Firmato il patto sociale i sindacati credevano di poter chiudere in fretta i vari contratti, a iniziare da quello dei meccanici. I padroni non sono, però, della stessa idea. Incassati gli impegni del governo a loro favore stabiliti dal patto, non vogliono dare in cambio una minore rigidità sui contratti. I sindacati si stupiscono per la scarsa riconoscenza dimostrata dai padroni, e li accusano di mettere a rischio gli effetti del patto, cioè la pace sociale. La cosa che, infatti, temono di più è di dover essere costretti a lanciare qualche lotta a causa delle resistenze padronali. Nella speranza di evitarlo (o di contenerle al minimo) si apprestano, così, a mediare al ribasso le loro richieste (che già non erano stratosferiche ).
Alle 80.000 lire in due anni rivendicate, la Federmeccanica risponde con un offerta di 30.000 lire. Alla "riduzione dorario" (per ottenere una "banca ore" che consentirà, in realtà, unallungamento dellorario giornaliero e settimanale) i padroni rispondono un secco no e propongono di trattare sullorario nelle singole aziende. Alle richieste sindacali di informazione, partecipazione e controllo delle scelte nelle aziende, i padroni contrappongono una piena libertà delle aziende su tutta la gestione interna. Sembra il solito leit-motiv di tutti gli ultimi contratti: più flessibilità, più libertà per le aziende, più orario, meno salario, e più legato allandamento dellazienda. Ma lo è solo nelle parole, perché nei contenuti i padroni hanno fatto giganteschi passi avanti, e i lavoratori hanno fatto giganteschi passi indietro. Ma, ancora non basta. Ancora i padroni nazionali non sono soddisfatti degli arretramenti della classe operaia italiana. Ancora i mercati internazionali, e le loro istituzioni, premono per una completa liberalizzazione dei rapporti di lavoro in Italia, per una completa destrutturazione dellimpianto contrattuale e organizzativo. E finiranno, prima o poi, con ottenerla, se il proletariato non si libererà della politica con cui ha affrontato, finora, lopera di smantellamento portata avanti dalla borghesia.
Che lotta ci sia, dunque! Che si scioperi, finalmente! E che si coltivi, con ciò, non il terreno per mediazioni più "onorevoli" tra richieste sindacali e padronali, ma quello per rimettere in discussione la politica che ci ha portato a questo stadio (e che oggi, da parte sindacale, giunge a cercare di ingabbiare ancora di più la possibilità stessa dello sciopero), per ricostruirne unaltra, che non insegua le "leggi del mercato" e di competitività delle imprese, ma unicamente gli interessi di classe, e che sincarichi di ritessere i legami di unità e di forza del proletariato dItalia, estendendoli ai proletari immigrati, e a una dimensione internazionale di lotta e dorganizzazione.