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Scuola e immigrati

APPOGGIAMO LE RICHIESTE DELLE COMUNITÀ ISLAMICHE!

Indice

La crociata anti-islamica
Contro l’omologazione segregante dell’imperialismo
Sì incondizionato alle richieste della comunità islamica

 

A fronte di una presenza consistente (50.000) di giovani musulmani nelle scuole statali italiane, la Comunità Islamica ha chiesto al governo italiano il riconoscimento:
1. dell’uso facoltativo dello chador;
2. del rispetto nelle mense scolastiche delle consuetudini alimentari islamiche e delle regole di macellazione;
3. della separazione dei sessi nelle attività sportive;
4. della possibilità di studiare il Corano e di perfezionare la lingua araba.
La stampa italiana ha attaccato violentemente questa piattaforma. E l’ha usata per alimentare l’infame crociata in corso contro l’Islam, gli immigrati e la donna.

 

Per i pennivendoli nostrani non sono inaccettabili le rivendicazioni "intrinsecamente religiose" (regole alimentari, studio del Corano, uso dello chador), quanto piuttosto la separazione dei sessi e l’insegnamento dell’arabo.

In questione, come afferma Galli della Loggia, sarebbe il rispetto dell’uguaglianza fra i sessi sancita (a parole) dalla nostra Costituzione. Eppure senza lederne lo "spirito", fino a pochissimi anni fa, per le studentesse italiane l’attività sportiva era rigorosamente separata da quella dei maschi, così come il banco e l’accesso all’edificio scolastico, e persino quella fatidica ora delle "applicazioni tecniche" diventava una vera e propria fucina (a base di lezioni di ricamo ed "educazione" domestica) di future mogli e madri. Senza contare che l’Occidente applica la sua segregazione tra i sessi nella forma più avvilente e alienante: la maggioranza delle donne vengono segregate nel lavoro tra le mura domestiche, e solo le telenovelas, i quiz televisivi o i programmi radio sono i compagni della loro solitudine.

Se poi consideriamo il rifiuto alla richiesta dell’insegnamento dell’arabo (quale principio lederebbe?) si capisce che altro è il motivo per il quale le rivendicazioni della comunità islamica suscitano tanta indignazione. A sintetizzarlo bene fu quello squallido di Alberoni già nel 1989: "Gli immigrati che arrivano in Europa hanno scarsa propensione a integrarsi e a fare propri i valori europei. Modificano l’ambiente e tendono a islamizzarlo" (Corriere della Sera, 28.8.’89). E oggi, Galli Della Loggia (Corsera , 31.8.98) ci spiega che cedere a queste richieste equivarrebbe "a un primo passo verso l’inevitabile fine di qualsivoglia richiamo storico unitario della società italiana e dunque, alla lunga, verso la virtuale scomparsa di tale società".

Non che non vadano garantite le "pari opportunità" agli studenti di religione islamica. Esse tuttavia, in coerenza con il ruolo sociale della scuola quale istituzione in cui si educano i bambini e i giovani al "rispetto" delle gerarchie sociali, devono sottostare a certe condizioni. Innanzitutto, ribadire la supremazia imperialista dell’Occidente: "Essendo tale società (la nostra, n.) per intero un frutto storico della tradizione ebraico-cristiana, nel suo molteplice svolgimento culturale, giù giù fino all’illuminismo e al liberalismo (...) è evidente (nonché, ripeto inevitabile) che rispetto ad essa non vi possa essere una vera e assoluta uguaglianza fra tutte le confessioni religiose" (sempre Galli della Loggia sul Corsera , 31.8.98).

Ma questo lacchè non si ferma qui. Più avanti aggiunge, adottando il noto relativismo proprio della ideologia borghese, per il quale i suoi principi hanno differenti valenze per ricchi o poveri, padroni o operai, bianchi o neri: "le nostre società se vogliono restare libere ( ...di opprimere e sfruttare, aggiungiamo noi) non possono che ribadire il carattere storicamente determinato e dunque in tal senso limitato (s.n.) del proprio universalismo democratico". Quanto sia limitato e classista l’"universalismo democratico" lo sanno bene i proletari, ma ancor più limitato e "controllato" deve esserlo nei confronti degli immigrati: una forza lavoro a basso costo, da mantenere ricattata nei posti di lavoro e marginale nella società, da tenere divisa e smembrata nelle sue comunità. Marginale, sfruttata, ma non distinta nei suoi valori da noi, noi Occidente...

