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UNA PAROLA D’ORDINE SUGGESTIVA, MA DA SCARTARE (*)

 

Della parola d’ordine degli Stati Uniti di Europa si discusse per la prima volta all’interno del Partito operaio social-democratico russo nel 1915. Essa fu approvata, da principio, solo in quanto parola d’ordine politica equivalente alla consegna di lottare per abbattere le monarchie russa, germanica e austro-ungarica, che erano allora i tre bastioni della reazione politica semi-feudale in Europa. In quanto prodotto di un rivolgimento politico violento guidato dal proletariato (benché non esclusivamente proletario né nella sua composizione, né nei suoi obiettivi), gli Stati Uniti repubblicani di Europa venivano concepiti come un passo nella direzione della rivoluzione socialista mondiale. Tuttavia l’adozione di questa parola d’ordine nella propaganda del POSDR venne lasciata in sospeso, e subordinata alla discussione intorno al suo "contenuto e significato economico"; discussione che mise capo al suo abbandono. Il perché di una simile conclusione è lo stesso Lenin a spiegarlo.

Nel quadro del capitalismo, egli dice, gli Stati Uniti di Europa non potrebbero che essere, "o impossibili, o reazionari". Impossibili, perché la loro creazione comporterebbe una intesa permanente per la spartizione del mercato mondiale e delle colonie, spartizione che, viceversa, si realizza di regola sulla base esclusiva dei (mutevoli) rapporti di forza e, in ultima analisi, della guerra tra gli stati predoni. Anche, però, ad ammettere la possibilità di un accordo tra le potenze europee, la sua valenza sarebbe doppiamente reazionaria. Si tratterebbe, infatti, di un accordo tra stati capitalisti e imperialisti finalizzato da un lato a "schiacciare tutti insieme il socialismo in Europa", e dall’altro a "conservare tutti insieme le colonie accaparrate contro il Giappone e l’America". Perciò, nel contesto del capitalismo, l’insegna dell’Europa unita sarebbe un obiettivo illusorio, ingannevole, buono solo a stornare il proletariato dai suoi propri scopi, oppure una insegna direttamente anti-proletaria e anti-rivoluzionaria, o meglio l’una e l’altra cosa insieme. Ecco perché essa è, per il partito comunista, un’insegna da scartare.

E nell’opposto contesto del processo della rivoluzione proletaria? In quest’altro contesto, non gli Stati Uniti d’Europa, bensì gli Stati Uniti del mondo potrebbero, concede Lenin, essere considerati un sinonimo di socialismo. Ma il ricorso ad una tale parola d’ordine "indipendente" è sconsigliabile, anzi: è da ritenersi sbagliato, perché presenta, rispetto al termine socialismo, almeno tre difetti. 1)Mette in primo piano il dato statale della "unione e libertà delle nazioni" relegando sullo sfondo il dato prioritario del rivolgimento economico-sociale. 2)Si presta ad una lettura evoluzionistico-pacifista del cammino verso il socialismo, che risenterà invece, di necessità, dello sviluppo diseguale del capitalismo, e dunque vedrà prevalere inizialmente la rivoluzione proletaria in uno o più paesi, che, in quanto prime repubbliche socialiste, si troveranno in "una lotta ostinata, più o meno lunga" con gli stati rimasti fermi al capitalismo. 3)Può indurre a concepire l’inizio del processo delle trasformazioni socialiste nei primi paesi in cui ha vinto la rivoluzione, come un mero patto di solidarietà tra nazioni reciprocamente e gelosamente "indipendenti", e che tali intendono restare, e non come una progressiva centralizzazione sovra-nazionale, internazionalista delle forze produttive espropriate al capitalismo e delle forze del proletariato di questi paesi nella lotta rivolta a demolire quello che è rimasto in piedi del sistema capitalistico. Se dunque la stessa parola d’ordine degli Stati Uniti del mondo lascia il fianco scoperto a simili pericolosi fraintendimenti, rivelandosi un sinonimo molto inadeguato del termine socialismo, a maggior ragione è da escludere il ricorso alla sua riduttiva versione "europea".

Neppure la sua ripresa ad opera di un grande marxista come Trotzky e la sua riformulazione come "Stati Uniti sovietici di Europa", è in grado di risultare convincente. Egli la avanzò con energia prima nel 1915 e poi nel 1923, entrambe le volte nel vivo di un’acceso scontro tra stati europei (la guerra, l’occupazione francese della Ruhr). La propose come arma propagandistica utile a fare risaltare l’organica incapacità dei governi capitalisti a realizzare una "completa unificazione economica dell’Europa", ed a denunciare i catastrofici effetti, per i produttori, per i consumatori e per lo "sviluppo della cultura in generale", della semina di rivalità e di odio operata dalle borghesie europee. Di contro a questi cumuli di rovine, il proletariato poteva ergersi, invece, come la sola forza sociale capace di unire realmente l’Europa. Sebbene Trotzky dichiarasse che per Stati Uniti d’Europa si doveva intendere niente altro che "l’unica forma concepibile della dittatura del proletariato europeo" (ancora una volta, dunque, un sinonimo); e sebbene egli avesse totalmente ragione nel sostenere che l’ostracismo a questa parola d’ordine da parte di Stalin e del nascente stalinismo derivava dall’abbandono dell’internazionalismo rivoluzionario in favore di una prospettiva nazional-riformista; nondimeno Bordiga parla, a proposito di questa posizione di Trotzky, di una suggestione che l’esperienza storica ha dimostrato essere esposta a depotenziare nei fatti il programma e la prospettiva propri del partito comunista. Sentiamo perché:

"La via per cui si giunge a una tale rivendicazione è di tutta evidenza. L’internazionalismo della lotta proletaria, il suo continuo urtarsi, nella politica e nell’organizzazione socialista, con le difficoltà determinate dalle questioni nazionali e dalle guerre degli Stati; le devastazioni dell’opportunismo nella prima guerra generale del ventesimo secolo, che con la degenerazione patriottarda rovinarono il lungo cammino dei più grandi partiti socialisti, la certezza che la rivoluzione proletaria europea sarebbe rivoluzione mondiale, inducono ad una tale aspirazione storica, soprattutto fanno pensare che la consegna dell’Unità Europea sia tra quelle -se ve ne sono- atte a riportare le masse dai periodi di ripiegamento e d’incertezza sul piano e sul fronte della battaglia di classe. (...)

