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SULL'OPPOSIZIONE DELLA LEGA NORD ALLA GUERRA ALLA SERBIA

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La Lega Nord si è decisamente schierata contro l'aggressione della Nato alla Serbia. Ai più questa posizione è apparsa inspiegabile o, per lo meno, sorprendente. Può mai un partito che rivendica la libertà della Padania dall'Italia non appoggiare la lotta del Kosovo per liberarsi dall'"oppressione" serba? Può, certo che può. Anzi, deve. La libertà che Bossi rivendica per la Padania non è solo dall'oppressione dello statalismo centralista di Roma, ma è la libertà dallo strapotere della grande finanza internazionale, che tutto domina, che tutto opprime, che tutto riduce alla sua logica di guadagno, che manovra le coscienze per ridurle a passive esecutrici dei suoi voleri.
Queste sono le premesse della strategia leghista e, sulla base di esse, per Bossi è stato naturale comprendere come l'attacco Nato non abbia lo scopo di "liberare" il Kosovo, ma quello, innanzitutto, di piegare il popolo serbo e, in second'ordine, di trasformare il Kosovo in una base militare-politica per portare un attacco micidiale alla Russia, ottenendo anche di bloccare la possibilità che tra Russia ed Europa si sviluppi un accordo economico-politico-militare col quale dare "scacco matto" al dominio mondiale degli Usa.
Attacco al popolo serbo. Bossi ha detto, nell'intervento alla Camera, che questo è un "popolo serio, solido, che mantiene la parola data" contrapponendolo agli "easy going boys" americani, superficiali e in preda al complesso di superiorità".
Il popolo serbo: questo è il vero problema che sconvolge i sonni dello stato Usa e delle cancellerie europee, lui si vuole sconfiggere e umiliare, altro che "Milosevic criminale". Mentre la sinistra di governo dipinge Milosevic come criminale e Clinton come un benefattore; mentre la sinistra d'opposizione strepita contro la guerra perché invece di indebolire il criminale, lo rafforza, la Lega vede il vero obiettivo dell'attacco: il popolo serbo, un popolo che è riuscito, finora, a mantenere qualche argine di difesa contro l'espandersi del liberismo e che cerca di difendersi dalle mire colonizzatrici occidentali. Ancora Bossi a la Padania (1.4): "La Serbia è uno stato nazionale che difende le frontiere, ciò scatena i liberoscambisti, come fecero col Giappone (il secolo scorso, n.): o apri i mercati al nostro commercio o ti bombardiamo". Ciò posto, la Lega ha rifiutato la versione della propaganda occidentale, ribattendo delle semplici verità: l'UCK è un esercito di mercenari finanziato e protetto dagli Usa, i profughi kosovari (prima dei bombardamenti Nato) sono pure invenzioni, quello di Rambouillet non era un accordo per la pace, ma un ricatto ai serbi per imporgli che il Kosovo divenisse un protettorato americano. E ha potuto sbeffeggiare tanto il sinistrismo americanoide di D'Alema quanto i salti mortali di Cossutta per dichiararsi contro la guerra mentre sta nel governo che la conduce.

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Solidarietà del popolo padano al popolo serbo

Dai "padani" s'è mosso verso i serbi non un puro moto di solidarietà, ma una sincera ammirazione. Sempre Bossi (la Padania del 25.3.): "In Serbia tutto il popolo è deciso a resistere, perché sa di combattere per la propria libertà ed è convinto che sia meglio morire che essere schiavi dei venti banchieri massoni americani che dirigono la globalizzazione economica, distruggendo la società e tutti i suoi valori (famiglia, figli, religione)". E un commentatore sportivo sullo stesso giornale del 30.3 contrapponendo le dichiarazioni patriottiche degli atleti serbi agli eroi sportivi di casa nostra che al denaro vendono l'anima ancor più dello stesso corpo: "onore agli uomini veri, i campioni serbi: coraggio, fedeltà e coerenza."
Tutti i media della Lega cercano di dare un'informazione veritiera sugli eventi bellici scartando e criticando quella preconfezionata alla Casa Bianca come a Palazzo Chigi. Deputati e varie organizzazioni d'area leghista hanno portato (o porteranno) in Jugoslavia la loro fattiva solidarietà, e, seppur con qualche ritardo e difficoltà, la Lega ha trasformato il suo dissenso in mobilitazione di piazza, chiamando alle sue manifestazioni anche i serbi residenti in Italia (e molti di questi vi hanno partecipato, trovandovi un clima più fraterno che in quelle della sinistra, che attribuisce ai serbi il 50% e più delle colpe per l'esito bellico, e gli pone la pre-condizione di ammettere che Milosevic è un "criminale di guerra").

