La Lega Nord si è decisamente schierata contro l'aggressione della Nato alla Serbia.
Ai più questa posizione è apparsa inspiegabile o, per lo meno, sorprendente. Può mai un
partito che rivendica la libertà della Padania dall'Italia non appoggiare la lotta del
Kosovo per liberarsi dall'"oppressione" serba? Può, certo che può. Anzi, deve.
La libertà che Bossi rivendica per la Padania non è solo dall'oppressione dello
statalismo centralista di Roma, ma è la libertà dallo strapotere della grande finanza
internazionale, che tutto domina, che tutto opprime, che tutto riduce alla sua logica
di guadagno, che manovra le coscienze per ridurle a passive esecutrici dei suoi voleri.
Queste sono le premesse della strategia leghista e, sulla base di esse, per Bossi è stato
naturale comprendere come l'attacco Nato non abbia lo scopo di "liberare" il
Kosovo, ma quello, innanzitutto, di piegare il popolo serbo e, in second'ordine, di
trasformare il Kosovo in una base militare-politica per portare un attacco micidiale alla
Russia, ottenendo anche di bloccare la possibilità che tra Russia ed Europa si sviluppi
un accordo economico-politico-militare col quale dare "scacco matto" al dominio
mondiale degli Usa.
Attacco al popolo serbo. Bossi ha detto, nell'intervento alla Camera, che questo è un
"popolo serio, solido, che mantiene la parola data" contrapponendolo agli "easy
going boys" americani, superficiali e in preda al complesso di
superiorità".
Il popolo serbo: questo è il vero problema che sconvolge i sonni dello stato Usa e delle
cancellerie europee, lui si vuole sconfiggere e umiliare, altro che "Milosevic
criminale". Mentre la sinistra di governo dipinge Milosevic come criminale e Clinton
come un benefattore; mentre la sinistra d'opposizione strepita contro la guerra perché
invece di indebolire il criminale, lo rafforza, la Lega vede il vero obiettivo
dell'attacco: il popolo serbo, un popolo che è riuscito, finora, a mantenere qualche
argine di difesa contro l'espandersi del liberismo e che cerca di difendersi dalle mire
colonizzatrici occidentali. Ancora Bossi a la Padania (1.4): "La Serbia è uno
stato nazionale che difende le frontiere, ciò scatena i liberoscambisti, come fecero col
Giappone (il secolo scorso, n.): o apri i mercati al nostro commercio o ti
bombardiamo". Ciò posto, la Lega ha rifiutato la versione della propaganda
occidentale, ribattendo delle semplici verità: l'UCK è un esercito di mercenari
finanziato e protetto dagli Usa, i profughi kosovari (prima dei bombardamenti Nato) sono
pure invenzioni, quello di Rambouillet non era un accordo per la pace, ma un ricatto ai
serbi per imporgli che il Kosovo divenisse un protettorato americano. E ha potuto
sbeffeggiare tanto il sinistrismo americanoide di D'Alema quanto i salti mortali di
Cossutta per dichiararsi contro la guerra mentre sta nel governo che la conduce.
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Solidarietà del popolo padano al popolo serbo
Dai "padani" s'è mosso verso i serbi non un puro moto di solidarietà, ma
una sincera ammirazione. Sempre Bossi (la Padania del 25.3.): "In Serbia tutto
il popolo è deciso a resistere, perché sa di combattere per la propria libertà ed
è convinto che sia meglio morire che essere schiavi dei venti banchieri massoni americani
che dirigono la globalizzazione economica, distruggendo la società e tutti i suoi valori
(famiglia, figli, religione)". E un commentatore sportivo sullo stesso giornale del
30.3 contrapponendo le dichiarazioni patriottiche degli atleti serbi agli eroi sportivi di
casa nostra che al denaro vendono l'anima ancor più dello stesso corpo: "onore agli
uomini veri, i campioni serbi: coraggio, fedeltà e coerenza."
