Crediamo risulti ben chiaro al lettore che la nostra posizione sull'URSS non ha per punto centrale un elenco di difficoltà economiche, ma il carattere di queste difficoltà e dei tentativi di soluzione ad esse.
Ai tempi della NEP si trattò di rispondere a problemi immediati di fame a livello delle più grandi masse; Gorbacev non si trova oggi di fronte un simile problema e, da questo punto di vista, può ben "dimostrare" che l’URSS è andata avanti. Quel che noi contestiamo è che questo avanzamento sia stato compiuto sulla strada del socialismo e che i "perfezionamenti" attuali si indirizzino su questa stessa strada.
Le fonti ufficiali si pongono da un'angolatura d'interpretazione ben precisa. Il riferimento di tutte queste difficoltà ad un difetto dei meccanismi di mercato: tipologia e qualità delle merci, politica degli investimenti dei capitali, politica creditizia, scarso slancio dei profitti e degli interessi materiali delle singole unità produttive (o dei singoli tout court), errori nella politica salariale (nel senso di sopravvalutazione del prezzo della forza-lavoro e sua scarsa irregimentazione)...
le soluzioni proposte mostrano ancor più nettamente come ad una diagnosi compiuta con gli occhiali dei borghese corrisponda un'analoga terapia d'urto, che il gorbaciovismo è costretto ad adottare non perché in antitesi col corso precedente, ma perché erede diretto di esso e dei suoi ritardi.
Il punto primo della strategia gorbacioviana consiste in una ristrutturazione produttiva che consenta di accrescere l'accumulazione di capitale e selezionarne la destinazione verso i settori profittevoli (categoria alquanto diversa dall'utilità sociale), tagliare i rami secchi, "liberando" forza-lavoro non nel senso di una diminuzione dei carico di lavoro sociale, ma in quello della diminuzione della sua incidenza sui costi: "Il risultato è che potremo risparmiare, su base annua, il lavoro di 12 milioni di persone e più di cento milioni di tonnellate di combustibili, con un effetto utile di molti miliardi di rubli". E’ sempre Gorbacev, non un qualche Lucchinov nostrano... Il lavoro umano è una merce su cui occorre risparmiare: il combustibile più prezioso dell'economia borghese.
E come risparmiare? In prospettiva con l'applicazione tecnologica, ma nell'immediato con una più rigida regolamentazione dei lavoro, perché è da questa inesauribile materia-prima che occorre pompare "intensivamente" l'aumento di profitti da destinare alla ricapitalizzazione. La lotta agli "ubriaconi, ed agli "assenteisti cronici" costituisce appena la sottile lastra trasparente sotto la quale si sta mettendo in atto un gigantesco sforzo per mettere alla frusta la classe operaia, cancellando gli effetti delle sue forme di "resistenza passiva" (allentamento dei ritmi, "indisciplina" etc. etc.) incoraggiati dagli automatismi salariali e normativi.
Sin qui si erano tentate molte strade per contrastare il declino dei tasso di crescita della produttività dei lavoro (che da una dozzina di anni è regola): dall'"esempio" stachanovista staliniano (rimesso sugli altari dagli attuali "riformatori") ai "sabati comunisti" cosiddetti volontari alle varie forme di "emulazione socialista" e di lavoro "correttivo".
Oggi si capisce che si tratta di un "taylorismo precario", per la mancanza di un apparato disciplinare consistente ed autonomo ed in particolare di una funzione dirigenziale funzionale (un "padronato" vero e proprio) e per la corrispettiva mancanza di una produzione sufficientemente stabile e standardizzata (cfr. M. Drach, Zlobin entre Taylor et Stakhanov, in " Travail", n. 2-3, 1983.
Quindi: disciplina del lavoro che per diventare veramente tale abbisogna meno dei controllo occhiuto (e costoso) dei "cani da guardia" dei regime e più di un diverso complesso strutturale dei meccanismi produttivi.
L'"onnipotenza sociale" precedente, afferma Gorbacev (dando ragione alla nostra analisi del cosiddetto "capitalismo di stato" quale forma di controllo economico proprio di una fase di accumulazione primitiva a basso livello di concentrazione e centralizzazione effettive), ha compiuto irreversibilmente il suo corso. Oggi, una volta impiantato in URSS un moderno industrialismo, urge passare a forme gestionali nuove: dal centro - in quanto organo a servizio dei controllo anonimo dei capitalismo sulla società - si deve passare all'autonomia periferica. Non si tratta di "esautorare" lo Stato, ma di aggiornarne la funzione di rappresentante dei capitale complessivo nelle nuove condizioni di sviluppo date.
Quindi: "accrescere l'efficienza della direzione centralizzata dell'economia, rafforzare il ruolo dei centro nel conseguimento degli obiettivi fondamentali della strategia economica dei partito, nella determinazione dei tassi e delle proporzioni dello sviluppo dell'economia naz., dei suo bilanciamento", e contemporaneamente "porre fine alla pratica di ingerenza del centro nell'attività operativa delle unità economiche sottostanti".