Orientare l'insieme dei militanti su questa posizione anti-"mondialista", anti-americana (un anti-americanismo che distingue tra stato Usa e "popolo" americano) e di difesa del popolo serbo non è stato per Bossi facile: più di un esponente leghista ha assunto posizioni più "moderate" (anche se il sindaco di Treviso sembra rimasto solo nella sua posizione anti-serba), sul quotidiano sono apparsi articoli e commenti non sempre in perfetta uniformità con la linea di Bossi. Lo stesso ritardo con cui sono state indette le manifestazioni, nonché la partecipazione ridotta rispetto a mobilitazioni su altri temi, dimostrano che il lavoro di orientamento non è affatto concluso, né scontato. Ma l'evangelizzazione del capo ha trovato, significativamente, un terreno fertile soprattutto nella base popolare e proletaria, molto meno negli aderenti piccoli e medio-imprenditoriali.
Questa posizione della Lega non è una svolta sul piano della strategia, ma è la logica conseguenza delle premesse che questo partito era andato via via precisando. È, però, senza dubbio, un adeguamento sul piano tattico. Dall'appoggio alle secessioni di Slovenia, Croazia e Bosnia si passa al rifiuto di quella del Kosovo. Mentre prima si applicava pedissequamente il principio di autoderminazione ovunque un "popolo" la rivendicasse, oggi si scopre che la dissoluzione di certi stati è nel diretto interesse dell'imperialismo, che la fomenta e la persegue senza alcuno scrupolo quanto a mezzi impiegati.
Il cambiamento tattico discende da una presa d'atto della realtà: per ottenere uno "spazio padano" che difenda il mercato del proprio capitalismo nazionale e, insieme, preservi condizioni accettabili di vita dei lavoratori, bisogna scontrarsi con i poteri forti. Per creare in Padania una specie di "ridotta" in cui conservare uno stabile compromesso sociale tra le classi, prima ci si attendeva l'aiuto dai poteri forti europei (o, perché no, anche americani), oggi si è costretti a comprendere che si può cercare di ottenerlo solo lottando contro di essi.
Bossi dichiara, inoltre, a voce alta quel che va avanzando nella coscienza o nella percezione di strati sociali sempre più estesi. È vero che la guerra è prodotta, in ultima istanza, dal profitto (anche per lui è innominabile, però, lo chiama pudicamente l'"economia"). È vero che in nome di esso la finanza occidentale, il grande capitale occidentale, non guardano in faccia a nessuno, non hanno alcuna morale, macellano popoli e spianano città e territori. È vero che la democrazia è una pura finzione di "potere popolare" (su la Padania del 31.3 s'è letto che negli Usa domina la "dittatura dell'imprenditoriato"). È vero che la società è sempre più corrotta dal dominio del denaro. Ed è vero che queste convinzioni si fanno strada nella coscienza di un numero crescente di persone che vivono solo del loro lavoro, operai o artigiani, e, persino, piccoli imprenditori. Tutti questi vedono come il loro lavoro, l'impegno della loro vita, è sempre più insufficiente a fornire mezzi all'esistenza propria e delle loro famiglie, e vedono come del loro lavoro si appropriano sempre più gli stati, la finanza, il grande capitale, una triade mostruosa che li costringe a livelli di produttività sempre più paranoici, al fondo dei quali non c'è più maggiore benessere, ma, anzi, c'è il licenziamento, la miseria, la chiusura per "eccesso di produzione" che non trova mercato (come l'esperienza degli allevatori dimostra, come la crisi dimostra a milioni di proletari asiatici e sud-americani).

