la borghesia nazionale.
Ha aperto lassemblea vera e propria il segretario del sindacato del settore auto della Zastava, chiarendo subito che lo scopo delliniziativa era di fare un primo passo di apertura verso "i sindacati europei rappresentativi e in particolare verso quello italiano". Lobiettivo dichiarato è di costruire -tramite questi rapporti- una strategia comune per la difesa degli interessi dei lavoratori, un movimento internazionale di solidarietà e sostegno ai lavoratori jugoslavi. Ma -lo diciamo subito- non per questo i lavoratori della Zastava si sono mostrati disponibili a subire ricatti da chicchessia, anzi, anche in questoccasione, hanno dato prova di voler decidere del loro destino senza delegare a nessuno la loro sorte. Una classe operaia nientaffatto piegata dallaggressione, non sconfitta, non prona ai diktat dei governi e dei sindacati occidentali.
Perché, allora, nonostante ciò e la conoscenza delle posizioni filogovernative e guerrafondaie dei sindacati europei, è stato rivolto proprio a questi ultimi linvito a sostenere i lavoratori jugoslavi? Le motivazioni di tale atteggiamento vanno ricercate nella sostanziale sordità del proletariato europeo di fronte allaggressione occidentale. In questa situazione è "naturale" che i lavoratori e i sindacati jugoslavi cerchino di superare lisolamento e le durissime condizioni di vita in cui è stato ricacciato il proletariato, cercando il coinvolgimento dei sindacati europei che "contano", "rappresentativi". Ciò non porterà da nessuna parte? Certo, ma come non vedere che è dai lavoratori di qui che è mancato e continua a mancare il vero aiuto per superare i limiti e le illusioni di lì?
Il sindacato jugoslavo ha di conseguenza mirato a un duplice e, in sostanza, divergente obiettivo: un invito allazione concreta per costruire una reale solidarietà tra lavoratori e, al tempo stesso, la ricerca di un canale per far pressione su governi e aziende (in special modo sulla Fiat) occidentali. È evidente il valore del primo elemento, quello che preannuncia il futuro, mentre dobbiamo senza esitazioni far riflettere sullinadeguatezza del secondo. È ciò che abbiamo cercato di fare intervenendo allassemblea nella consapevolezza che lì si preparano i coefficienti di una battaglia che non potrà limitarsi ai vecchi ambiti, geografici e politici. Lazione riparte dal terreno immediato, ma si trova subito ad affrontare tutte le questioni politiche sul tappeto: lotta allimperialismo, costruzione di una vera unità con tutti i proletari dei Balcani e tra questi e i proletari europei, lotta contro la propria borghesia. Il dibattito dellassemblea e la mozione conclusiva (v.) lo confermano in pieno ed è importantissimo che, dopo anni di distanza, divisione, se non contrapposizione tra le singole sezioni del proletariato jugoslavo, si sia fatto un primo, reale passo nella direzione della sua ricomposizione.
Altri interventi significativi dei delegati jugoslavi. Quello della Zastava di Macedonia ha parlato delle proteste anti-Nato che lì si son date, e dellesigenza di organizzarsi unitariamente contro lattacco ai diritti dei lavoratori in tutti i paesi, esprimendo la speranza che i colleghi europei lottino per la ripresa della Zastava e dei suoi operai.
Il delegato di Nis ha denunciato i bombardamenti Nato in maniera lapidaria: "si è tornati indietro a quando i tedeschi ci fucilavano".
Significativa losservazione di un delegato di una fabbrica dellindotto, con 3.200 operai rimasti a casa, della repubblica Serba di Bosnia: "Di questi eventi non si vede ancora la fine".
Il segretario sindacale della città di Kragujevac ha rivolto agli europei presenti un chiaro appello: "portate a casa quello che avete visto, denunciate la situazione presente, perché ci aspettano mesi ancora più difficili. Questiniziativa deve essere il punto di partenza per unazione complessiva del sindacato in tutta la Repubblica Jugoslava."
