Stalin aveva affermato il principio della più ampia differenziazione salariale "a seconda dei meriti". Mistificando la formula marxista per il socialismo, "a ciascuno secondo il suo lavoro", lo stalinismo affettava di dare effettivamente a ciascuno la contropartita "reale" del suo lavoro, prendendo però a misura criteri quali: la produttività in proprio e quale forza "trainante" rispetto al resto della massa operaia (l'"esempio" - norma degli stachanovisti, vero e proprio cronometro di cottimo in carne ed ossa), il ruolo gerarchico (e di controllo) nella produzione, la collocazione nella produzione per regione ("vale di più" - sempre e comunque - il lavoro del "grande russo"), per settore (sviluppo prioritario dell'industria pesante), per azienda (valore prioritario delle aziende-pilota). Così, col sistema del lavoro a cottimo, abbiamo in una sola azienda campione un ventaglio salariale che va da 1 a 6,6 e, in campo generale, si arriva al rapporto 1:14. Il che spiega, tra l'altro, i fenomeni di adesione convinta al regime da parte degli" udarniki" capaci di dare la scalata a questa rampa verticale e la neutralizzazione, se non altro, degli strati meno sfavoriti (con un ruolo anche di polizia interna alla classe rispetto alla maggioranza appiattita sui bassi valori).
Nella fase di accumulazione primitiva, con una manodopera di recente formazione, proveniente dalla grigia campagna russa, questa politica rappresentava il necessario strumento di sviluppo di un moderno industrialismo capitalista. (Inutile sottolineare che l'indicazione di Lenin sulla necessità di "guidare" il capitalismo di stato dall'alto della politica e dal basso della mobilitazione operaia, bisognosa di "difendersi" da esso - imparando a socializzare se stessa e la produzione - è stata sostituita dal controllo degli apparati polizieschi e di stato contro la spontanea insorgenza della classe, in termini che ricordano da vicino l’"epopea" dell'origine del capitalismo attraverso la violenza organizzata e concentrata descritta nel "Capitale").
L'affermarsi definitivo dell'industrializzazione, con l'allargarsi ed il definitivo fissarsi di una classe operaia numerosa e concentrata e l'avvio di un sistema produttivo in via di trasformazione dal lavoro manuale semplice ad una prima forma di automazione dei processi lavorativi, comporta il venir meno di questi meccanismi di differenziazione salariale, non in assoluto (trattandosi sempre di agire all'interno della classe per stratificarla e dividerla), ma certamente in termini relativi.
Da Chruscev a Breznev il percorso va progressivamente in questa direzione, sia per spontaneo aggiustamento da parte del regime (che trova più utile mirare ad una regolamentazione del lavoro attraverso il controllo tecnico piuttosto che attraverso il sistema precedente, diventato materialmente obsoleto), sia per la pressione della classe operaia stessa, resasi più numerosa e compatta e più stabile, e quindi meno disponibile al gioco di una sua frammentazione e divisione interne. Con Breznev, addirittura, il ventaglio salariale si riduce ad una "bazzecola" eccessiva (secondo gli attuali "riformatori").
Si tratta di una soluzione di compromesso tra il regime e la classe operaia di sapore vagamente... sessantottista (preghiamo il lettore di non prendere l'espressione troppo meccanicamente alla lettera, of course!). La consegna è: lavorate disciplinatamente, e "godetevi" pure le gioie del salario "egualitario"!
E’ il segno di un inizio di mutamento nei rapporti di coscienza e di forza nella classe operaia sovietica e tra essa e lo Stato.
I "riformatori" di Gorbacev scoprono oggi che è ora di rimediare a questo appiattimento perché esso diventa un ostacolo (il che è perfettamente vero) all'ulteriore tappa di sviluppo del capitalismo in URSS. L'"egualitarismo" brezneviano risulta elemento di stagnazione che non incoraggia lo sviluppo di una moderna tecnologia, immobilizza la forza-lavoro in una funzione produttiva caratterizzata da basse norme, ritmi "ridicoli", "esagerate" garanzie di inamovibilità etc. etc., mentre occorre oggi la più larga mobilità del lavoro, in relazione all'innovazione tecnologica, e quindi l'articolazione salariale più ampia, in relazione ai valori di mercato della forza-lavoro (destinati a divaricarsi sempre di più con la concorrenza tra settori innovati e settori arretrati), sino ad un uso elastico della manodopera di riserva. ("La sensazione che ciò che servirebbe all'Unione sovietica per migliorare le sue prestazioni economiche nei prossimi anni è una "riserva di disoccupazione" è assai diffusa nell'élite sovietica. Come ha confessato un ufficiale sovietico assai ben informato" ad un giornalista occidentale "un eccesso di sicurezza del posto di lavoro nuoce all'efficienza", Kravcenko, cit.)