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Una vera soluzione? Non ci pare proprio.

La soluzione che la Lega prospetta porta davvero ad abolire i mali che denuncia, a cominciare dalla guerra?
La Lega vuole arrivare ad abbattere il potere delle grandi corporations (i "venti banchieri folli" che dominano da New York e dall'Europa), e, con esso, quel capitalismo sempre più aggressivo e monopolista che si è andato affermando dopo la "caduta del comunismo", per sostituirvi un capitalismo "dal volto umano", che protegga in Occidente il welfare state e che abbia verso i paesi del Terzo Mondo un atteggiamento diverso da quello aggressivo e arrogante degli Usa, che non gli faccia la guerra, che non li costringa a farsi la guerra tra di loro o a emigrare per causa della miseria in cui li tiene costretti. I popoli di tutto il mondo potrebbero vivere, così, in concordia, ognuno nel proprio paese e cooperare tra loro democraticamente. Il ricco Occidente aiuterebbe i paesi poveri con dei "piani Marshall", ossia crediti mirati allo sviluppo e non strangolatori come quelli attuali.
Un ruolo di primo piano, per realizzare questo progetto, spetta, naturalmente, al "popolo padano", alla sua crescita politica e organizzativa, ma, da solo, non potrebbe mai farcela. Perciò è indispensabile una lotta in comune con altri popoli che possono riscoprire la loro identità nella lotta contro il centralismo degli stati e della finanza "mondialista". Un ulteriore contributo può essere dato anche dalle Chiese che "sono rimaste abbastanza vive da essere ancora baluardo contro la dittatura del denaro e che oppongono al valore unico dell'economia una serie di valori spirituali" (Bossi a la Padania del 1.4).
Può essere davvero questo l'approdo della politica leghista?
Il potere della grande finanza è fortemente concentrato e centralizzato, si fonda su istituzioni internazionali private e pubbliche, è dotato d'una forza militare enorme (la Nato e la potenza militare Usa, innanzitutto) e della forza politica e militare degli stati. Dispone di batterie impressionanti di mezzi di comunicazione ed eserciti di pennivendoli, bande armate legali e illegali, impalcature giuridiche, uomini e partiti politici esperti nel maneggiare con la democrazia il consenso di massa. Come ci si può opporre a esso? Possono dei singoli popoli, ognuno per proprio conto, dare battaglia, condurre la resistenza contro un tale organizzato, centralizzato potere? È sufficiente limitare il rapporto tra tali popoli a semplice mobilitazione di solidarietà ogni qual volta uno di essi viene colpito in modo più duro? No, evidentemente no. Non può bastare. Per lottare contro l'imperialismo, contro il potere centralizzato della finanza e del grande capitale, si deve, anzitutto, ribaltare la sua politica di divide et impera, si devono superare le divisioni, e, per questo, non è sufficiente dichiararsi reciproca amicizia e stima, ma si deve passare all'unione organizzata delle proprie forze, alla lotta comune a tutto campo, alla sollevazione di massa unitaria, allo schieramento di un vero esercito internazionale che affronti l'esercito nemico, che con la sua forza, la sua determinazione, il dispiegamento della sua lotta arrivi anche a indebolire l'esercito avversario, separando al suo interno le classi che sono artefici del dominio e dell'oppressione da quelle che ne sono soltanto vittime.
Ci vuole unione, organizzazione unitaria internazionale, lotta comune internazionale diretta da una organizzazione che abbia un programma chiaro, determinato, univoco, che non si perda nella ricerca di compromessi, che non sia la pura somma delle tante diverse esigenze, ma che tutte le centralizzi a un fine unico e unitario: l'abbattimento dell'imperialismo.
Ma qui si pone una seconda domanda. Con chi costituire questo fronte internazionale? Può essere costituito dai popoli? Cosa sono i popoli: qualcosa di omogeneo o al loro interno sono divisi da linee di frattura che portano le loro diverse componenti a intrecciare rapporti diversi con l'imperialismo?