Durante la conferenza stampa del mattino, inoltre, un delegato della Zastava di Pec (Kosovo) ha denunciato che i militari italiani, appena entrati in città, hanno sgombrato i due capannoni della fabbrica ancora funzionante, con i 200 operai, serbi e albanesi, che vi avevano lavorato assieme anche durante i bombardamenti. Gli operai serbi sono poi dovuti fuggire; gli albanesi sono rimasti senza lavoro.
Il rappresentante belga, in un discorso conciso ma combattivo, ha detto di essere lì non a nome dei sindacati ufficiali, che hanno appoggiato laggressione, ma di quei lavoratori che si sono mobilitati contro. È fondamentale, per creare una vera solidarietà operaia, che da qui (dai paesi imperialisti) si contribuisca alla ricostruzione materiale e si restituisca la verità su quanto è successo. Ha concluso con la necessità della ripresa della solidarietà internazionale dei lavoratori.
Di tuttaltro tenore e spirito gli interventi dei sindacalisti italiani.
Il rappresentante della Cgil-Lombardia, a parte le promesse di aiuti e un modesto distinguo dalle posizioni ufficiali del sindacato italiano ("una scelta non condivisa"), non ha mai denunciato come criminale laggressione italiana e Nato né tantomeno il ruolo svolto da Cgil-Cisl-Uil. Ha continuato spiegando che "la ricchezza di un paese non è patrimonio dei governanti e dei regimi di turno, ma del popolo, dei cittadini. Per questo era sbagliata la scelta dellItalia, della Nato di risolvere con la guerra i problemi" (cerano evidentemente altri mezzi per piegare i popoli della Jugoslavia! n.).
In sostanza il ruolo che vuol giocare il sindacato italiano è di smuovere la "sensibilità del governo e di chi ha linteresse economico, innanzitutto la Fiat, a investire per la ricostruzione". Neppure un richiamo formale allunità tra lavoratori o allazione comune. È stato lintervento di chi si propone come intermediario del governo e delle aziende italiane. Di più. Il "prezzo" per lintermediazione richiesto agli operai della Jugoslavia è quanto mai salato: la pretesa (non ottenuta!) della dichiarazione, da poter spendere in Occidente, che "anche i lavoratori jugoslavi sono contro Milosevic".
I lavoratori jugoslavi hanno delle buone e sane ragioni di critica e di dissenso nei confronti di un Milosevic, di una politica fallimentare proprio per quel che riguarda la tutela degli interessi proletari di fronte ai banditi delle centrali del capitale internazionale, e anche contro gli sfruttatori e i profittatori locali. Ma, queste ragioni e questi interessi sono diametralmente opposti a quelli portati avanti dai governi e dai sindacati dOccidente. Infatti, la richiesta di una maggiore "autonomia dai partiti e dai governi" rivolta agli jugoslavi da questa genia di sindacalisti nostrani non è finalizzata a rafforzare un movimento di classe internazionale, antimperialista e anticapitalista, pronto a battersi contro i diktat del FMI e dei governi imperialisti, né a dare più forza alla lotta di classe, da parte del proletariato jugoslavo. Nulla di ciò vi è nelle loro intenzioni! La presenza Cgil, anche quella dopposizione interna (che non ha mai denunciato la criminale azione del governo DAlema), era lì a portare un vero e proprio ricatto: "la possibilità di ottenere un sostanzioso aiuto dipende dal vostro impegno per la democratizzazione". Una operazione finalizzata a costruire un"opposizione democratica", sponsorizzata dallItalia e dai paesi aggressori, per metter su un governo-fantoccio che si pieghi ai voleri del "civile e democratico" Occidente.