Le rivendicazioni degli immigrati, invece, sono animate da un "pericoloso" ed eversivo bisogno di tutelarsi come "comunità separate". È questa richiesta di auto-segregazione, elemento di fatto anti-occidentale e anti-imperialista, a indignare e preoccupare la borghesia nostrana. Essa vi legge, non senza ragione, un rifiuto degli immigrati alla occidentalizzazione forzata e un passaggio della loro reazione all’oppressione imperialista.

Questa preoccupazione non è solo italiana. Il governo socialdemocratico di Schroeder vuole garantirsi la fedeltà all’ordinamento costituzionale dei musulmani che vivono in Germania. Davanti a comunità che "fanno sempre più proseliti fra i giovani immigrati e tendono a farli vivere in un mondo chiuso e nel rifiuto dei valori occidentali della società tedesca", il governo non elargirà "diritti" a senso unico: ad esempio, come contropartita alla concessione di cittadinanza gli immigrati dovranno imparare il tedesco e identificarsi con l’ordine vigente. Dice il ministro agli interni Schily: "Dobbiamo evitare che l’appello del muezzin alla preghiera gridato dal minareto, sovrasti il suono delle campane della chiesa cattolica" (La Repubblica , 29.11.98). Ed è di pochi giorni fa la notizia che "illuminati" professori di licei francesi sono scesi in sciopero (appoggiati dal Movimento dei Cittadini di Jean Pierre Chevenement, ministro degli interni) per impedire che ragazze musulmane indossino il velo a scuola (Corsera, 10.1.99). Che la carica a ministro degli interni in Italia, Francia, Germania, sviluppi sensibilità femminista e spirito egualitario?

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La crociata anti-islamica

Inaccettabile, per i cani da guardia dell’imperialismo, è l’Islam nella sua accezione di religione anti-occidentale, la specifica valenza come ideologia e codice di comportamento anti-occidentale che ha acquistato per le masse islamiche del Sud del Mondo. Non l’"Islam" mistico e romantico che ispira le canzoni di Battiato o commuove Igor Man, ma quello anonimo e violento delle masse diseredate che si mobilitano contro l’imperialismo dall’Indonesia al Sudan, quello dei maghrebini francesi che, stanchi di vedersi assassinati dalla polizia, mettono a ferro e fuoco i "Bronx parigini", quello dei nostri immigrati che si ribellano ai lager nei quali li rinchiude come bestie il "nostro" governo di sinistra.

Attaccare l’Islam serve, dunque, alle borghesie europee per attaccare i proletari musulmani, per fomentare ostilità e divisione tra essi e la classe operaia bianca, per rendere più ferrea l’oppressione della donna.

A ciò non si sottraggono certi sinistri e soprattutto "sinistre" che, prendendo a pretesto i diritti violati delle donne, sono in prima fila nella battaglia all’Islam oscurantista e nella glorificazione dei democratici valori occidentali (cioè del sistema capitalista). Così come non vi si sono sottratti, qualche tempo fa, nemmeno certi "rivoluzionari" d’Oltralpe che, ignorando la rabbia e la ribellione degli islamici parigini che emergeva insieme alla rivendicazione dello chador, hanno fatto fronte unico con i "democratici e laici" contro le rivendicazioni degli immigrati. In realtà la loro presa di distanza dall’islamismo è la loro presa di distanza dagli sfruttati delle periferie e dalla loro lotta contro l’oppressione imperialista.

Questi servi dell’imperialismo fanno finta di ignorare che la "condizione delle donne islamiche" ancor più che dal Corano è stata determinata prima dall’opera di sfruttamento coloniale e poi da quello imperialista che ha asservito da secoli i loro paesi(1). È il "civile" Occidente, attraverso il blocco operato sullo sviluppo economico dei paesi del Terzo Mondo, ad aver incatenato la proletaria arabo-islamica a rapporti di produzione arcaici e pre-capitalistici. E quanto più la sua morsa si stringerà sui paesi oppressi ricacciandoli nel girone infernale della regressione economica e della disgregazione sociale, tanto più insopportabile diventerà l’oppressione delle loro donne.