Prendiamo, ad esempio, il "popolo padano". Al suo interno c'è una grande massa di lavoratori, di gente, cioè, che vive solo del proprio lavoro e, qualche volta, con l'ausilio di un piccolo capitale. Ma c'è anche gente che possiede capitali ben maggiori e per farli fruttare impiega lavoro altrui. Sono gli imprenditori, i capitalisti, la borghesia. Un insieme di individui, simili per condizioni sociali e di proprietà, che costituiscono una vera e propria classe determinata della società, in Padania come in ogni altro paese. L'interesse di questa classe è di abbattere l'imperialismo, o di cercare di approfittare di tutte le opportunità che l'imperialismo le offre per aumentare i propri profitti, per far fruttare di più il proprio capitale, cioè per spremere di più i lavoratori al suo diretto servizio e cercare, tramite i giochi borsistici e finanziari, di appropriarsi anche dei profitti prodotti da altri lavoratori di tutto il mondo? Non è questione di attitudini personali, di borghesi buoni o cattivi. È questione di leggi economiche che stanno al di sopra degli uni e degli altri. Il borghese del Nord-Est che s'è fiondato come un vampiro sulla manodopera a basso costo "liberata" dall'esplosione della ex-Jugoslavia vi è stato "costretto" dalle leggi della concorrenza. Se non lo avesse fatto, la sua azienda sarebbe, oggi, fuori mercato, chiusa. Per sopravvivere come borghese "doveva" farlo, e l'ha fatto. Ma con ciò ha dimostrato di non potere opporsi all'imperialismo, ma, al contrario, di far proprio parte della classe che alimenta l'imperialismo. Può anche maturare rancore contro i monopoli, ma ciò che lo muove, al fondo, è la volontà di sostituirli con il suo monopolio.
Si può richiamare questa borghesia a un "capitalismo più umano"? E perché dovrebbe rispondere al richiamo, correndo il rischio di vedere sparire il proprio capitale (e il proprio essere borghese) sotto i colpi della concorrenza della borghesia che se ne fotte di qualunque umanità? Dovrebbe, forse, rispondere positivamente al richiamo per senso del dovere nazional-padano? Ma quale senso nazionale può mai avere una classe che per esistere deve confrontarsi su un mercato che è, ormai, grande quanto l'intero mondo? Se per resistere sul mercato si deve andare a comprare la forza-lavoro in un altro paese lasciando sulla strada i propri dipendenti connazionali, nessun borghese esiterà neanche un minuto a salvare sé stesso, la sua azienda, il proprio capitale, e a mandare in malora i propri connazionali occupati.
Bossi lascia intendere che a borghesi "anti-nazionali" di tal di fatta si potrebbe imporre di rimanere in Padania con la forza di una democrazia "veramente popolare", che difende la Padania, la sua economia, i "valori sociali, umani e spirituali" della sua società. Questa idea ricorda la politica del Pci di Berlinguer che voleva, appunto, esercitare il "controllo popolare" sui capitalisti nazionali. Quella politica è fallita non perché il suo propugnatore è morto, ma perché s'è rivelata irrealistica, perché voleva confinare in ambiti nazionali un capitalismo che era ormai avviato a dimensioni sempre più globali, mondiali. Ancor più fallimentare sarebbe oggi, dacchè la globalizzazione ha fatto ulteriori passi da gigante dai tempi di Berlinguer.
Lo stesso tema del "controllo popolare" sul capitalismo è agitato dalla destra coerentemente fascista (che, non per caso, comincia a farsi vedere nelle manifestazioni leghiste, a raccogliere la firme assieme alla Lega per il referendum sulla legge Turco-Napolitano, e di cui più di un militante sta transitando nelle file leghiste). Questa destra sostiene che il capitalismo europeo sia più "buono", o possa essere reso più "buono" dal "controllo popolare", di quello americano. Il suo obiettivo è quello di trasformare il proletariato europeo in protagonista della crociata di guerra a favore del "capitalismo europeo buono" contro il "capitalismo cattivo" degli Usa. Una guerra che sarebbe l'ennesima per contendersi tra Europa e Usa, tra imperialismi concorrenti, il dominio del mondo intero. I lavoratori avrebbero da svenarsi per essa, dare la vita propria e dei propri figli come (e più) delle precedenti guerre mondiali, a solo esclusivo vantaggio degli stati, della finanza, del grande capitale europeo.
Non è, allora, uno schieramento di "popoli" quello che può abbattere l'imperialismo, ma solo uno schieramento di classe, di classe operaia, di proletariato occidentale in un fronte unico con le masse operaie, contadine, diseredate del Sud e dell'Est del mondo, perché solo questi hanno un interesse reale, comune, a difendere sé stessi contro lo sfruttamento e l'oppressione dei "venti banchieri" e della pletora di borghesi americani, europei, italiani, padani, che assieme ai primi gli succhiano il sangue e la vita.

