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Adriano Sofri sul pulpito sbagliato

Se finora non ci sono state prese di posizione critiche su quanto vanno scrivendo e dicendo Adriano Sofri e molti suoi amici ex di Lotta Continua, il motivo era che non si voleva dare addosso a chi sta, per un processo solamente indiziario, in galera.

Questi ex-compagni, tuttavia, oggi sono presenti pubblicamente su tutti indistintamente gli organi d'informa­zione, dall'estrema sinistra all'estre­ma destra, dal bollettino di quartiere a Repubblica e alla Tv di stato. E se dicono cose in pubblico, proprio in pubblico devono accettare, risposte ed obiezioni.

Di Sofri e Company mi ricordo, dopo la chiusura improvvisa e autori­taria di un'organizzazione in cui ave­vano militato decine di migliaia di per­sone, il lungo percorso all'ombra di Pannella, prima, di Craxi e Martelli poi. Me ne ricordo le invocazioni da l'Unità di bombardamenti Nato sui serbi (ed effetti collaterali in quel cal­derone che era la Bosnia). E mi colpì, come gradevole sorpresa, un lungo articolo su Repubblica di pochi gior­ni fa in cui questo intellettuale, organi­co a tanti, suggeriva che sarebbe me­glio farla finita con i bombardamenti, che tanto non ottenevano nulla. Il so­lito Soffi tornò fuori inequivocabil­mente quando, nell'ultimo quarto del­l'articolo, concludeva su per giù: vi­sto che con i bombardamenti non si combinano che guai, passiamo all'at­tacco di terra. Astuto come sempre, questo Nico Fedenco dell'intellighenzia italiana. E tutti zitti.

Oggi, però, si è raggiunto il limite (per me da lunga pezza superato) anche della tolleranza più nostalgica. Nel solito articolone autoreferenziale dell'ex-leader carismatico, svolte pa­gine su pagine di personali ricordi all'impronta di un protagonismo dei tutto ingiustificato rispetto alle dimen­sioni della tragedia bosniaca, ecco la battuta al fulmicotone, quella che deve lasciare il segno: l'ordigno che uccise decine di civili in fila per il pane nella piazza di Sarajevo, Markale, lo fecero i serbi. Riferendosi a un'altra, precedente, l'ex-consi- gliere di Martelli scrive: "Ai cetnici piace du­plicare le stragi ".

Sofri non era in carcere al tempo, né lo erano i suoi fratelli di trasformi­smo, da Liguori a Lerner. Sofri do­vrebbe sapere di certo che, per quanto emarginata negli angoletti dal­l'astuta stampa italiana, uscì la notizia (ampiamente ripresa da tutta la stam­pa straniera) che quella (e l'altra) strage non poteva essere attribuita ai serbi perché una commissione d'in­chiesta dell'Onu ne aveva accertata l'origine nel campo musulmano. Si sarebbe dunque detta una bomba di Izetbegovic contro i suoi compatrioti per giustificare l'immediato (che ci fu) intervento Nato.

Una roba tipo Golfo del Tonkino. Da Nato in Bosnia, a Nato in Jugo­slavia il passo divenne così facilissi­mo. L'ispettore Onu che guidò quel­l'inchiesta fu rapidamente e sommes­samente rimosso.

Auguro a Sofrì - e più ancora a tutti gli altri degli anni di piombo - di uscire dal carcere.

Ma gli auguro anche di stare zitto. C'è già Jamie Shea, c'è già Wesley Clark, c'è già l'agenzia di pubbliche relazioni americana che cura minuto per minuto la disinformazione sulle vicende della Jugoslavia. Che biso­gno c'è di un ulteriore portavoce del­le azioni e del pensiero dell'Alleanza atlantica?

Fulvio Grimaldi

[da il manifesto, 23.5.99]

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