Noi siamo intervenuti allassemblea con un volantino in serbo distribuito a tutti (più di un operaio jugoslavo ce ne ha richiesto copie da distribuire in seguito) e dal palco. Il passaggio più appaludito è stato: "Senza lItalia questa guerra non sarebbe stata possibile", con effetto liberatorio per gli jugoslavi nel sentirlo dire da uno di qui. Dal palco abbiamo, nella sostanza, ripreso quanto scritto nel volantino, che riproduciamo in parte:
"Operai della Zastava, lavoratori jugoslavi, voi che avete visto gli aerei assassini e vigliacchi della Nato distruggere fabbriche, strade e centrali, colpire ospedali e scuole, avvelenare terra e aria... voi che vi siete visti togliere la semplice possibilità di lavorare a causa della guerra... voi che avete sofferto per le vite distrutte e ferite e per le famiglie costrette a oltre due mesi di terrore ed estrema difficoltà, voi ora cercate di ricostruire le condizioni di vita, di lavoro e ambientali distrutte dallaggressione imperialista e, per questo, cercate giustamente di dare corpo con la vostra iniziativa a un più forte movimento operaio.
Noi siamo solidali con questa rivendicazione sollevata con la stessa fierezza con cui avete resistito ai bombardamenti assassini, siamo solidali con la vostra ricerca di un reale sostegno internazionale. Nello stesso tempo siamo qui anche per discutere con voi fraternamente una questione fondamentale: quali sono le condizioni che possono offrire un reale aiuto? Quali sono le forze che possono farlo?
Due soggetti si fanno avanti per promettervi aiuto: i governi occidentali e i sindacati governativi europei. Sono i soggetti più affidabili? Basta guardare in quale baratro paesi a voi vicini sono stati portati da un certo "aiuto", quello dei governi occidentali (europei in testa) e delle istituzioni finanziarie internazionali.
La Croazia, lo stato che più si è venduto e inginocchiato di fronte ai paesi "benefattori", ne ha ricevuto in cambio "benevolenza" da parte dei nuovi padrini. Con quali risultati per la popolazione lavoratrice? Gli "aiuti" hanno portato esclusivamente allo smantellamento dellindustria locale, alla privatizzazione e allaccaparramento da parte dei pescecani occidentali di quanto è profittevole, allaumento dei prezzi, alla disoccupazione e allimpoverimento di massa della popolazione che oggi si trova ai limiti di sussistenza. Non è un caso che i lavoratori croati siano ridiscesi in lotta anche con scioperi proprio in questi ultimi mesi contro questi drastici peggioramenti, dimostrando che il credito di Tudjman (e dei suoi padrini-padroni occidentali) è in via di esaurimento.
E che dire della Bosnia? Anchessa "beneficiata" dallintervento di Usa e Europa, ne è ora sotto la diretta amministrazione politica e militare (con un occupazione in piena regola). Lì i salari sono precipitati al livello più basso dellarea; imperversano mafia, traffico di droga e di armi, prostituzione, esplosa proprio con gli "aiuti" e attraverso di essi. È diventata insomma un vero e proprio protettorato suddiviso tra le potenze occidentali.
Cosa insegnano queste esperienze? Che nessun vero aiuto per il proletariato può venire dai governi occidentali. Il loro unico obiettivo è di impadronirsi delle risorse dellarea e di impoverire le popolazioni. A questo ha puntato lopera sistematica finalizzata a disgregare la Jugoslavia con tutti i mezzi possibili. Quando poi i lavoratori non si rendono disponibili a sottomettersi ai diktat dei capitali occidentali, la guerra ha mostrato quale sorte riservano loro i governi imperialisti: quella riservata ieri al Vietnam, poi allIrak, oggi ai popoli dei Balcani, domani... a chiunque non si pieghi ai suoi voleri.
