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VIVA I MINATORI RUMENI!

Sorpresa, sconcerto, terrore. Con simili sentimenti la stampa occidentale ha commentato la marcia dei minatori della valle di Jiu su Bucarest. Decine di migliaia di lavoratori si sono diretti verso la capitale per rivendicare aumenti di salario e la salvaguardia del posto di lavoro. Lo hanno fatto con ferma determinazione, abbattendo tutti gli ostacoli che il governo gli seminava sul cammino. Non sono bastate migliaia di poliziotti e le loro armi, non è servita a nulla la dichiarazione di stato d’emergenza, né la campagna di calunnie scatenata contro la loro "rozza protervia" e le strumentalizzazioni cui rischiavano di prestarsi a favore dei loro "loschi" capi. Tanto meno è servita a fermarli la paura di guerra civile evocata dalla manifestazione di 4.000 "democratici" (ma il manifesto ne ha visti il doppio -!?-) sfilanti a Bucarest. Erano determinati a raggiungere la capitale, e vi avrebbero rinunciato a una sola condizione: vedere accolte le loro richieste.

Più la loro marcia avanzava, più si dispiegava la loro forza, organizzazione e determinazione, più intorno a loro cresceva una simpatia, un consenso, una mobilitazione di tutto il proletariato e di tutti gli strati popolari rumeni. Festose accoglienze nelle città e nei villaggi in cui arrivavano, sostegno negli scontri per superare gli schieramenti di polizia. Operai, contadini, donne e bambini occupavano tutte le città raggiunte dalla marcia, spesso anticipandola persino. Non un puro moto di solidarietà, non un puro aiuto di lotta a dei propri fratelli di classe -e già questo sarebbe stato di straordinario valore-, ma qualcosa di ancora più importante: la lotta dei minatori è divenuta il catalizzatore delle attese di tutto il proletariato, che, vedendo la sua immensa forza, ha cominciato a pensare che era possibile farla finita con i responsabili della sua situazione sempre più degradata sotto tutti i punti di vista. Che era giunta l’ora di fare una pulizia generale di governanti, parassiti, speculatori economici e politici. Non solo ha appoggiato i minatori, non solo si è schierato al loro fianco, ma lo ha fatto caricando la loro lotta di un significato politico generale, aggiungendovi le sue proprie rivendicazioni, e contribuendo a trasformare ancora di più lo scontro da puro dato economico categoriale in scontro generale, politico, di classe.

Poteva il governo di Costantinescu tenere testa alla marea montante? Poteva sostenere la guerra contro i minatori, via via che essa appariva nella sua cruda realtà: ossia una guerra condotta da un apparato politico militare contrapposto alla grande maggioranza della società? Poteva rischiare che diventasse così esplicita la separazione dello stato dalla società? Poteva rischiare che apparisse in tutta la sua evidenza che il suo governo e il suo intero stato sono semplicemente al servizio dei grandi potentati economici e finanziari che detengono il potere vero, fuori dal territorio rumeno, e che sfruttano il proletariato rumeno grazie proprio ai buoni (e ripagati) servizi del governo, dello stato e della borghesia rumena?

No, non poteva, la sua struttura rischiava di uscire perdente nello scontro, e le spinte di classe rischiavano di rinforzarsi, dentro e fuori la Romania, in modo preoccupante non solo per la borghesia rumena, ma per tutta la borghesia europea e mondiale. Non poteva, dunque, affrontare da solo la guerra di classe che cresceva, senza, cioè, avere il sostegno politico, finanziario, militare almeno dell’intera borghesia europea. Quest’ultima è stata sorpresa dal moto rumeno e, sentendosi impreparata ad affrontarlo a viso aperto, si è spaventata dagli esiti che esso avrebbe potuto avere in Romania e oltre. Ha, di conseguenza, dato il suo contributo per smorzarlo con un compromesso, promettendo aiuti finanziari e maggiore "comprensione" per il debito estero rumeno. Ma non c’è dubbio che ha tratto materia per accelerare un suo organamento politico e militare adatto a schiacciare moti di classe simili, in Romania e non solo, consapevole che il loro ripetersi è tanto certo, quanto è certa la sua bramosia di aumentare lo sfruttamento del proletariato dell’est europeo e d’ogni altra regione del mondo.