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Non si può riformare il capitalismo; bisogna abbatterlo.

Si pone, infine, un'altra fondamentale domanda: su quale programma fondare uno schieramento internazionale di classe contro l'imperialismo?
Il programma della Lega vuole togliere di mezzo le potenti forze finanziarie e fondare l'economia sulle piccole e medie aziende. Ma le grandi concentrazioni industriali e finanziarie non sono nate per il semplice volere di bramosi individui o di congregazioni massoniche, esse sono il frutto della concorrenza, di quella concorrenza che è l'anima stessa del capitalismo. Il capitalismo è ricerca del profitto, del guadagno a tutti i costi. Il capitalismo è mercato, e il mercato si conquista aumentando la produttività dei propri prodotti, escludendo con tutti mezzi i concorrenti, appropriandosi in tutti i modi del lavoro altrui. La concorrenza è guerra, dei grandi contro i grandi, dei grandi contro i piccoli, dei piccoli contro i piccoli. In quanto tempo un'ipotetica (e illusoria) società capitalista fondata su piccole aziende tornerebbe a produrre le gigantesche corporazioni che oggi dominano incontrastate? In brevissimo tempo e con gli stessi costi disumani di sfruttamento e guerre con cui si sono ingigantite le attuali grandi corporazioni.
La stessa globalizzazione non è il frutto delle politiche "mondialiste" di qualche complotto massonico. I centri mondiali organizzati esistono, e muovono forze potentissime per realizzare i loro esclusivi interessi, per volgere la globalizzazione dell'economia a loro esclusivo profitto, ma non sono loro a crearla, a determinarla, essa è, invece, il prodotto naturale del capitalismo che si è sviluppato al punto tale da non potersi più limitare ai mercati nazionali o di aree continentali, ma che deve trasformare l'intero mondo in un unico grande mercato. E mercato per il capitalismo è, anzitutto, mercato di braccia, mercato di forza-lavoro. Le grandi corporazioni americane e europee hanno disgregato la Jugoslavia non per inondarla dei loro prodotti di consumo, ma per piegare tutte le sue forze-lavoro a uno sfruttamento bestiale (ne sanno qualcosa nel Nord-Est italiano che ha costruito il suo boom proprio grazie alla distruzione di quel paese che ha fornito anche alle piccole e medie imprese manodopera a basso costo, immigrata qui o impiegata lì). E oggi estendono le loro mire a tutti i Balcani, alla Russia, alla Cina, senza dimenticare di tenere sotto il tallone della guerra permanente le masse arabo-islamiche, tenutarie della materia prima più importante, il petrolio, controllando il prezzo della quale si controllano i prezzi di tutte le materie prime e si accrescono non solo i profitti delle lobbies petrolifere, ma si tegono elevati tutti i profitti finanziari e borsistici.

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Eliminare la grande finanza e conservare il capitalismo è impossibile.
Per eliminare la prima bisogna eliminare il secondo.