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Contro l’omologazione segregante dell’imperialismo

Che lo chador e la separazione rigida tra i due sessi siano "costumi" che rendono ancora più odiosa l’oppressione delle donne, è cosa che i comunisti denunciano da sempre, ponendo l’Islam tra i nemici delle donne e del proletariato tutto. Ma a differenza di tutto il pattume borghese, noi denunciamo in primis il vero oppressore delle donne e delle masse islamiche: l’imperialismo occidentale. E ci schieriamo nettamente dalla parte degli immigrati nella giusta volontà di sottrarsi al completo annullamento della loro identità, della loro cultura e della loro religione; di sottrarsi alla degenerazione (altro che valori di civiltà!) delle loro giovani forze in nome della completa subordinazione a questo ordine sociale.

La nostra iniziativa si rivolge anzitutto al proletariato bianco. Per difendere se stesso deve svellere dalle mani della borghesia l’arma fenomenale che questa brandisce: la divisione tra bianchi e immigrati, tra proletari occidentali e popoli oppressi. Il primo passo per trasformarla in unità di lotta e d’organizzazione è proprio quello di battersi a difesa di tutte le rivendicazioni degli immigrati che riguardano la loro libertà di organizzarsi e di difendere la propria cultura e la propria identità. Solo così potrà lanciare un vero ponte di fratellanza di classe. Solo rifiutando di cadere nel fossato che la borghesia gli apre: quello di credersi superiore per cultura, religione, usi e costumi, di credersi in tutt’uno con la propria borghesia nel difendere i "valori occidentali" contro l’"oscurantismo islamico". Se il proletariato bianco farà questo primo passo, che tocca a lui e a lui soltanto, se il proletariato bianco si determinerà a ingaggiare una vera lotta contro il capitalismo e l’imperialismo, potrà davvero offrire ai fratelli islamici la prospettiva di liberarsi dalla vera oppressione che subiscono, e di verificare, su questo terreno, l’inconsistenza della prospettiva islamica come resistenza e lotta all’imperialismo.

In mancanza di ciò, in mancanza, cioè, di un forte movimento di classe che raccolga le istanze anti-imperialiste degli immigrati e dei popoli oppressi, dando a esse concreta realizzazione, chiedere come "pre-condizione" che essi abbandonino le loro fedi, equivale a chiedergli di abbandonare il misero coltello per rimanere completamente disarmati, equivale a unirsi alla propria borghesia nell’opera di schiacciamento di tutto ciò che cerca di resistere alla sua fame di profitto e sfruttamento.

Il rivendicato rispetto della loro "cultura" da parte delle comunità islamiche immigrate è, infatti, ancor prima che un tributo ai precetti coranici, una necessità di autodifesa di se stesse, un tentativo di mantenere coeso e separato il loro tessuto sociale dal morbo invasivo dell’ideologia occidentale, sinonimo d’oppressione e sfruttamento. In una parola: è separazione dalla cultura dell’oppressore. Che di questo si tratta lo dimostra la borghesia più illuminata che sarebbe anche disposta ad accettare lo chador purché (e qui si comprende come sia più perspicace dei cosiddetti "sinistri") non rivendicato come simbolo di appartenenza, ma come libera scelta individuale delle ragazze islamiche. Mentre la "sinistra" sbraita sull’intollerabilità di un tale vestiario, simbolo d’oppressione e sfruttamento della donna, la borghesia pone una sola condizione: che non rappresenti (come oggi è per molte donne islamiche) una "divisa" anti-occidentale(2), attraverso la quale differenziarsi da esso e rivendicare una dignità riconquistata, il rifiuto di identificarsi con il modello "civile" della donna occidentale, oggetto di consumo e per il consumo. È ancora troppo vivo il ricordo della disobbedienza alla occidentalizzazione dei costumi delle donne algerine, libiche, iraniane e il loro "velato" contributo nella lotta anti-occidentale. Una cosa è certa: le donne islamiche continuano a essere assai meno intralciate dal velo nella loro lotta contro l’imperialismo in Iraq, Palestina o Libano, di quanto lo siano le donne occidentali dalla loro ostentata e "libera" nudità nella lotta contro la mercificazione a cui le obbliga il democratico capitalismo. Una lotta che queste ultime, nella maggioranza dei casi, non intentano nemmeno...