(...) Se i governi occidentali preparano solo bocconi avvelenati, nessun vero aiuto può venirvi neanche dai sindacati ufficiali dOccidente Cgil-Cisl-Uil hanno appoggiato, per esempio, laggressione contro di voi, alla coda del governo, hanno giustificato la guerra come "contingente necessità", come "intervento umanitario per il Kosovo", chiamando i lavoratori a sostenere laggressione contro la Jugoslavia. Ma anche chi dallinterno di questi sindacati si è opposto alla posizione guerrafondaia delle proprie direzioni e dei governi, nei fatti non ha alzato un dito per organizzare una vera mobilitazione dei lavoratori contro la guerra, né espresso mai sostegno alla resistenza dei popoli jugoslavi, né ha mai organizzato una vera contro-propaganda sulle reali ragioni della guerra per contrastare il sentimento antiserbo diffuso da una propaganda di regime peggiore di quella fascista, mai hanno cercato di coinvolgere i lavoratori jugoslavi immigrati."
Lintervento è proseguito con la denuncia che laggressione occidentale ha ricacciato il proletariato jugoslavo nella miseria e, ora, con la "pace" lo ricatta con larma degli aiuti vincolati alla "democratizzazione" e con lindicazione dellunica via duscita possibile.
Comprendimao la forza del ricatto e che il desiderio dei lavoratori di uscire dalla situazione pesantissima possa portare a dare un sia pur minimo credito a tal genere di "aiuti". Ma la loro "ricostruzione" è solo maggiore distruzione della forza del proletariato, al quale toglie tanto i luoghi di più importante aggregazione fisica (le grandi e medie industrie) quanto tutti gli elementi di aggregazione sindacale (rendendo precari e individuali contratti, pensioni, sanità, ecc.) e politica (sopra tutto i legami "jugoslavisti").
La ricostruzione cui aspirano le masse lavoratrici va, invece, nel senso di riconquistare condizioni dignitose di lavoro e di vita. Va, dunque, nel senso opposto. Può essere perseguita allunica condizione che esse si dotino di unadeguata forza organizzata.
Un primo indispensabile obiettivo è di riunificare le forze del proletariato a scala jugoslava, riaffratellare tutti i proletari dei Balcani nella lotta unitaria contro laggressione, armata o "di pace", dellimperialismo.
In secondo luogo, questa lotta non può essere sostenuta dalle sole masse lavoratrici jugoslave. Lavversario imperialista è molto potente, il nostro schieramento deve eguagliarlo in potenza, diffusione e organizzazione. Le masse oppresse dallimperialismo sono sempre più poste di fronte alla necessità di insorgere contro di lui, in tutto il mondo, dal Medio Oriente alla Cina, dallAfrica allAmerica Latina. Ovunque cè una "ricostruzione" da realizzare, ovunque può essere realizzata solo sulla base degli interessi specifici della classe degli sfruttati, del proletariato internazionale, in una lotta a morte contro limperialismo e i suoi manutengoli locali. Unificare questo fronte è, dunque, il secondo indispensabile obiettivo da perseguire, non "dopo" ma in contemporanea al primo.
Un altro decisivo elemento abbisogna per condurre contro limperialismo una lotta che sia allaltezza della sua forza: il proletariato occidentale. Oggi è stupidamente passivo o indifferente alle guerre del "proprio" imperialismo, ma è inesorabilmente destinato a rimettersi, a sua volta, in movimento sotto i colpi sempre più pesanti delloffensiva capitalista, che non lo risparmia già oggi, e meno ancora lo risparmierà domani.
Tocca innanzitutto ai militanti di classe di qui, dellOccidente, dare attuazione a un vero e costante lavoro per orientare il proletariato metropolitano verso i primi fondamentali legami di solidarietà, sostegno e di organizzazione comune con il proletariato balcanico, e non solo.