Tutti i media della Lega cercano di dare un'informazione veritiera sugli eventi
bellici scartando e criticando quella preconfezionata alla Casa Bianca come a Palazzo
Chigi. Deputati e varie organizzazioni d'area leghista hanno portato (o porteranno) in
Jugoslavia la loro fattiva solidarietà, e, seppur con qualche ritardo e difficoltà, la
Lega ha trasformato il suo dissenso in mobilitazione di piazza, chiamando alle sue
manifestazioni anche i serbi residenti in Italia (e molti di questi vi hanno partecipato,
trovandovi un clima più fraterno che in quelle della sinistra, che attribuisce ai serbi
il 50% e più delle colpe per l'esito bellico, e gli pone la pre-condizione di ammettere
che Milosevic è un "criminale di guerra").
Orientare l'insieme dei militanti su questa posizione anti-"mondialista",
anti-americana (un anti-americanismo che distingue tra stato Usa e "popolo"
americano) e di difesa del popolo serbo non è stato per Bossi facile: più di un
esponente leghista ha assunto posizioni più "moderate" (anche se il sindaco di
Treviso sembra rimasto solo nella sua posizione anti-serba), sul quotidiano sono apparsi
articoli e commenti non sempre in perfetta uniformità con la linea di Bossi. Lo stesso
ritardo con cui sono state indette le manifestazioni, nonché la partecipazione ridotta
rispetto a mobilitazioni su altri temi, dimostrano che il lavoro di orientamento non è
affatto concluso, né scontato. Ma l'evangelizzazione del capo ha trovato,
significativamente, un terreno fertile soprattutto nella base popolare e proletaria, molto
meno negli aderenti piccoli e medio-imprenditoriali.
Questa posizione della Lega non è una svolta sul piano della strategia, ma è la logica
conseguenza delle premesse che questo partito era andato via via precisando. È, però,
senza dubbio, un adeguamento sul piano tattico. Dall'appoggio alle secessioni di Slovenia,
Croazia e Bosnia si passa al rifiuto di quella del Kosovo. Mentre prima si applicava
pedissequamente il principio di autoderminazione ovunque un "popolo" la
rivendicasse, oggi si scopre che la dissoluzione di certi stati è nel diretto
interesse dell'imperialismo, che la fomenta e la persegue senza alcuno scrupolo quanto
a mezzi impiegati.
Il cambiamento tattico discende da una presa d'atto della realtà: per ottenere uno
"spazio padano" che difenda il mercato del proprio capitalismo nazionale e,
insieme, preservi condizioni accettabili di vita dei lavoratori, bisogna scontrarsi
con i poteri forti. Per creare in Padania una specie di "ridotta" in cui
conservare uno stabile compromesso sociale tra le classi, prima ci si attendeva l'aiuto
dai poteri forti europei (o, perché no, anche americani), oggi si è costretti a
comprendere che si può cercare di ottenerlo solo lottando contro di essi.
Bossi dichiara, inoltre, a voce alta quel che va avanzando nella coscienza o nella
percezione di strati sociali sempre più estesi. È vero che la guerra è prodotta, in
ultima istanza, dal profitto (anche per lui è innominabile, però, lo chiama
pudicamente l'"economia"). È vero che in nome di esso la finanza occidentale,
il grande capitale occidentale, non guardano in faccia a nessuno, non hanno alcuna morale,
macellano popoli e spianano città e territori. È vero che la democrazia è una pura
finzione di "potere popolare" (su la Padania del 31.3 s'è letto che
negli Usa domina la "dittatura dell'imprenditoriato"). È vero che la società
è sempre più corrotta dal dominio del denaro. Ed è vero che queste convinzioni
si fanno strada nella coscienza di un numero crescente di persone che vivono solo del loro
lavoro, operai o artigiani, e, persino, piccoli imprenditori. Tutti questi vedono come il
loro lavoro, l'impegno della loro vita, è sempre più insufficiente a fornire mezzi
all'esistenza propria e delle loro famiglie, e vedono come del loro lavoro si appropriano
sempre più gli stati, la finanza, il grande capitale, una triade mostruosa che li
costringe a livelli di produttività sempre più paranoici, al fondo dei quali non c'è
più maggiore benessere, ma, anzi, c'è il licenziamento, la miseria, la chiusura per
"eccesso di produzione" che non trova mercato (come l'esperienza degli
allevatori dimostra, come la crisi dimostra a milioni di proletari asiatici e
sud-americani).