I 6000 imprenditori italiani sbarcati in Romania hanno temuto di vedere la loro gallina dalle uova d’oro tramutarsi in un potente gallo da combattimento, l’intera borghesia europea s’è sentita chiamata direttamente in causa e ha reagito vomitando valanghe di infamie contro i minatori, ricordando con ribrezzo quando nel ’91 comminarono una sonora lezione ai tanto "simpatici" studenti rumeni che invocavano "democrazia&Occidente", anelando, cioè, a essere invitati al banchetto occidentale, pagando come ticket la piena libertà, per i capitali occidentali, di sfruttare il proletariato rumeno. E valanghe di insulti hanno riversato sul loro leader, volta a volta "amico di Le Pen" o "nostalgico stalinista", "delinquente", "criminale", "approfittatore", ma soprattutto "ultranazionalista" (la lingua imperialista batte dove il dente duole...).

La fonte da cui derivano gli insulti è ampiamente affidabile quanto a menzogne. Noi sappiamo per certo che il proletariato rumeno ha condotto una vera battaglia di classe, e ha dato piena prova della sua capacità di darne altre ben più decisive. E sappiamo che la sua capacità non è solo nel dare la battaglia sul terreno della pura rivendicazione economica, immediata, ma si indirizza sempre più chiaramente e, sempre più decisamente, verso una guerra a tutto campo, politica, di classe. Ciò non dà la certezza sull’esito di essa. Per indirizzarla, e per mettere a frutto fino in fondo le sue potenzialità contro il capitalismo necessita che alla sua guida si ponga un partito veramente comunista. Della mancanza di questo non facciamo carico al proletariato romeno, ma, principalmente, al proletariato europeo, che, invece, ancora una volta ha assistito inerme e nel silenzio alla lotta di quelli che sono suoi fratelli di classe, ma che egli percepisce, al momento, al più come sfortunati sudditi di regimi incapaci, ai quali sarebbe, magari, meglio sostituire più democratici assetti del potere.

Questa tornata della lotta si è chiusa con un compromesso più che onorevole. I minatori sono tornati nelle miniere dopo aver ottenuto soddisfazione a gran parte delle loro richieste. E, soprattutto, vi sono tornati con l’assoluta consapevolezza che non c’è altro mezzo per difendere i propri interessi se non quello di ricorrere alla propria forza e organizzazione di classe. Nella lotta essi hanno, inoltre, anche cominciato a prendere atto che l’avversario con cui devono fare i conti non è rappresentato solo dal governo rumeno, ma che dietro e assieme a questo agisce un potere terribilmente più forte e pervasivo, rappresentato dal FMI, dall’Unione Europea, dai ben più potenti stati occidentali, e dai loro capitali che scorrazzano liberamente promettendo sviluppo e producendo sfruttamento e miseria. E’ contro questo blocco di interessi di classe che il proletariato rumeno deve organizzare la sua lotta, anche solo per difendere le conquiste appena raggiunte. Non può farcela da solo, non può bastare la sola propria forza, essa deve necessariamente essere estesa. Il primo canale verso cui fare scorrere il fiume di lotta e di organizzazione originatosi nella valle del Jiu è quello del proletariato dell’intera area. Una politica di unità di classe deve sconfiggere e sostituire le politiche di contrapposizione nazionalistica in cui le borghesie locali si cullano, sotto diretto mandato dei capitali (e delle capitali) occidentali, producendo a pro’ di questi ultimi le condizioni migliori per mettere in concorrenza i proletari dei vari paesi e sfruttarli tutti al meglio. E una politica di unità di classe deve affasciare i proletari dell’est con tutto il proletariato europeo.

A quest’ultimo parla innanzitutto la lotta dei minatori rumeni, a esso dà la sveglia, esso richiama nell’arena dello scontro: è l’ora di dichiarare guerra al capitalismo mondiale e, per questo, di unificare le forze del proletariato occidentale, dei paesi dell’est, delle masse oppresse dall’imperialismo. È l’ora di non assistere più in silenzio all’opera della "propria" borghesia nello spogliare il proletariato di tutto il mondo, ma di lottare contro di essa, per difendere se stesso in legame profondo con tutti i suoi fratelli di classe a livello internazionale.

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