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LA LEGA È IN GRAVE CRISI, IL LEGHISMO IMPAZZA.

Indice

Contro i "poteri forti"
Alla rincorsa dei "moderati"
Ricadute sul proletariato

I risultati elettorali di giugno sono stati, per la Lega, deludenti. Quasi metà del suo elettorato s’è dispersa fra astensione (soprattutto), Bonino e Polo. I becchini anti-Lega in servizio permanente ne hanno annunciato l’ennesimo funerale. La Lega ha respinto le attenzioni mortuarie, ma, alla sconfitta elettorale è seguita una crisi politica innegabile, visibile nell’espulsione (o abbandono) di molti uomini di primo piano, e anche nel clima di sconforto diffuso nella base militante. Bossi ha organizzato in tutta fretta un congresso, celebrato tra gli scontri tra oppositori e sostenitori di Comino (fautore, in Piemonte, di un apparentamento con il Polo alle amministrative), per rilanciare lo spirito militante del partito. Ma il rilancio stenta tuttora.

Perché questa crisi? Essa discende in linea diretta dal fallimento di un’occasione, ma ha messo allo scoperto contraddizioni preesistenti. Il momento-grilletto ha fatto cilecca; lo scontento del Nord per una mancata ammissione dell’Italia nell’euro avrebbe reso realistica la separazione in due dell’Italia, una nell’area-euro, l’altra con diversa moneta e relative istituzioni separate. La proposta non era irrazionale, e ciò dava una credibilità decisiva al progetto di una Padania indipendente. Il colpo andato a vuoto ha depotenziato la forza attrattiva del progetto padanista; s’è rivelato difficilmente realizzabile, se non proprio impossibile.

Da qui la ricerca, in ampi settori, di vie più "concrete", con il ravvivamento delle istanze più localiste, e la rinascita di un regionalismo sconfitto dieci anni fa con la nascita di una Lega di tutto il Nord sulle ceneri di quelle etno-regionaliste. La fuoriuscita della pattuglia venetista di Comencini non aveva fermato la deriva localista, la ricerca, cioè, di maggior autonomia di questo o quel territorio dallo stato centrale. Dal centro dello stato, d’altronde, non è mai mancata una politica volta a coltivare tali pulsioni micro-autonomiste, e più d’un dirigente leghista, irretito da tali promesse, ha sponsorizzato il confronto o l’apparentamento con questo o quel personaggio o partito di destra (i più) o di "sinistra".

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Contro i "poteri forti"

La vicenda-euro ha messo allo scoperto, però, un’altra bruciante verità: i "poteri forti" s’erano opposti alla secessione padana. Non solo quelli nazionali, ma quelli ben più decisivi di livello mondiale. Usa e Gran Bretagna hanno brigato affinché l’Italia entrasse nell’euro; la precarietà delle sue finanze e istituzioni sono, infatti, un ostacolo decisivo per un euro e un’Europa "forti". Francia e Germania hanno preferito chiudere entrambi gli occhi sia per le pressioni anglosassoni sia per la paura di associare una Padania troppo incline alle istanze operaie di mantenere un sistema "padano", contrapposto al completo dispiegamento del liberismo di mercato.

La Padania, insomma, si può fare non con l’aiuto dei poteri forti, ma solo contro di loro. All’esplodere dell’aggressione alla Serbia-Montenegro, memore di quella presa di coscienza, Bossi non ha esitato a denunciarla come una guerra scatenata dai "banchieri della quinta strada", e dai loro prezzolati governatori diffusi in tutti gli stati occidentali, a un popolo colpevole di "ribellarsi all’ordine mondialista che riduce gli uomini in pulviscolo per renderli schiavi del suo profitto". Era una guerra contro tutti i popoli e il popolo padano doveva schierarsi compatto nelle sue trincee, al fianco degli altri popoli oppressi e ribelli e contro i poteri forti mondialisti.

L’indirizzo è stata recepito, però, solo da una parte della Lega, l’altra parte ne ha preso le distanze, riottosa nel dare lotta a chi detiene il potere vero. Chi erano costoro? La Padania del 1.7, in un articolo dal titolo "La borghesia del Nord schiava per vocazione", ha scritto: "La rivoluzione milanese del 1848 fu moto di popolo. Carlo Cattaneo si divertì a verificare quanti borghesi ci fossero tra i caduti e trovò solo operai e artigiani, vetturini e sellai, martinitt e perfino maggiordomi che forse, dice beffardo, "erano morti per procura dei loro padroni". I bravi borghesi scesero a cose fatte con le bandiere e le coccarde, poi tradirono assoggettandosi ai nuovi padroni sabaudi, chiamati "liberatori"… Sotto il fascismo la borghesia milanese, al solito, fu tutto e il contrario di tutto. Fu fascista e antifascista, ma l’uno e l’altro al momento opportuno". È la stessa borghesia che oggi si ritrae dallo scontro con i poteri forti e si acconcia a ricercare con loro nuovi compromessi. La sua paura ha un fondamento di classe: una guerra per rivendicare il proprio "spazio vitale" contro il più potente imperialismo può essere dichiarata solo se si riesce a legare al proprio fianco il proletariato (secondo l’inveterata lezione hitleriana del nazionalsocialismo, e quella mussoliniana dell’Italia "nazione proletaria" in lotta contro le plutocrazie per il proprio "spazio vitale" e per realizzare le "aspirazioni sociali" del proletariato); ma, svegliato, con inevitabili promesse, il "can che dorme", chi garantisce che non sbrani anche il padrone, assieme ai di lui nemici? Meglio, dunque, cercare accordi con forze politiche centraliste e con lo stato, meglio il localismo.