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Una vera soluzione? Non ci pare proprio.
La soluzione che la Lega prospetta porta davvero ad abolire i mali che denuncia, a
cominciare dalla guerra?
La Lega vuole arrivare ad abbattere il potere delle grandi corporations (i
"venti banchieri folli" che dominano da New York e dall'Europa), e, con esso,
quel capitalismo sempre più aggressivo e monopolista che si è andato affermando dopo la
"caduta del comunismo", per sostituirvi un capitalismo "dal volto
umano", che protegga in Occidente il welfare state e che abbia verso i paesi
del Terzo Mondo un atteggiamento diverso da quello aggressivo e arrogante degli Usa, che
non gli faccia la guerra, che non li costringa a farsi la guerra tra di loro o a emigrare
per causa della miseria in cui li tiene costretti. I popoli di tutto il mondo potrebbero
vivere, così, in concordia, ognuno nel proprio paese e cooperare tra loro
democraticamente. Il ricco Occidente aiuterebbe i paesi poveri con dei "piani
Marshall", ossia crediti mirati allo sviluppo e non strangolatori come quelli
attuali.
Un ruolo di primo piano, per realizzare questo progetto, spetta, naturalmente, al
"popolo padano", alla sua crescita politica e organizzativa, ma, da solo, non
potrebbe mai farcela. Perciò è indispensabile una lotta in comune con altri popoli che
possono riscoprire la loro identità nella lotta contro il centralismo degli stati e della
finanza "mondialista". Un ulteriore contributo può essere dato anche dalle
Chiese che "sono rimaste abbastanza vive da essere ancora baluardo contro la
dittatura del denaro e che oppongono al valore unico dell'economia una serie di valori
spirituali" (Bossi a la Padania del 1.4).
Può essere davvero questo l'approdo della politica leghista?
Il potere della grande finanza è fortemente concentrato e centralizzato, si fonda su
istituzioni internazionali private e pubbliche, è dotato d'una forza militare enorme (la
Nato e la potenza militare Usa, innanzitutto) e della forza politica e militare degli
stati. Dispone di batterie impressionanti di mezzi di comunicazione ed eserciti di
pennivendoli, bande armate legali e illegali, impalcature giuridiche, uomini e partiti
politici esperti nel maneggiare con la democrazia il consenso di massa. Come ci si può
opporre a esso? Possono dei singoli popoli, ognuno per proprio conto, dare battaglia,
condurre la resistenza contro un tale organizzato, centralizzato potere? È sufficiente
limitare il rapporto tra tali popoli a semplice mobilitazione di solidarietà ogni qual
volta uno di essi viene colpito in modo più duro? No, evidentemente no. Non può bastare.
Per lottare contro l'imperialismo, contro il potere centralizzato della finanza e del
grande capitale, si deve, anzitutto, ribaltare la sua politica di divide et impera,
si devono superare le divisioni, e, per questo, non è sufficiente dichiararsi reciproca
amicizia e stima, ma si deve passare all'unione organizzata delle proprie forze,
alla lotta comune a tutto campo, alla sollevazione di massa unitaria, allo
schieramento di un vero esercito internazionale che affronti l'esercito nemico, che
con la sua forza, la sua determinazione, il dispiegamento della sua lotta arrivi anche a
indebolire l'esercito avversario, separando al suo interno le classi che sono artefici del
dominio e dell'oppressione da quelle che ne sono soltanto vittime.
Ci vuole unione, organizzazione unitaria internazionale, lotta comune internazionale
diretta da una organizzazione che abbia un programma chiaro, determinato, univoco, che
non si perda nella ricerca di compromessi, che non sia la pura somma delle tante diverse
esigenze, ma che tutte le centralizzi a un fine unico e unitario: l'abbattimento
dell'imperialismo.
Ma qui si pone una seconda domanda. Con chi costituire questo fronte internazionale? Può
essere costituito dai popoli? Cosa sono i popoli: qualcosa di omogeneo o al loro interno
sono divisi da linee di frattura che portano le loro diverse componenti a intrecciare
rapporti diversi con l'imperialismo?