"Il grido per un’Europa non più avvelenata da odii nazionali e non più percorsa da armate nelle quali i lavoratori militarizzati si massacrano agli ordini del capitale, sarebbe tra quelli che spingono queste masse nel movimento, nel corso del quale la direttiva integrale comunista può guadagnare in settimane quello che non guadagnerebbe in decenni di stretto lavoro programmatico di partito.

"Tale generoso scorcio di strategia rivoluzionaria, anche quando veniva da origini non sospette, traverso una serie di disastrose esperienze ha sempre dimostrato di cadere nel gioco delle insidie opportuniste, nella confusione tra le vere forze di classe e quelle equivoche che si accampano nelle frange di contatto fra il proletariato avanzato e la grande borghesia, nella conseguenza, completamente negativa, che sono stati proprio gli elementi più preparati e maturi nella teoria e nella milizia di partito a slittare verso la sostituzione al programma rivoluzionario di insidiosi miraggi piccolo borghesi, vuoti, addormentatori, disfattisti".

Fare nostra questa critica ad una elasticità nella "strategia della lotta di classe" che si è rivelata pericolosa e controproducente, non significa affatto che i comunisti possano restare indifferenti nei confronti delle aspirazioni di pace e di definitivo superamento delle discordie nazionali che hanno insanguinato l’Europa, che sono state e sono presenti nelle masse lavoratrici (non solo proletarie). Al contrario, ci si deve preparare a raccoglierle ed organizzarle su linee di battaglia che esprimano senza equivoci questo messaggio: se vogliamo dare a queste sacrosante aspirazioni un effettivo sbocco risolutore, se vogliamo chiudere definitivamente la pagina delle discordie e delle guerre inter-europee, è necessario portare fino in fondo lo scontro con il capitalismo ed i suoi apparati statali alla scala mondiale, perché è la contesa inter-capitalistica per il dominio sul mercato mondiale (sulla pelle degli sfruttati) che attizza i conflitti anche sul suolo europeo.

Ecco perché non ci si può limitare né sul piano "ideale", né su quello pratico, ai confini europei, ma li si deve oltrepassare programmaticamente non solo in direzione dell’America e del resto dell’Occidente, ma in un modo particolarissimo e decisivo, nella proiezione rivoluzionaria verso le masse proletarie e semi-proletarie della "periferia" dominata e sfruttata dall’imperialismo. A distanza di alcuni decenni, che molto hanno cambiato i connotati sociali dei continenti di colore inserendoli in pieno nel corso della rivoluzione socialista mondiale, ogni insistenza su formule "europee" suonerebbe ancora più esposta e stonata di allora. Oggettivamente, se non altro, aggiungerebbe qualche nuovo decibell alla musicaccia euro-centrica e sciovinista sulla cosiddetta Europa "sociale", finta alternativa all’Europa delle banche centrali, che promette (ma non manterrà) di costruire un’Europa più "solidale"..., che sarà più solidale su un solo versante: l’aggressione ai proletari del Terzo Mondo.

Dopotutto, l’esperienza storica del processo rivoluzionario dà ulteriore forza a questa riserva sulla opportunità, per il movimento comunista, di adottare la parola d’ordine dell’unità europea. Essa testimonia, infatti, che nel 1917-1923 la marcia della rivoluzione proletaria non rispettò gli "astratti" confini continentali. Andammo vicini allora non agli Stati Uniti di Europa, bensì a un’Unione euro-asiatica di repubbliche socialiste sovietiche che inizialmente avrebbe spaccato in profondità, non unito, l’Europa così come l’Asia. Mentendo, i reazionari affermano che il muro di Berlino è stato un "regalo" della nostra rivoluzione. In realtà, sono stati loro ad erigerlo, a rivoluzione sconfitta, non già coi mattoni ed il misero calcestruzzo degli Honecker, bensì con l’occupazione e la divisione manu militari della Germania e con le fiumane di $ spacca-proletariato del piano-Marshall (lo hanno eretto per allontanare da sé -per sempre, sperano, ed è una speranza vana!- lo spettro di quella grande Unione rivoluzionaria del proletariato e degli sfruttati in armi che si andava profilando da Berlino a Baku, e che sarebbe stata per loro una sfida tremenda). Ma considerando la cosa dialetticamente, non si può negare che la controrivoluzione democratica e stalinista abbia, a suo modo, seguito il tracciato dell’onda rivoluzionaria. Che è stata in passato, e sarà in futuro, "anomala" poiché, se sono certi il suo ritorno, il suo carattere internazionale e la sua capacità di contagio, e se è certo, infine, che l’intervento soggettivo di partito ne dovrà potenziare e centralizzare la forza dirompente, non è dato invece sapere in anticipo quale sarà il suo preciso percorso.

(*) Gli scritti ai quali ci riferiamo in questa nota sono:

.Lenin, Sulla parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa (1915);
.Trotzky, La III Internazionale dopo Lenin (1928);
.Bordiga, United States of Europa (1950).

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