La classe operaia non può guardare con alcuna tranquillità al rinnovo dei prossimi contratti (34 per cinque milioni di addetti, compresi i metalmeccanici). Mentre è scontato che le richieste sindacali saranno più che moderate, è ormai chiaro che per il padronato saranno loccasione per dare un ulteriore assalto a quel che rimane del contratto nazionale.
La parola dordine è una sola: flessibilità, nientaltro che flessibilità, sul piano degli orari, delle assunzioni come dei licenziamenti, su quello dei salari, da legare alla sola contrattazione aziendale per produrre unulteriore frammentazione della condizione e dellorganizzazione operaia. Il sindacato nella forma si dichiara contrario alla flessibilità "selvaggia" e vi contrappone la disponibilità a una flessibilità "contrattata". A furia di "contrattarla" il contratto è divenuto già un colabrodo inconsistente. Qualche esempio? Il contratto nazionale -si dice- va difeso ad ogni costo, ma poi si dà il via libera ai contratti darea, ai patti territoriali, ecc. I minimi salariali sono inderogabili perché altrimenti si ritornerebbe alle "gabbie salariali", retaggio del passato? Ed ecco, in puro stile federalista, una miriade di accordi che concedono condizioni salariali e normative inferiori ai livelli contrattuali. No alla flessibilità in uscita sinonimo di licenziamenti a discrezione dei padroni? Ma i contratti a termine e di formazione lavoro, il lavoro interinale, lapprendistato, le forme di precariato già concesse, non sono altro che possibilità di licenziamento a uso e consumo delle aziende. Per non parlare poi della questione degli orari: si riconosce che la settimana lavorativa media supera le 45 ore, con gli straordinari alle stelle, ma si concorda con Confindustria -in "cambio" del riconoscimento di un orario normale di 40 ore settimanali su base annua- la possibilità di orari giornalieri di 13 ore e un tetto annuo di 250 ore di straordinario!
Unico "risultato" di tutto ciò: in cambio del mantenimento formale delle "regole", una serie senza fine di cedimenti reali su tutto.
In questo modo non si ferma affatto il processo reale di rottura e frantumazione del tessuto operaio (in fabbrica come sul territorio), e, anzi, gli effetti di questo processo -consolidati e acquisiti dalla controparte e, quel che è peggio, oramai subiti come fatto normale anche dagli operai- indeboliscono, allentano e tendenzialmente distruggono i legami tra lavoratori predisponendo il terreno proprio alla forma "estrema" di flessibilità che da parte sindacale si vorrebbe evitare!
E con questa linea che il sindacato va alla verifica dellaccordo di luglio, accettando la proposta di patto sociale lanciata da Ciampi e incentrata sullo scambio investimenti-flessibilità, ed è con essa che va ai rinnovi contrattuali. Ciò che il sindacato chiede al governo "amico" è di smussare le pretese padronali più spinte, riconfermando il quadro della concertazione atta a prevenire lo scontro sociale. Non inganni la minaccia di sciopero generale "contro" il governo ventilata da DAntoni, essa è finalizzata a spostarne lasse ancor più a destra e a smuovere le residue resistenze della Cgil in materia di flessibilità, il tutto in nome delloccupazione e del Mezzogiorno, nella prospettiva di un sindacato sempre più corporativo e, perché no, gestore in prima persona del lavoro che ha contribuito a precarizzare.
La politica di moderazione e concessioni continue, su tutti i piani, e il ritrarsi sempre più dal terreno della mobilitazione -per non mettere in pericolo la "stabilità" politica e sociale- non servirà a moderare il padronato né a proteggere il proletariato dalle tempeste del mercato mondiale, ma solo a indebolire, scompaginare, dividere il fronte di classe.