Prendiamo, ad esempio, il "popolo padano". Al suo interno c'è una grande massa
di lavoratori, di gente, cioè, che vive solo del proprio lavoro e, qualche volta,
con l'ausilio di un piccolo capitale. Ma c'è anche gente che possiede capitali ben
maggiori e per farli fruttare impiega lavoro altrui. Sono gli imprenditori, i
capitalisti, la borghesia. Un insieme di individui, simili per condizioni sociali e di
proprietà, che costituiscono una vera e propria classe determinata della società,
in Padania come in ogni altro paese. L'interesse di questa classe è di abbattere
l'imperialismo, o di cercare di approfittare di tutte le opportunità che
l'imperialismo le offre per aumentare i propri profitti, per far fruttare di più il
proprio capitale, cioè per spremere di più i lavoratori al suo diretto servizio e
cercare, tramite i giochi borsistici e finanziari, di appropriarsi anche dei profitti
prodotti da altri lavoratori di tutto il mondo? Non è questione di attitudini personali,
di borghesi buoni o cattivi. È questione di leggi economiche che stanno al di sopra degli
uni e degli altri. Il borghese del Nord-Est che s'è fiondato come un vampiro sulla
manodopera a basso costo "liberata" dall'esplosione della ex-Jugoslavia vi è
stato "costretto" dalle leggi della concorrenza. Se non lo avesse fatto, la sua
azienda sarebbe, oggi, fuori mercato, chiusa. Per sopravvivere come borghese
"doveva" farlo, e l'ha fatto. Ma con ciò ha dimostrato di non potere opporsi
all'imperialismo, ma, al contrario, di far proprio parte della classe che alimenta
l'imperialismo. Può anche maturare rancore contro i monopoli, ma ciò che lo muove,
al fondo, è la volontà di sostituirli con il suo monopolio.
Si può richiamare questa borghesia a un "capitalismo più umano"? E perché
dovrebbe rispondere al richiamo, correndo il rischio di vedere sparire il proprio capitale
(e il proprio essere borghese) sotto i colpi della concorrenza della borghesia che se ne
fotte di qualunque umanità? Dovrebbe, forse, rispondere positivamente al richiamo per
senso del dovere nazional-padano? Ma quale senso nazionale può mai avere una classe che
per esistere deve confrontarsi su un mercato che è, ormai, grande quanto l'intero mondo?
Se per resistere sul mercato si deve andare a comprare la forza-lavoro in un altro paese
lasciando sulla strada i propri dipendenti connazionali, nessun borghese esiterà neanche
un minuto a salvare sé stesso, la sua azienda, il proprio capitale, e a mandare in malora
i propri connazionali occupati.
Bossi lascia intendere che a borghesi "anti-nazionali" di tal di fatta si
potrebbe imporre di rimanere in Padania con la forza di una democrazia "veramente
popolare", che difende la Padania, la sua economia, i "valori sociali, umani e
spirituali" della sua società. Questa idea ricorda la politica del Pci di Berlinguer
che voleva, appunto, esercitare il "controllo popolare" sui capitalisti
nazionali. Quella politica è fallita non perché il suo propugnatore è morto, ma perché
s'è rivelata irrealistica, perché voleva confinare in ambiti nazionali un capitalismo
che era ormai avviato a dimensioni sempre più globali, mondiali. Ancor più fallimentare
sarebbe oggi, dacchè la globalizzazione ha fatto ulteriori passi da gigante dai tempi di
Berlinguer.
Lo stesso tema del "controllo popolare" sul capitalismo è agitato dalla destra
coerentemente fascista (che, non per caso, comincia a farsi vedere nelle manifestazioni
leghiste, a raccogliere la firme assieme alla Lega per il referendum sulla legge
Turco-Napolitano, e di cui più di un militante sta transitando nelle file leghiste).
Questa destra sostiene che il capitalismo europeo sia più "buono", o possa
essere reso più "buono" dal "controllo popolare", di quello
americano. Il suo obiettivo è quello di trasformare il proletariato europeo in
protagonista della crociata di guerra a favore del "capitalismo europeo
buono" contro il "capitalismo cattivo" degli Usa. Una guerra che sarebbe
l'ennesima per contendersi tra Europa e Usa, tra imperialismi concorrenti, il
dominio del mondo intero. I lavoratori avrebbero da svenarsi per essa, dare la vita
propria e dei propri figli come (e più) delle precedenti guerre mondiali, a solo
esclusivo vantaggio degli stati, della finanza, del grande capitale europeo.