A questo i comunisti internazionalisti dedicano tutte le loro energie. Un lavoro nel quale è compresa anche la raccolta di aiuti materiali e finanziari, ma non perché si possa, con questa, arrivare a costruire uno sviluppo "indipendente" della Jugoslavia, ma solo come concreto primo passo di solidarietà, importante a condizione che sia esplicitamente rivolto ad aiutare il proletariato balcanico nella difesa della sua indipendenza di classe, politica e organizzativa. Un aiuto, quindi, che possiamo dare, come proletariato occidentale, innanzitutto lottando contro i "nostri" governi, i "nostri" stati, le "nostre" istituzioni finanziarie e militari, nazionali e sovra-nazionali, assumendo dinanzi a loro la difesa dei lavoratori e dei popoli balcanici. Una parte decisiva di questa lavoro è quella di difendere e organizzare nelle nostre strutture quei lavoratori balcanici costretti dallimperialismo a emigrare in Occidente. (Un compagno dei Cobas segnalava, di recente, che i lavoratori serbi nel triestino, per mandare soldi nella Serbia distrutta dalla guerra, hanno iniziato a sottoporsi a ritmi e orari di lavoro tali da poter creare problemi di "concorrenza" con i lavoratori italiani. Ecco un esempio di come laggressione imperialista alla Jugoslavia si scarica anche contro i lavoratori occidentali, ed ecco un terreno su cui si può misurare, fin da subito, come sia di vitale interesse per il proletariato occidentale difendere le condizioni dei lavoratori dei Balcani, sia quando emigrano qui, sia contrastando il dominio imperialistico nei Balcani.)
Al di fuori di questa complessiva strada, le altre sono solo strade di umiliazione, per i popoli della ex-Jugoslavia e per i proletari dOccidente: loro destinati alla schiavizzazione, noi chiamati a sostenere i governi schiavisti.
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Come sapete, per varie questioni tecniche, il rientro dallassemblea del Sindacato
Zastava lho fatto con i tre compagni dei Cobas.
Il viaggio è andato bene (
).
A parte la prolungata "fermata" alla frontiera italiana durante il rientro (più
di due ore con perquisizione totale dellauto e dei bagagli), la cosa più
interessante sul piano delle nostre valutazioni politiche è quanto accaduto tra la
frontiera serba e quella croata.
Passata la frontiera serba, ci siamo avviati al controllo dei passaporti da parte della
polizia croata, per poi avviarci allispezione doganale.
Si è avvicinato un giovane doganiere croato sui 25 anni che ci ha fatto aprire il
bagagliaio, e tra borse e valige si è ritrovato in mano un pacco di giornali vari, con
allinterno una ventina dei volantini in serbo croato che avevamo fatto per
lassemblea e qualche nostro adesivo contro la guerra.
Il doganiere prende in mano un volantino ed inizia a leggerlo incuriosito, girandolo e
rigirandolo più volte. Noi tutti ci siamo allarmati per qualche possibile complicazione
che avrebbe potuto sorgere.
Ma con nostro immenso stupore, più lo leggeva e lo rigirava, più sorrideva ed accennava
consensi con il capo. Tanto che un compagno dei Cobas, mentre il doganiere leggeva sempre
più interessato, ha esclamato sbalordito : "Ma questo è daccordo con
quello che sta leggendo!"
Il doganiere ha riposto i volantini e ci è sembrato essersi trattenuto un adesivo, visto
che si è infilato qualcosa nel taschino della divisa.
Ci ha fatto un ampio sorriso, ha allungato una amichevole pacca sulla spalla
allautista e ci ha salutati con un forte "Ciao!"
Questo episodio, per quanto minimo, sta ad indicare la validità delle nostre positive
valutazioni seguite alle partecipatissime manifestazioni del 1° maggio in tutta la
Croazia, ovviamente ignorate da tutta la stampa occidentale.
In queste avevamo colto tre elementi importanti nello sviluppo della dinamica dello
scontro di classe: un malumore in forte espansione contro il governo di Zagabria, il farsi
strada dellidea che "prima si stava meglio "(riaffiora quello jugoslavismo
di cui parliamo), e lassociazione di essa a una certa simpatia verso la "povera
gente" serba aggredita. Ed è ancora più positivo che si sia trattato di un giovane,
e non di un "vecchio nostalgico" (un doganiere poi!), segno della crescente
disillusione verso lOccidente che si sta diffondendo anche tra le nuove generazioni.
Per questo mi sembra valido segnalare lepisodio ai compagni, che, per quanto minimo,
può essere inquadrato in questo senso.
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