La cosa non ci stupisce, sapevamo (e abbiamo scritto) da tempo che la Lega non era vaccinata da tali rischi, non era sufficientemente difesa dai miasmi della palude in cui è andato affondando lo scontro di classe in Italia. La deriva localista era già iscritta tra le possibili varianti fin dal sorgere del movimento leghista. Oggi essa vince nella Lega, e porta il leghismo a una vittoria generale, in quanto le linee "autonomiste" si vanno affermando in tutte le forze borghesi, sempre più frammentate, sempre meno capaci di un riscatto unitario nazionale, e sempre più declinanti verso una guerra di tutti contro tutti.
Ciò, è certo, non è senza conseguenze per il proletariato leghista e per l’insieme del proletariato.

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Alla rincorsa dei "moderati"

Bossi ha ben compreso il "tradimento" del programma padanista proveniente da questo settore ed ha lanciato una campagna contro i "moderatini che se ne fregano della battaglia per la Padania, e pensano a quella per la bistecca romana". Alcuni li ha espulsi (Gnutti, "uomo di Confindustria", Comino "uomo del Polo", ecc.), altri si sono dimessi senza lasciare le poltrone occupate grazie ai voti della Lega. E ha fatto appello alla base, "tradita dai dirigenti". Questa è uscita, però, molto provata dalla crisi. Anche tra i proletari leghisti non tutti avevano seguito Bossi contro la Nato nelle prime settimane di guerra, e il repulisti successivo ha radicato un sentimento di difficoltà e di sconforto. Non è stato come i precedenti, quando l’epurazione di elementi indecisi o traditori era vissuta come un rafforzamento politico.

Lo stesso Bossi dopo aver tuonato contro i "moderatini", ha chiesto ai militanti piena fiducia in lui per le tattiche da adottare per il rilancio del progetto Padania. Ottenutala, ha messo in atto una politica di rincorsa proprio di quei "ceti moderati" che s’erano allontanati. Accantonata "momentaneamente" la "secessione", il nuovo obiettivo è divenuto, così, la devolution, una strada pacifica e contrattuale per l’indipendenza della Padania, da raggiungere con le firme e con le leggi contrattate con il nemico stato centralista e i suoi epigoni politici. Allo stesso tempo la propaganda leghista si è andata sempre più concentrando sul binomio "immigrazione-criminalità".

Questi sono temi vivamente sentiti anche nel proletariato, il quale avrebbe molto da dire (e da fare!) al proposito dal suo punto di vista di classe. Finora, sia pure sotto l’influenza di soluzioni reazionarie (inevitabile se non emerge una significativa forza politica che si batta sulla base degli autonomi interessi proletari) questo punto di vista aveva fatto capolino nell’iniziativa leghista. Riguardo agli immigrati, per esempio, il senso comune diffuso tra i lavoratori leghisti distigue tra quelli che cercano lavoro vero e quelli che si lasciano corrompere dalla mentalità parassitaria, che punta al guadagno senza farsi scrupoli sul modo di ottenerlo (distinzione eminentemente di classe tra capitalismo e proletariato, parassitismo e produzione, profitto e lavoro, su cui si innesta la soluzione reazionaria di ritenere gli immigrati tutti degli approfittatori del "benessere" "creato" dal lavoro degli operai occidentali, solo perchè non esiste forza che la trasformi in vero programma di lotta di classe). O, ancora sull’immigrazione, la necessità di solidarizzare con i popoli rapinati dall’imperialismo, per consentirgli di rimanere a "casa propria". O, per quanto riguardo lo stato, sempre per esempio, ponendo, per la criminalità, la necessità di un controllo popolare, non delegato, cioè, allo stato, visto, al contrario, come promotore e difensore della criminalità.

Ora, invece, l’iniziativa della Lega su queste questioni specula sui sentimenti più sordidi del "cittadino padano", in concorrenza -ma non in alternativa- con il Polo.

Cambiano anche i rapporti con lo stato e con la chiesa. Al primo si negava, fino a poco fa, ogni fiducia, e si proponevano, appunto, anche sul terreno della sicurezza, le "ronde padane", per un "controllo popolare" del territorio senza e contro lo stato; oggi le ronde vengono riproposte in chiave di "aiuto" ai sindaci e ai questori, ossia allo stato. Alla seconda si riservavano, prima, invettive al fulmicotone, oggi si propongono battaglie comuni per la scuola privata, il rafforzamento della famiglia, il rilancio della spiritualità contro il materialismo capitalistico imperante.