Non è, allora, uno schieramento di "popoli" quello che può abbattere
l'imperialismo, ma solo uno schieramento di classe, di classe operaia, di
proletariato occidentale in un fronte unico con le masse operaie, contadine,
diseredate del Sud e dell'Est del mondo, perché solo questi hanno un interesse reale,
comune, a difendere sé stessi contro lo sfruttamento e l'oppressione dei "venti
banchieri" e della pletora di borghesi americani, europei, italiani, padani, che
assieme ai primi gli succhiano il sangue e la vita.
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Non si può riformare il capitalismo; bisogna abbatterlo.
Si pone, infine, un'altra fondamentale domanda: su quale programma fondare uno
schieramento internazionale di classe contro l'imperialismo?
Il programma della Lega vuole togliere di mezzo le potenti forze finanziarie e fondare
l'economia sulle piccole e medie aziende. Ma le grandi concentrazioni industriali e
finanziarie non sono nate per il semplice volere di bramosi individui o di congregazioni
massoniche, esse sono il frutto della concorrenza, di quella concorrenza che è l'anima
stessa del capitalismo. Il capitalismo è ricerca del profitto, del guadagno a tutti i
costi. Il capitalismo è mercato, e il mercato si conquista aumentando la produttività
dei propri prodotti, escludendo con tutti mezzi i concorrenti, appropriandosi in tutti i
modi del lavoro altrui. La concorrenza è guerra, dei grandi contro i grandi, dei
grandi contro i piccoli, dei piccoli contro i piccoli. In quanto tempo un'ipotetica (e
illusoria) società capitalista fondata su piccole aziende tornerebbe a produrre le
gigantesche corporazioni che oggi dominano incontrastate? In brevissimo tempo e con gli
stessi costi disumani di sfruttamento e guerre con cui si sono ingigantite le attuali
grandi corporazioni.
La stessa globalizzazione non è il frutto delle politiche "mondialiste" di
qualche complotto massonico. I centri mondiali organizzati esistono, e muovono forze
potentissime per realizzare i loro esclusivi interessi, per volgere la globalizzazione
dell'economia a loro esclusivo profitto, ma non sono loro a crearla, a determinarla, essa
è, invece, il prodotto naturale del capitalismo che si è sviluppato al punto tale
da non potersi più limitare ai mercati nazionali o di aree continentali, ma che deve
trasformare l'intero mondo in un unico grande mercato. E mercato per il capitalismo è,
anzitutto, mercato di braccia, mercato di forza-lavoro. Le grandi corporazioni
americane e europee hanno disgregato la Jugoslavia non per inondarla dei loro prodotti di
consumo, ma per piegare tutte le sue forze-lavoro a uno sfruttamento bestiale (ne sanno
qualcosa nel Nord-Est italiano che ha costruito il suo boom proprio grazie alla
distruzione di quel paese che ha fornito anche alle piccole e medie imprese manodopera a
basso costo, immigrata qui o impiegata lì). E oggi estendono le loro mire a tutti i
Balcani, alla Russia, alla Cina, senza dimenticare di tenere sotto il tallone della guerra
permanente le masse arabo-islamiche, tenutarie della materia prima più importante, il
petrolio, controllando il prezzo della quale si controllano i prezzi di tutte le materie
prime e si accrescono non solo i profitti delle lobbies petrolifere, ma si tegono
elevati tutti i profitti finanziari e borsistici.
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Eliminare la grande finanza e conservare il capitalismo è
impossibile.
Per eliminare la prima bisogna eliminare il secondo.
Non, dunque, una lotta per "capitalismo più umano", per una società che
conservi banche, denaro, concorrenza, sfruttatori e sfruttati, e, sopra di essi, il sommo
parassita e oppressore, lo stato. Ma per una società che abolisca il denaro, la
concorrenza, lo sfruttamento, le classi, e che, quindi, non abbia più bisogno
dello stato, cioè di quel mostruoso apparato politico e militare che ha come vero
scopo di presidiare e difendere lo sfruttamento e il potere della borghesia e delle leggi
del profitto su tutta la società. La lotta, insomma, per un vero socialismo
internazionale.