Non, dunque, una lotta per "capitalismo più umano", per una società che conservi banche, denaro, concorrenza, sfruttatori e sfruttati, e, sopra di essi, il sommo parassita e oppressore, lo stato. Ma per una società che abolisca il denaro, la concorrenza, lo sfruttamento, le classi, e che, quindi, non abbia più bisogno dello stato, cioè di quel mostruoso apparato politico e militare che ha come vero scopo di presidiare e difendere lo sfruttamento e il potere della borghesia e delle leggi del profitto su tutta la società. La lotta, insomma, per un vero socialismo internazionale.
Per questo programma, il fratello nella lotta non può essere il borghese nazionale, ma lo sfruttato d'ogni altra razza e colore.
Ai lavoratori che militano nella Lega diciamo che hanno ragione a ritenere che lo scontro si deve dare sul terreno mondiale, che è lo stesso sul quale l'imperialismo lo scatena, che hanno ragione a ritenere che per difendere le proprie condizioni di vita e di lavoro c'è bisogno di rimettere in discussione interamente l'attuale ordine imperialista, che hanno ragione a ritenere che per far questo non servono i mezzi del parlamento, delle piratesche congreghe onuiste, dell'ipocrita "diritto internazionale" (che risponde sempre e soltanto alla legge del più forte), ma ci vuole un fronte internazionale di lotta. Ma gli diciamo anche, con tutta la franchezza con cui abbiamo cercato di impostare da sempre i nostri rapporti con loro, che se questa battaglia viene data dietro l'insegna della difesa del proprio capitalismo nazionale (sottoposto o da sottoporre a "controllo popolare"), il risultato non sarà di fare un passo avanti nella lotta per gli interessi dei lavoratori, ma, al contrario, si porteranno i lavoratori a trasformarsi in carne da macello a beneficio dei briganti imperialisti che si contendono il dominio o la spartizione del mondo intero. E con uguale franchezza gli diciamo che il fronte internazionale da costituire per battere davvero l'imperialismo non è quello dei popoli, ma quello che unifica la classe operaia, il proletariato dei paesi occidentali alle masse sfruttate del Sud e dell'Est in una battaglia comune non per addolcire il capitalismo, ma per distruggerlo. Diamo battaglia contro l'aggressione imperialista nei Balcani, contro il governo italiano che la conduce assieme a tutti gli altri governi delle potenze imperialiste occidentali. E diamo continuità a questa battaglia riprendendo un percorso di riorganizzazione politica e sindacale del proletariato nelle fabbriche e fuori, su un programma che non si pieghi agli interessi di alcun "capitalismo nazionale", ma agli interessi esclusivi di classe, di una classe le cui frontiere nazionali sono state già abbattute dalla globalizzazione, che è già diventata nella realtà classe mondiale, ma che per agire come tale ha bisogno del suo programma e del suo proprio partito. Per l'uno e per l'altro l'impegno dei comunisti internazionalisti è totale: il programma del comunismo, il partito del comunismo internazionale.


Il 2 aprile la Lega Nord ha manifestato a Vicenza contro l'aggressione della Nato alla Serbia. Oltre 2000 persone, quasi totalmente di estrazione proletaria e popolare, hanno dato vita a un corteo combattivo, che ha gridato, a Clinton come a D'Alema, gli stessi slogan sul loro ruolo di assassini.
L'Oci, in continuità con la sua impostazione di fondo e con il lavoro che ne ha fatto derivare verso i lavoratori leghisti, vi era presente (come già a Venezia il 13.9.98, v. che fare n.48). La nostra non è stata una presenza puramente "esterna" ma, in alcuni momenti, una vera e propria partecipazione: per l'attenzione con cui è stato accettato e discusso il nostro volantino -pubblicato nella pagina-, per la significativa diffusione della nostra stessa stampa, per il modo in cui sono stati ripresi alcuni slogans lanciati dai nostri compagni. Ciò è dipeso dal fatto che molti avevano già conosciuto a Venezia quale abisso ci separi dalla "sinistra" da cui si sentono, in quanto lavoratori, giustamente delusi. È dipeso, anche, dal fatto che c'era un'attitudine positiva verso la sinistra che ha rifiutato la posizione guerrafondaia di d'Alema e di Cossutta. Ma, crediamo (e ci torneremo su) che sia stato anche un piccolo segnale che conferma come le contraddizioni del capitalismo vadano maturando sempre più verso il punto in cui si porrà in modo ineludibile la necessità di trovare soluzioni vere, in grado di risistemare da capo a piedi l'intero ordine sociale, e di come queste soluzioni non possono che essere radicali, rivoluzionarie, giungendo tutte quelle "di compromesso" inevitabilmente a esaurirsi o a passare, armi e bagagli, al nemico di classe.