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Sì incondizionato alle richieste della comunità islamica

Certo, non è per la via tracciata dall’Islam, anche da quello radicale, che si darà per gli sfruttati colorati e le loro donne una concreta difesa dall’oppressione brutale che il capitalismo riserva loro nelle metropoli e nelle periferie. Meno che mai può venire, però, dall’omologazione agli ipocriti valori occidentali, dalla falsa integrazione offerta a condizione di rinunciare a ogni propria difesa, di rimanere un esercito di super-ricattati e super-sfruttati, usati (involontariamente) contro il proletariato bianco.

Fino a quando contro le loro condizioni di sfruttamento disumano si leveranno solo piagnistei umanitari; fino a quando si alimenterà contro di loro il peggiore razzismo; fino a quando l’oppressione delle donne colorate sarà accresciuta dal mercimonio che riserva loro il civile occidente, non è agli immigrati o alle donne immigrate che va chiesta una risposta diversa. Essi, nel cominciare a porsi sul terreno della rivendicazione e della resistenza organizzata, stanno già facendo la loro parte. Spetta al proletariato bianco fare la propria.

Vogliamo davvero che le donne islamiche si organizzino, anziché dietro l’Islam, intorno a una bandiera realmente in grado di difenderle dall’oppressione che l’imperialismo italiano esercita sugli immigrati e, in modo specifico, sulle donne immigrate? Cominciamo allora a sostenere incondizionatamente le loro istanze, a prescindere dai modi in cui esse intendono portarle avanti. Cominciamo a opporci all’infame crociata con cui la nostra borghesia reagisce alla richiesta di poter indossare il velo nelle scuole e alle altre rivendicazioni della comunità islamica. Cominciamo a lottare contro tutti gli altri aspetti della politica con cui il "nostro Bel Paese" schiaccia le donne arabo-islamiche, qui da noi e nei loro paesi. Cominciamo col renderci conto di quanto il capitale opprima anche la donna occidentale, seppur in modo diverso, soprattutto quando ne celebra la libertà (di lasciarsi sopraffare, ridurre a oggetto di piacere e di prostituirsi). Cominciamo quindi col riprendere la lotta anche su questo fronte.

Tutto questo sì che favorirebbe la battaglia delle donne arabo-islamiche e permetterebbe loro, nel fuoco dello scontro, di riconoscere che l’alternativa non è tra la vita oggi imposta alla donna bianca e quella isparata all’Islam, ma tra queste e quella prospettata dall’unico programma in grado di realizzare per davvero la liberazione della donna, quella occidentale come (anche se con percorsi non identici) di quella arabo-islamica: il programma del comunismo.

Note
1. Non sono pochi anche gli studiosi occidentali che devono ammettere, come G. Vercellin o la B. Scarcia Amoretti, che nell’Islam la donna ha storicamente avuto diritti che non le erano concessi nel mondo europeo-cristiano, almeno dalla fine dell’età imperiale romana a quest’ultimo secolo, ricordando l’indiscutibile ed indiscussa autonomia ed indipendenza finanziaria delle donne musulmane rispetto a quelle europee. A partire dall’epoca coloniale, man mano che la donna europea (anche grazie ai sovra-profitti estorti alle colonie) vinceva battaglie fondamentali, in Oriente - al contrario - la sua posizione si faceva doppiamente subalterna.
2. La studiosa algerina K. Messaoudi nel suo libro "Dietro ogni Hijab c’è una donna" sottolinea come, attualmente, nel mondo arabo-musulmano esistano tanti tipi di velo: "quello che permette di nascondere la propria miseria; quello che si rivela un lascia-passare; quello che è stato sostituito al tradizionale ha’iq perché ha il vantaggio di lasciare le mani libere ed infine c’è il hijab politico, cioè quello che viene coscientemente e liberamente indossato per indicare la propria appartenenza ideologica e che assume il significato di un segno di riconoscimento".

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