"In ultima istanza, tutto quanto facciamo per perfezionare gestione e pianificazione, riordinare le strutture organizzative, mira a creare le condizioni affinché possa funzionare validamente l'anello fondamentale del sistema economico: il consorzio e l’impresa".
Il movimento dell'economia "socialista" russa è scandito da due tempi diversi: nel primo, di accumulazione primitiva, lo Stato ha assunto il ruolo di protagonista "centralizzatore" pressoché assoluto in quanto artefice della "pianificazione", cassiere e dispensiere dei quattrini necessari a mandarla avanti (nonché di tutte le altre misure "amministrative" per drenare forza-lavoro abbondante e a buon mercato verso l'industria); nel secondo tempo, quello attuale, il passaggio ad uno stadio superiore dello sviluppo economico induce all’esplosione dell'autonomia delle unità produttive (fatta salva una "strategia" centrale che sarà sempre più di facciata, non potendosi immaginare il libero gioco delle leggi di mercato alla base ed il suo incanalamento "pianificatore" al vertice).
Si tratta di una contraddizione, di una "revisione" dei modello precedente? No. Ha ragione Gorbacev quando si lamenta che "sfortunatamente esiste una diffusa opinione che ogni cambiamento nei meccanismi economici debba essere praticamente una ritirata dai principi dei socialismo". Basta sostituire alla parola socialismo il suo opposto, capitalismo, ed i conti tornano. Nel periodo precedente non c'è stata, in effetti, alcuna reale pianificazione da parte dello Stato oggi inopinatamente messa in causa, ma uno specifico ruolo da parte dello Stato di rappresentante attivo delle forze economiche e sociali capitalistiche, deboli e disperse, prementi da ogni poro della società. A "pianificare" il gioco è stata la macchina impersonale dei capitalismo in quanto "forza sociale" e non "individuale" (Marx insegni). Oggi, sotto questo aspetto, nulla cambia; c'è, giustamente, "sviluppo" e "perfezionamento" della macchina da lungo tempo messa in moto.
Che "l’anello fondamentale" diventi il consorzio e l'impresa non indica uno spostamento qualitativo. L'anello fa parte di una catena. Quale catena? Qui sta il punto. Rispondendo a questa domanda (con le parole di Gorbacev), vedremo che l'autonomia dell'unità aziendale in termini di capacità contabile e produttiva senza "induzioni" dal Centro, significa ulteriore subordinazione al dispotismo del meccanismo capitalista, vero "pianificatore" anarchico dell'economica sovietica, vero "stratega" naturale di essa.
Quando Gorbacev afferma che "è ora di smetterla, finalmente, con la pratica della tutela minuziosa delle imprese da parte dei ministeri e degli enti", non fa che registrare la fine di un periodo storico dell'accumulazione dipendente direttamente dal ruolo centrale dello stato e la possibilità/necessità di contabilizzare direttamente costi, profitti (o perdite), prezzi delle merci (ed in primis della merce-lavoro) sulla base di una diffusa autonomia di un mercato "maturo", su cui le "autonomie primarie" si devono misurare e disciplinare.
Cosa significa la direttiva dell'"impiego dei calcolo economico effettivo, dell'autosufficienza ed autofinanziamento, dello stabilimento dei livello dei redditi dei collettivi secondo l'efficienza dei loro lavoro"? Cosa significa "introdurre i metodi economici di gestione economica" a tutti i livelli "perfezionando il sistema dei prezzi, di finanziamento e credito, di messa a punto valido di incentivo antispesa"? Cosa significa "liberare" il Gosplan e lo Stato "dall'onere dei problemi economici correnti"? Dovrebbe essere ben chiaro, a questo punto, chi farà effettivamente i "piani".
L'"autonomia" aziendale attraversa tutti i gradini dell'edificio economico, dall'alto in basso.
Autonomia a livello locale: "Il rafforzamento dei principio territoriale di gestione esige una crescita dei livello di direzione economica in ciascuna repubblica, regione, città, zona". Nessuna "articolazione locale" deve più permettersi di elaborare proposte "dettate da interessi parassitari ed anche velleitari, piuttosto che economici, destinate a trascinare l'economia in progetti ad alta intensità di capitali e poco efficaci".
Autonomia a livello di settori: avanzino quelli che tirano, facendosi "liberamente" strada a gomitate sui mercati che vanno aprendosi, "finalmente"! "L'effettivo calcolo economico, la dipendenza dei redditi delle aziende dai risultati finali deve diventare una regola".