La politica salariale gorbacioviana è pertanto indirizzata allo sviluppo della "terza fase": dopo il periodo di iper-stratificazione staliniano nella fase di avvio dell'industrialismo di stato e dopo il periodo di "appiattimento" brezneviano, consono ad una produzione standardizzata a bassa intensità tecnologica, fase di emulazione salariale in rispondenza all'emulazione "intensiva".
Lo strumento su cui agire non è nuovo, trattandosi del lavoro per brigate, o collettivi, che risale - come esperimento - al '70 ed è stato successivamente sancito per decreto governativo il 12 settembre '79. Quello che è nuovo è il suo uso non occasionale e marginale, ma stabile e centrale, sotto forma non di isolato esperimento, bensì di regola nella contrattazione del prezzo della forza-lavoro.
Il "collettivo" contratta con l'impresa volume, tempi e qualità del prodotto, fissando su questa base la ripartizione del salario e dei premi. Per fare questo esso è dotato di una capacità contabile (hozrascet) di misurazione del rapporto tra costi e valori prodotti. Gli esperimenti sin qui condotti hanno acceso le speranze dei "riformatori": in una fabbrica campione, la produzione è salita mediamente del 14% con una punta del +40,3% in una brigata-pilota, e contemporaneamente ai lavoratori è stato assegnato un aumento salariale del 7% medio e del 18% alla brigata-pilota (il che la dice ben lunga sulla realtà dei "miglioramenti salariali": il lavoro salariato si appropria di una parte crescentemente minore dei prodotto, in perfetta linea con le esigenze di crescita del capitale morto e la conseguente "miseria crescente" dei lavoro salariato, nel rapporto C/v che la definisce).
Concorrenza operaia a servizio della concorrenza tra settori capitalistici arretrati ed avanzati, per lo sviluppo di questi ultimi. Questa la sostanza cui mira il gorbaciovismo, presentando agli operai il miraggio (che anche la classe operaia italiana conosce fin troppo bene per esserne stata imbottita dai "propri" rappresentanti sindacali) della "cointeressenza" tra sviluppo economico dell'"azienda nazionale" e salario.
Con una sola fava si mira a prendere due piccioni: l'elevamento delle norme produttive e dei profitti contro un limitato trasferimento di quote del sovrapprodotto realizzato a settori di classe operaia e una forma di autodisciplina dei lavoratori per via non coattiva in senso amministrativo-burocratico (o apertamente poliziesco-militare), ma ab intus del processo produttivo stesso.
Giova dire che il regime sovietico non s'illude, però, di poter risolvere il rapporto con la classe operaia solo attraverso questi "automatismi". Se hanno un senso di studi compiuti dagli specialisti sovietici sulla necessità ed anche sulla opportunità di un "certo grado" di conflittualità, esso induce a considerare in anticipo le eventualità di manifestazioni di scollamento tra esigenze operaie ed esigenze dell'economia nazionale.
I "diritti" degli operai sanciti, formalmente almeno, dalla recente legislazione e quelli lasciati intravedere da Gorbacev lasciano intendere che il regime sovietico si rende conto dell'incontrollabilità dei fenomeno operaio secondo i vecchi sistemi. Il dato più significativo che par trasparire dalle recenti prese di posizione dei "riformatori" è quello di una certa attenzione alla rivitalizzazione degli organismi sindacali, che dovrebbero promuovere il "nuovo corso" ponendosi più a stretto contatto con la base operaia, accogliendone e rappresentandone le richieste suscettibili di assicurare degli aggiustamenti ordinati di carattere salariale e normativo e così arginare in anticipo il pericolo di una esplosione "sindacale" alla polacca. Non si tratta di un piano "a freddo": lo sviluppo della autonomie aziendali su basi sempre più estese di rapporti di mercato è tale da permettere il superamento dei vecchi rapporti "pianificati" al centro tra sistema e classe operaia. Insomma, in potenza, si apre una maggior "dialettica sociale" (e politica).