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Ai lavoratori della Lega, nostri compagni di classe

Compagni lavoratori della Lega,
di fronte alla bestiale aggressione della NATO al popolo serbo e a tutte le popolazioni dei Balcani, la Lega ha preso una serie di posizioni sulle quali, in quanto comunisti internazionalisti autentici, e da sempre, intendiamo avviare con voi una fraterna discussione in vista della necessaria risposta internazionale di classe che s'impone.

Siamo perfettamente d'accordo sul fatto che:

si tratta di una aggressione da parte dei centri finanziari dell'imperialismo internazionale con sede principale negli USA (e a Gerusalemme) diretta dai Clinton, dalle Albright, dai Cohen nel confronti di tutti quei soggetti internazionali decisi a non piegarsi da schiavi ad essi. Una aggressione che fa il paio con quella, mai sospesa, contro l'Iraq, contro il popolo kurdo che dà fastidio all'amica Turchia, contro il SudEst asiatico, la stessa Russia e, domani, magari, persino la Cina (nei confronti della quale non manca il pretesto tibetano, cioè quello di un regime feudale di bonzi parassiti doverosamente mandati a spasso);
a questa aggressione partecipa, col ruolo di caporale, ma per gli stessi imperialistici interessi, il "nostro" paese e proprio sotto l'egida d'un governo di quasi"sinistra" che raggruppa ex stalinisti pentiti, exsempre democristiani, exsocialisti più indegni di Craxi, forcaioli legati alle centrali internazionali del calibro di un Di Pietro e via dicendo: una sinistra guerrafondaia, per limitarci a D'Alema e al suo sciuscià Cossutta, che non da oggi ha tradito gli interessi dei proletariato e s'è allineata al grande capitale, che di tale "sinistra" ha bisogno per tener buone le classi sfruttate;
a questo infame governo anti operaio non manca, è ovvio!, l'appoggio di mafiosi berlusconiani ed exfascisti riciclati, a dimostrazione di quanto sia labile il confine tra governo ed opposizione quando si tratta di servire gli interessi del padrone vero;
la "sinistra" di "opposizione" finge di alzare la voce (la debole voce di Bertinotti!), ma senza dare battaglia sul serio, richiamandosi ai "valori" (in Borsa?) della vecchia, e definitivamente tramontata, "sinistra", al parlamento, a Scalfaro, al Papa, all'ONU e chi più ne ha più ne metta, ma sempre escludendo programmaticamente una lotta vera contro le vere centrali del potere assassino, interno ed internazionale;
a lanciare una parola d'ordine di battaglia ed a prendere delle concrete misure di solidarietà con il popolo serbo aggredito siamo rimasti in pochi: la Lega da un lato, e... noi dall'altro.
L'attuale posizione della Lega è certamente importante. Ma su di essa, compagni!, ci sono alcune cose da dire, e che noi vi diciamo con l'abituale franchezza, la stessa con la quale vi abbiamo "affrontati" fraternamente e senza peli sulla lingua lo scorso settembre a Venezia.
Questa posizione è, innanzitutto, nuova, nel senso che prende atto e corregge quella assunta all'inizio dell'opera di dissoluzione dell'exJugoslavia. Allora la Lega appoggiò i vari secessionismi, a cominciare da quello semifascista croato, nel nome dell'"autodetermina-zione dei popoli", senza vedere come dietro questa parola d'ordine si celavano, in effetti, gli interessi e le concrete manovre finanziariemilitari dell'imperialismo occidentale. Oggi si riconosce che l'"autodeterminazione" teleguidata dall'Occidente non può mai essere in effetti tale, ma costituisce una forma nuova di schiavizzazione proimperialista di tutti i popoli in oggetto.
Ma questo cosa significa? Significa che non possono esistere mille padanie "indipendenti" quando le redini dei poteri reali sono nelle mani di un centro imperialista unico e supercentralizzato. Significa che le "differenze" tra i vari popoli non possono e non devono costituire un elemento di divisione e contrapposizione tra essi, perché è assolutamente vitale l'unificazione e centralizzazione delle loro forze per poter esistere come tali, nei confronti dell'imperialismo.