Cosa significhi nel concreto lo possiamo vedere subito nella "nuova,) soluzione dei problema agrario, nodo centrale dell'economia sovietica. Più che mai, i "pianificatori" sono costretti qui a cedere le armi alle forze "spontanee" del mercato, rimaste testardamente in piedi nonostante tutte le "collettivizzazioni" forzate. "Si prevede di fissare per kolchoz e sovchoz dei piani rigidi di acquisto della produzione negli anni di un quinquennio. Questi piani non saranno modificati" (ma sono stati intanto modificati, nel corso degli anni, tutti gli indicatori di prezzo d'acquisto); però "nello stesso tempo le aziende potranno utilizzare a loro piacimento tutto quel che hanno prodotto al di sopra del piano ed anche una notevole parte della produzione pianificata di patate, frutta e ortaggi. Esse possono vendere allo Stato quote aggiuntive di prodotto, smerciarlo fresco oppure lavorato attraverso il mercato kolchoziano o la rete commerciale cooperativa, servirsene per altri usi, ivi compresi quelli relativi all'azienda ausiliaria individuale. La vendita di grano allo Stato oltre i piani di acquisto viene incentivata con l'assegnazione di risorse materiali supplementari, tra quelle maggiormente richieste, e con altre misure di stimolo. D'ora in poi, le repubbliche, i territori e le regioni riceveranno gli obiettivi di fornitura dei prodotti ai fondi centralizzati in volumi fissi e tutto il resto della produzione rimarrà disponibile per l'approvvigionamento locale", secondo i criteri economici sopra indicati.
E la completa via libera all'accumulazione capitalista "intensiva", che dalla campagna si trasmette a tutti gli altri settori produttivi.
A settant'anni dalla Grande Rivoluzione la borghesia agraria celebra il suo trionfo.
E, sempre dal "basso", ecco la celebrazione di un altro anello proprio della "razionale" catena economica gorbacioviana: "la proprietà cooperativa": "Essa è ben lungi dall'aver esaurito le proprie possibilità nella produzione socialista per un miglior soddisfacimento dei bisogni (solvibili, n.) degli uomini (degli acquirenti, n.). Numerosi kolchoz ed altre organizzazioni cooperative dimostrano di operare con efficienza. Dove ce n'è la possibilità, bisogna appoggiare in tutti i modi la formazione e lo sviluppo delle aziende ed organizzazioni cooperative. Esse debbono diffondersi ampiamente nella fabbricazione e lavorazione dei prodotti, nella edilizia abitativa e in campagna, nella sfera dei servizi e del commercio."
Una semplice, ingenua domanda: dove esse non dovrebbero diffondersi, stante la necessità dell'economia sovietica di sopperire ad una carenza di "offerta adeguata" in tutti i settori-chiave dell'economia (salvo quelli dell'industria pesante che comporta, al momento almeno, un intervento massiccio di capitali forzatamente statali)?
D'altra parte, Gorbacev ha avvertito che non sempre la grande industria (grande per dimensioni occupazionali) risulta "più redditizia"; che "piccolo è bello"; che proprio la piccola e media industria "autogestita ed autofinanziata", può costituire un elemento portante di crescita economica complessiva. Il tutto condito dall'affermazione che "occorre difendere il buon nome dei "made in URSS"", in perfetta sintonia con gli slogans e le misure promozionali per la piccola-media industria ad alta intensità di sfruttamento della forza-lavoro del nostrano "socialista" Craxi.
Dove va a finire, a questo punto, lo Stato-padrone? L’esperto sovietico Bogomolov avverte che "tutti i paesi che stanno ‘decentrando’, in maggiore o minore misura, hanno bisogno contemporaneamente di centralismo. (...) Non si può allentare le leve della gestione centralizzata fino al punto di perdere la possibilità di amministrare lo sviluppo economico complessivo". Si tratta di mantenere al centro delle "leve molto potenti" per "dirigere tutte le sfere economiche. Queste leve, però, non sono quelle cui ci si era abituati in passato: ordini, comandi impartiti dall'alto. Ora lo Stato esercita il suo ruolo attraverso le leve economiche, definisce la politica creditizia, stabilisce la politica dei redditi, controlla i rapporti con l'esterno, l'export-import etc." ("L'Unità", 25.10.85).
Anche nella terminologia, non vi è nulla che distingua questo "modello" dall'interventismo statale d'Occidente e, in particolare, suona allo stesso modo, particolarmente sinistro per la classe operaia, la voce "politica, dei redditi". Economia agli ordini dello Stato? Questa proposizione non è mai stata vera. Più che mai si dimostra oggi che è lo Stato ad essere al servizio di ben precise leggi economiche: mercato, profitto, accumulazione capitalista.
Qui da noi si parla di "economia nazionale", di interessi di "tutta la nazione"; in URSS si parla di "economia di tutto il popolo" e relativi interessi. Da noi si ammette che esistono varie classi, ognuna con propri interessi; in URSS si proclama di voler incentivare interessi particolari di gruppi ed individui (o di classe?), ma si afferma poi che nella "patria del socialismo" non esistono classi antagoniste da ricomporre, nelle loro specifiche caratterizzazioni, in unità "nazionale".
Sorge una "piccola" questione: davvero non c'è differenza e contrasto di classe tra chi è chiamato a sviluppare la propria capacità imprenditoriale privata e chi è invece chiamato a contrattare il prezzo della propria forza-lavoro in base ad una produttività e ad un profitto contabilizzati (ed intascati) dal libero imprenditore, privato, cooperativo o statale?
Anche questa menzogna della "società senza classi" è destinata a cadere e non è sin d'ora difficile leggere apertamente nelle righe (e non tra le righe) della stampa ufficiale la confessione esplicita della natura capitalista dell'URSS.