In passato la classe operaia sovietica ha saputo rendersi protagonista di battaglie anche epiche, sino allo scontro aperto con gli apparati militari del regime (se ne veda una rapida sintesi in Syndacalisme et libertés en Union soviétique, Parigi, Maspero, 1979). Oggi non aprire dei "canali di comunicazione" diciamo così "democratica" con le masse potrebbe portare alla generalizzazione di questo livello di scontro, che in passato era stato possibile al regime localizzare ed annientare (o riassorbire). E’ per questo che una certa dose di "contrattualismo" sindacale e politico ha tutte le ragioni di imporsi.
Tutto sta nel vedere cosa potrà effettivamente contrattare il regime nel momento in cui, dando il via alle attuali riforme per sfuggire ai morsi di una crisi da stagnazione, entra anche più decisamente nel girone della crisi generalizzata del sistema capitalista. Noi crediamo che gli indici previsti per il 1990 potrebbero già dover essere ridimensionati, andando a deprimere ancor di più le quote destinate al salario per favorire il "generale" sviluppo della "ricchezza di tutto il popolo". Questo perché ogni quota aggiuntiva di capacità produttiva di profitto costa oggi enormemente più cara che in passato, perché l'innovazione tecnologica non è lì pronta ad essere semplicemente applicata, ma richiede una preparazione ad hoc e degli acquisti sui mercati occidentali enormemente onerosi; perché, infine, la messa in movimento della società sovietica produce, soprattutto se si pensi all'immobilismo degli ultimi decenni, ostilità e resistenze che attraversano tutta la società.
Che cosa ci riserva il non lontano futuro?
Va notato che non si tratta, per i riformatori russi, né sarebbe possibile, di andare immediatamente all'assalto del volume salariale complessivo della classe operaia, come sta avvenendo in Occidente. Qui da noi la ristrutturazione ha già compiuto il suo corso decisivo e, dopo il drastico ridimensionamento del rapporto tra capitale variabile e capitale fisso a favore del secondo, non resta che "raspare il fondo" dei valori assoluti dei salario. In URSS una ristrutturazione in profondità deve tuttora avvenire e, per necessità economiche e politiche insieme, gli operai devono essere piuttosto allettati con la prospettiva di qualche buon miglioramento selettivo perché si mettano seriamente all'opera a precostituire le basi della vera ristrutturazione a venire. Siamo ai preliminari.
Non solo. Dato il tipo di sviluppo precedente, l'URSS non ha immediate risorse di eccedenze di manodopera su cui giocare. Al contrario, l'"estensività" ha portato ad un moltiplicarsi degli effettivi operai senza esuberi da "liberare"; anzi, è denunciata una carenza di manodopera nell'ordine dei milioni e "mentre nello scorso decennio ogni anno facevano il loro ingresso sul mercato dei lavoro due milioni di persone, negli anni '80 le nuove leve saranno solo 500 mila" (Mondo Economico, 8/3/’84), tanto che per rimpiazzare i vuoti occupazionali si è anche tentato di sollecitare l'immigrazione dal Comecon e, più limitatamente, dalle aree del "sottosviluppo". Non a caso, la Banca Commerciale d'Italia, nel suo studio sull'URSS, anticipava di 13 anni Gorbacev arrivando alla conclusione che "solo un progressivo aumento generale dei tasso di produttività potrebbe liberare un numero di lavoratori sufficiente a soddisfare la richiesta ed a ristabilire un equilibrio dinamico del sistema" (Portolano dei paesi dell’Est, 1972).
Tutto ciò gioca, sui tempi medi, a favore dell'oggettiva forza contrattuale della classe operaia e del suo... "conservatorismo".
E’ per aggirare questo problema che Andropov ha varato nell'83 quella legge sui collettivi di lavoro che Gorbacev eredita e intende portare più decisamente avanti. L'esame di questa legge, che facciamo qui a parte, dimostra bene a quali criteri essa risponda. L'ambizioso obiettivo gorbacioviano è di rendere liberi a tempi non lunghi 50 milioni di addetti manuali a bassa intensità produttiva. Non è poco, tovarisc…