Per questo programma, il fratello nella lotta non può essere il borghese
nazionale, ma lo sfruttato d'ogni altra razza e colore.
Ai lavoratori che militano nella Lega diciamo che hanno ragione a ritenere che lo scontro
si deve dare sul terreno mondiale, che è lo stesso sul quale l'imperialismo lo scatena,
che hanno ragione a ritenere che per difendere le proprie condizioni di vita e di lavoro
c'è bisogno di rimettere in discussione interamente l'attuale ordine imperialista, che
hanno ragione a ritenere che per far questo non servono i mezzi del parlamento, delle
piratesche congreghe onuiste, dell'ipocrita "diritto internazionale" (che
risponde sempre e soltanto alla legge del più forte), ma ci vuole un fronte
internazionale di lotta. Ma gli diciamo anche, con tutta la franchezza con cui abbiamo
cercato di impostare da sempre i nostri rapporti con loro, che se questa battaglia viene
data dietro l'insegna della difesa del proprio capitalismo nazionale (sottoposto o da
sottoporre a "controllo popolare"), il risultato non sarà di fare un passo
avanti nella lotta per gli interessi dei lavoratori, ma, al contrario, si porteranno i
lavoratori a trasformarsi in carne da macello a beneficio dei briganti imperialisti che
si contendono il dominio o la spartizione del mondo intero. E con uguale franchezza gli
diciamo che il fronte internazionale da costituire per battere davvero l'imperialismo non
è quello dei popoli, ma quello che unifica la classe operaia, il proletariato dei paesi
occidentali alle masse sfruttate del Sud e dell'Est in una battaglia comune non per
addolcire il capitalismo, ma per distruggerlo. Diamo battaglia contro l'aggressione
imperialista nei Balcani, contro il governo italiano che la conduce assieme a tutti gli
altri governi delle potenze imperialiste occidentali. E diamo continuità a questa
battaglia riprendendo un percorso di riorganizzazione politica e sindacale del
proletariato nelle fabbriche e fuori, su un programma che non si pieghi agli interessi di
alcun "capitalismo nazionale", ma agli interessi esclusivi di classe, di
una classe le cui frontiere nazionali sono state già abbattute dalla globalizzazione, che
è già diventata nella realtà classe mondiale, ma che per agire come tale ha bisogno del
suo programma e del suo proprio partito. Per l'uno e per l'altro l'impegno dei
comunisti internazionalisti è totale: il programma del comunismo, il partito del
comunismo internazionale.
Il 2 aprile la Lega Nord ha manifestato a Vicenza contro l'aggressione della Nato
alla Serbia. Oltre 2000 persone, quasi totalmente di estrazione proletaria e popolare,
hanno dato vita a un corteo combattivo, che ha gridato, a Clinton come a D'Alema, gli
stessi slogan sul loro ruolo di assassini. L'Oci, in continuità con la sua impostazione di fondo e con il lavoro che ne ha fatto derivare verso i lavoratori leghisti, vi era presente (come già a Venezia il 13.9.98, v. che fare n.48). La nostra non è stata una presenza puramente "esterna" ma, in alcuni momenti, una vera e propria partecipazione: per l'attenzione con cui è stato accettato e discusso il nostro volantino -pubblicato nella pagina-, per la significativa diffusione della nostra stessa stampa, per il modo in cui sono stati ripresi alcuni slogans lanciati dai nostri compagni. Ciò è dipeso dal fatto che molti avevano già conosciuto a Venezia quale abisso ci separi dalla "sinistra" da cui si sentono, in quanto lavoratori, giustamente delusi. È dipeso, anche, dal fatto che c'era un'attitudine positiva verso la sinistra che ha rifiutato la posizione guerrafondaia di d'Alema e di Cossutta. Ma, crediamo (e ci torneremo su) che sia stato anche un piccolo segnale che conferma come le contraddizioni del capitalismo vadano maturando sempre più verso il punto in cui si porrà in modo ineludibile la necessità di trovare soluzioni vere, in grado di risistemare da capo a piedi l'intero ordine sociale, e di come queste soluzioni non possono che essere radicali, rivoluzionarie, giungendo tutte quelle "di compromesso" inevitabilmente a esaurirsi o a passare, armi e bagagli, al nemico di classe. |
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Ai lavoratori della Lega, nostri compagni di classe
Compagni lavoratori della Lega,
di fronte alla bestiale aggressione della NATO al popolo serbo e a tutte le popolazioni
dei Balcani, la Lega ha preso una serie di posizioni sulle quali, in quanto comunisti
internazionalisti autentici, e da sempre, intendiamo avviare con voi una fraterna
discussione in vista della necessaria risposta internazionale di classe che
s'impone.