La conversione "tattica" era iniziata a guerra in corso, quando, avvertendo il ricatto della parte borghese e piccolo-borghese della base leghista, Bossi aveva smesso d’inveire contro l’aggressione imperialista per sfumare sempre di più i toni verso una ricerca di mediazione tra i "contendenti".

Le "correzioni di rotta" non danno alcuna garanzia di riportare al padanismo i "ceti moderati", mentre non possono che provocare ulteriori sbandamenti nella base proletaria e popolare. Una lettrice lo rivela con parole efficaci su la Padania del 17.9:.. "Lavorerò anche per la devolution, pur con la paura che la questione settentrionale diventi solo una "questione di soldi". La Padania è molto di più, è dignità, orgoglio e rispetto. La patria che io sogno è un posto dove i sentimenti contano più del potere, dove chi sa fare conta più di chi possiede soltanto".

Perse le simpatie della borghesia padana, la Lega rischia, insomma, di deprimere anche le energie combattive della sua base proletaria e popolare.

Nei tempi più recenti, Bossi ha cominciato a riprendere temi più "operai", all’unico modo, naturalmente, in cui può farli suoi un movimento dai connotati profondamente borghesi. Sospinto dai successi elettorali di Haider in Austria e Blocher in Svizzera, ha ricominciato a parlare contro la Grande Finanza (il "male assoluto"), contro lo stato che "impone tutto alla società fino al punto di cancellarla, di sterminarla", contro la globalizzazione che "finirà per far scomparire l’uomo e i suoi valori", contro l’imperialismo (quello americano e quello del "Quarto Reich" franco-tedesco) "che annulla l’uomo e le libertà, che pensa solo a produrre di più dove costa meno guadagnando il più possibile". Come sempre si tratta di raccolta di temi operai in chiave del tutto interna al capitalismo. A questa chiave s’aggiunge quella della Mitteleuropa, "culla" dei valori umani contro l’annullamento dell’uomo prodotto dal mondialismo. Ma, il tutto appare ancora come una sorta di "predica" idealista, non certo il discorso di un combattente fiducioso nelle sue schiere e nella possibilità di vittoria: non dà battaglia reale, e quella che dà (sulla devolution e sull’immigrazione-criminalità) non è, certo, pienamente coerente con le "prediche".

Tutto ciò non vuole, in ogni caso, dire che la Lega si stia preparando a vivere i suoi ultimi attimi di agonia. Nell’evenienza di uno spappolamento ulteriore della compagine "italiana" e di un approfondirsi della crisi essa potrebbe trovare nuova linfa. A Bossi non manca certo la consapevolezza di dover giocare alla distanza e tenta, pur con le attuali "giravolte", di far tenere duro a tutto il partito mirando al punto critico delle situazioni a venire.

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Ricadute sul proletariato

Che la Lega riesca a evitare di affondare nella palude italiana o che, invece, vi precipiti interamente, una cosa, al momento, è certa: le sue difficoltà e le "svolte" bossiane stanno seminando tra i lavoratori leghisti uno stato di confusione che ne deprime, inevitabilmente, anche la combattività.

Per questo, ai lavoratori leghisti diciamo di non lasciarsi trascinare dietro politiche che inseguono quella borghesia padana che, se mai aderirà al loro movimento, lo farà all’unica condizione di essere certa che vi prevarranno i suoi interessi di classe, e cioè che i lavoratori rinuncino a lottare per i propri.

Li invitiamo a riprendere la battaglia che hanno iniziato con l’opposizione all’aggressione alla Jugoslavia, a continuare nella ricerca di costruire un fronte comune con i fratelli oppressi di tutti i paesi dominati dal mostro imperialista, a iniziare a stabilire questo fronte comune con il distaccamento di proletari del Terzo Mondo costretti ad emigrare nelle metropoli, lottando, anche assieme a loro, contro la diffusione della criminalità prodotta da un sistema che per il profitto costringe nella miseria milioni di uomini, e che per difendersi e autoprodursi ha costruito gli stati mostruosi che usano anche la criminalità per conservare il loro potere.

Gli proponiamo di estendere questa battaglia con la mobilitazione contro le politiche di aggressione alla condizione proletaria del governo D’Alema, della destra polista, dei pannelliani, della borghesia italiana, padana, internazionale.

Conducendo fino in fondo questa battaglia, emergerà come il progetto di una Padania "autonoma", in cui convivano aziende floride con lavoratori benestanti, è una illusione, e come per liberarsi dall’oppressione del parassitismo non sia sufficiente "staccarsi da Roma", ma sia necessario aggredire tutta la rete mondiale del parassitismo, e la sua radicata organizzazione in stati, partiti, media, chiese, ecc. Guerra che solo uno schieramento internazionale di proletariato occidentale e popoli oppressi del terzo mondo può condurre fino alla vittoria.

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