L'appoggio espresso, molto concretamente, dalla Lega al popolo serbo segnala il fatto che, contro le centrali del capitalismo internazionale, occorre essere innanzitutto uniti, sul piano non solo di una generica solidarietà, ma di una comune strategia di battaglia: perché la "Padania" sia libera, occorre che lo siano tutti i popoli nei confronti dell'imperialismo (vedi ancora il caso Iraq o Kurdistan). Ma questo implica, come noi comunisti diciamo, l'unità internazionalista di classe, e non delle battaglie "nazionali" settoriali impossibili nell'era del capitalismo internazionale globalizzato.
La Lega, poi, parla del "popolo" serbo, così come parla del "popolo" padano. Ma, all'interno di questi popoli, esiste, lo si voglia o meno, una separazione di classe. La borghesia padana, come ogni altra borghesia, insegue non sogni nazionali, ma i propri specifici interessi di forziere, e se ne strafotte (vedi il caso Marzotto) se per portarli avanti al meglio si tratta di dislocare le proprie fabbriche all'estero dove il lavoro salariato costa meno e rende di più. Quanta borghesia "padana" prospera sulla semi schiavitù del lavoro salariato albanese, rumeno, ungherese, cecoslovacco, filippino, thailandese etc.?
Potete immaginare di richiamare questa borghesia ai suoi "doveri nazionali", oppure dovrete lottare contro di essa? E in questa lotta chi sarà il fratello a voi vicino? Il borghese "nazionale", o lo sfruttato della stessa classe di ogni parte di questo mondo globalizzato? E se, come noi pensiamo, diciamo e lavoriamo per fare, il nostro fratello nella lotta non può che essere, e sarà, lo sfruttato di ogni altra razza e colore, cosa significa ciò come prospettiva, se non quella di un vero socialismo internazionale?
Anche sul tema dell'immigrazione la Lega segnala un problema vero: quello della concorrenza tra sfruttati di là e di qui, della piaga della malavita connessa ad un'immigrazione "selvaggia" (del resto potrebbe mai esistere, nel sistema capitalista, un'immigrazione... civile?). Ma pure questo problema rimanda all'opera di divisione e schiavizzazione dei lavoratori perpetrata dal capitalismo imperialista. Non è dagli immigrati che dobbiamo difenderci (cadendo nella trappola della divisione e contrapposizione tra le vittime del capitalismo), ma dal capitalismo imperialista che sposta impunemente uomini e capitali per rendere schiavi i primi e far lievitare oltre ogni dire i secondi. Non si possono aggredire le cause del problema guardando con miopia solo ai suoi effetti. Per questo, come oggi vi s'impone la solidarietà col popolo serbo, così dovete guardare alla necessaria solidarietà coi proletari immigrati in grado di lottare con voi, o altrimenti saremo gli uni e gli altri "pacificamente" bombardati dalle cannoniere del capitale.
Ragioniamo su questi problemi fraternamente e a fondo. Noi vi consideriamo nostri fratelli di classe, apprezziamo lo sforzo militante che anche oggi qui fate, ma esso deve darsi quell'indirizzo di classe che al presente manca, o si confonde con ideologie ed interessi a noi estranei.
Voi, oggi, qui, siete il "popolo" padano, il proletariato padano. Non c'è con voi alcuna traccia significativa di borghesia nazionale "padana". Questo significa qualcosa. I vostri fratelli stanno altrove, sono popolo e proletariato come voi. Con essi ci si deve unire, con essi si può e si deve lottare per un socialismo internazionale di gente libera di ogni razza, colore e cultura: libera dal capitale che bombarda Serbia, Iraq, Kurdistan, che ci bombarda "pacificamente" (ma solo per ora) "tutti".

ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA


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