Siamo perfettamente d'accordo sul fatto che:
si tratta di una aggressione da parte dei centri finanziari
dell'imperialismo internazionale con sede principale negli USA (e a Gerusalemme) diretta
dai Clinton, dalle Albright, dai Cohen nel confronti di tutti quei soggetti
internazionali decisi a non piegarsi da schiavi ad essi. Una aggressione che fa il
paio con quella, mai sospesa, contro l'Iraq, contro il popolo kurdo che dà fastidio
all'amica Turchia, contro il SudEst asiatico, la stessa Russia e, domani, magari, persino
la Cina (nei confronti della quale non manca il pretesto tibetano, cioè quello di un
regime feudale di bonzi parassiti doverosamente mandati a spasso);
a questa aggressione partecipa, col ruolo di caporale, ma per gli stessi
imperialistici interessi, il "nostro" paese e proprio sotto l'egida d'un governo
di quasi"sinistra" che raggruppa ex stalinisti pentiti, exsempre democristiani,
exsocialisti più indegni di Craxi, forcaioli legati alle centrali internazionali del
calibro di un Di Pietro e via dicendo: una sinistra guerrafondaia, per limitarci a D'Alema
e al suo sciuscià Cossutta, che non da oggi ha tradito gli interessi dei proletariato e
s'è allineata al grande capitale, che di tale "sinistra" ha bisogno per tener
buone le classi sfruttate;
a questo infame governo anti operaio non manca, è ovvio!, l'appoggio di
mafiosi berlusconiani ed exfascisti riciclati, a dimostrazione di quanto sia labile il
confine tra governo ed opposizione quando si tratta di servire gli interessi del padrone
vero;
la "sinistra" di "opposizione" finge di alzare la voce
(la debole voce di Bertinotti!), ma senza dare battaglia sul serio, richiamandosi ai
"valori" (in Borsa?) della vecchia, e definitivamente tramontata,
"sinistra", al parlamento, a Scalfaro, al Papa, all'ONU e chi più ne ha più ne
metta, ma sempre escludendo programmaticamente una lotta vera contro le vere centrali del
potere assassino, interno ed internazionale;
a lanciare una parola d'ordine di battaglia ed a prendere delle concrete
misure di solidarietà con il popolo serbo aggredito siamo rimasti in pochi: la Lega da un
lato, e... noi dall'altro.
L'attuale posizione della Lega è certamente importante. Ma su di essa, compagni!, ci sono
alcune cose da dire, e che noi vi diciamo con l'abituale franchezza, la stessa con la
quale vi abbiamo "affrontati" fraternamente e senza peli sulla lingua lo scorso
settembre a Venezia.
Questa posizione è, innanzitutto, nuova, nel senso che prende atto e corregge quella
assunta all'inizio dell'opera di dissoluzione dell'exJugoslavia. Allora la Lega appoggiò
i vari secessionismi, a cominciare da quello semifascista croato, nel nome
dell'"autodetermina-zione dei popoli", senza vedere come dietro questa parola
d'ordine si celavano, in effetti, gli interessi e le concrete manovre finanziariemilitari
dell'imperialismo occidentale. Oggi si riconosce che l'"autodeterminazione"
teleguidata dall'Occidente non può mai essere in effetti tale, ma costituisce una forma
nuova di schiavizzazione proimperialista di tutti i popoli in oggetto.
Ma questo cosa significa? Significa che non possono esistere mille padanie
"indipendenti" quando le redini dei poteri reali sono nelle mani di un centro
imperialista unico e supercentralizzato. Significa che le "differenze" tra i
vari popoli non possono e non devono costituire un elemento di divisione e
contrapposizione tra essi, perché è assolutamente vitale l'unificazione e
centralizzazione delle loro forze per poter esistere come tali, nei confronti
dell'imperialismo.
L'appoggio espresso, molto concretamente, dalla Lega al popolo serbo segnala il
fatto che, contro le centrali del capitalismo internazionale, occorre essere innanzitutto
uniti, sul piano non solo di una generica solidarietà, ma di una comune strategia
di battaglia: perché la "Padania" sia libera, occorre che lo siano tutti i
popoli nei confronti dell'imperialismo (vedi ancora il caso Iraq o Kurdistan). Ma questo
implica, come noi comunisti diciamo, l'unità internazionalista di classe, e non
delle battaglie "nazionali" settoriali impossibili nell'era del capitalismo
internazionale globalizzato.
La Lega, poi, parla del "popolo" serbo, così come parla del "popolo"
padano. Ma, all'interno di questi popoli, esiste, lo si voglia o meno, una separazione di
classe. La borghesia padana, come ogni altra borghesia, insegue non sogni nazionali, ma i
propri specifici interessi di forziere, e se ne strafotte (vedi il caso Marzotto) se per
portarli avanti al meglio si tratta di dislocare le proprie fabbriche all'estero dove il
lavoro salariato costa meno e rende di più. Quanta borghesia "padana" prospera
sulla semi schiavitù del lavoro salariato albanese, rumeno, ungherese, cecoslovacco,
filippino, thailandese etc.?
Potete immaginare di richiamare questa borghesia ai suoi "doveri nazionali",
oppure dovrete lottare contro di essa? E in questa lotta chi sarà il fratello a voi
vicino? Il borghese "nazionale", o lo sfruttato della stessa classe di ogni
parte di questo mondo globalizzato? E se, come noi pensiamo, diciamo e lavoriamo per fare,
il nostro fratello nella lotta non può che essere, e sarà, lo sfruttato di ogni
altra razza e colore, cosa significa ciò come prospettiva, se non quella di un vero
socialismo internazionale?
Anche sul tema dell'immigrazione la Lega segnala un problema vero: quello della
concorrenza tra sfruttati di là e di qui, della piaga della malavita connessa ad
un'immigrazione "selvaggia" (del resto potrebbe mai esistere, nel sistema
capitalista, un'immigrazione... civile?). Ma pure questo problema rimanda all'opera di
divisione e schiavizzazione dei lavoratori perpetrata dal capitalismo imperialista. Non è
dagli immigrati che dobbiamo difenderci (cadendo nella trappola della divisione e
contrapposizione tra le vittime del capitalismo), ma dal capitalismo imperialista che
sposta impunemente uomini e capitali per rendere schiavi i primi e far lievitare oltre
ogni dire i secondi. Non si possono aggredire le cause del problema guardando con miopia
solo ai suoi effetti. Per questo, come oggi vi s'impone la solidarietà col popolo serbo,
così dovete guardare alla necessaria solidarietà coi proletari immigrati in grado di
lottare con voi, o altrimenti saremo gli uni e gli altri "pacificamente"
bombardati dalle cannoniere del capitale.
Ragioniamo su questi problemi fraternamente e a fondo. Noi vi consideriamo nostri fratelli
di classe, apprezziamo lo sforzo militante che anche oggi qui fate, ma esso deve darsi
quell'indirizzo di classe che al presente manca, o si confonde con ideologie ed interessi
a noi estranei.
Voi, oggi, qui, siete il "popolo" padano, il proletariato padano. Non c'è con
voi alcuna traccia significativa di borghesia nazionale "padana". Questo
significa qualcosa. I vostri fratelli stanno altrove, sono popolo e proletariato come
voi. Con essi ci si deve unire, con essi si può e si deve lottare per un socialismo
internazionale di gente libera di ogni razza, colore e cultura: libera dal capitale che
bombarda Serbia, Iraq, Kurdistan, che ci bombarda "pacificamente" (ma solo per
ora) "tutti".