ex-Jugoslavia |
I kosovari hanno motivi per protestare e lottare contro la politica di Belgrado? Sì. Ma il loro riscatto nazionale e sociale non si darà attraverso irredentismi pan-albanesi sotto legida imperialista ed a suon di fronti interclassisti tardo e pseudo-risorgimentali. I Rugova di Pristina, come i Nano di Tirana, fungono esclusivamente da marionette dellimperialismo. La causa dell"autodecisione nazionale" dei popoli balcanici è servita unicamente a mettere a fuoco i Balcani per sottometterli allimperialismo. Contro questa manomissione tutte le nazionalità dei Balcani devono insorgere in un fronte di classe nel quale ognuna di esse riacquisterà davvero la propria storica dignità. La politica di Milosevic spinge serbi ed albanesi nellopposta direzione e perciò va combattuta senza pietà. In questo un compito gravoso spetta al "popolo serbo": esso deve sapere che nessun popolo che ne opprima un altro potrà mai essere libero e che il muro che lo divide dai suoi fratelli di classe kosovari va infranto perché è il muro che costringe gli uni e gli altri alla schiavitù. Questa è la consegna: unità e fratellanza di classe tra tutti i popoli dei Balcani contro le proprie borghesie, contro limperialismo, appello al proletariato delle metropoli per lunitaria causa internazionalista del socialismo. |
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Dietro le cortine fumogene dellinformazione asservita
Come per tutte le questioni di attualità, se qualcuno vuol capirci veramente qualcosa deve in primo luogo schifare programmaticamente la cosiddetta documentazione "dal vivo", "in presa diretta", dellinformazione di regime in quanto, cè da giurarci, essa è sempre e tutta, di regola, costruita in laboratorio a suon di montaggi e fotomontaggi. Ci sarebbe da sbizzarrirci anche in questo caso per dimostrare come la "libera informazione" sia ricorsa a tutta una serie di falsificazioni ad arte per provare la solita "brutalità serba", ma non è che ne siamo troppo interessati: ci basta, per stavolta, richiamare allattenzione del lettore non drogato e attento a non farsi drogare le tanto strombazzate immagini della violenza della polizia serba, che non si è riusciti a cogliere che nel momento di respingere a suon di sfollagente i più esagitati tra i dimostranti kosovari senza ombra dei cordoni massicci e ad armi innestate che, contemporaneamente, si potevano vedere dal vero, ma non alle nostre TV (tranne che alla solita Striscia la notizia) a Napoli, Palermo, Mestre o ai soliti stadi calcistici. Orrore serbo! Ben 45.000 poliziotti, si è constatato, dislocati in tutto il Kosovo! Provate a far di conto sul numero dei poliziotti nostrani schierati di tutto e ben altro punto in una sola situazione calda locale, con carabinieri, finanza, esercito, egualmente e rigorosamente armati, e poi ne parliamo... Superorrore serbo! Esso risponde al fuoco dellesercito irredentista albanese, dopo uno stillicidio di attentati sanguinosi subiti da esso, colpendo anche donne e bambini utilizzati dal nemico quale scudi umani anziché deporre le armi ed offrire pacificamente la schiena al nemico! Dopo di che si dà notizia che a Mogadiscio, nel corso delle operazioni "di pace" di cui anche lItalia faceva parte (divertendosi come sappiamo), i marines impegnati congiuntamente a noi per catturare Aidid hanno fatto in un sol colpo un migliaio di morti civili (a meno che i somali non siano da considerarsi incivili o bestie) con buona pace di tutti i nostri bravi "informatori". E senza parlare dei civili curdi iracheni da noi mortammazzati senza troppi complimenti. Ma "pare" che persino quanto ai soli albanesi ne abbiam fatti fuori più noi respingendone linvasione sulle nostre spiagge che Milosevic a casa sua. Questo non per pareggiare i conti tra questi e quei morti (noi non siamo affatto tifosi della squadra serba di Milosevic!), ma per sbugiardare una propaganda omicida sempre, e soprattutto quando finge di commuoversi per certe vittime, e dire che noi e solo noi abbiamo il diritto di chiamare allindignazione ed alla sollevazione contro ogni carneficina di classe come anche quella del Kosovo è, senza buoni contro cattivi da nessuna delle parti in gioco (per non parlare dei supercriminali che da qui le muovono senza apparentemente sporcarsi le mani).
In secondo luogo, però, e primo in ordine dimportanza, occorre cercare perlomeno di capire da dove e perché un conflitto nasce, quale ne sia il senso, quale la possibile soluzione secondo una prospettiva data. Questultima, per noi e, presumibilmente, per chi ci legge significa: una prospettiva di classe. Linformazione "obiettiva" deve ubbidire a questi criteri o è zero essa stessa, quandanche non espressamente manipolata. Controinformare è certo importante, ma in quanto strumento per controformare.
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Alla radice della attuale questione del Kosovo
Riprendiamo, allora, schematicamente, la questione Kosovo nel suo contesto storico.
Nella lotta di liberazione partigiana titoista varie nazionalità si trovarono fraternamente unite contro linvasore tedesco. Slavi ed albanesi, tanto per cominciare. La bandiera sollevata da tutte le popolazioni in gioco era quella di una libera e "socialista" Jugoslavia unitaria e plurinazionale. Oltre i confini jugoslavi, altri albanesi si battevano sotto analoghe bandiere nazional-"socialiste". Né dalluna né dallaltra parte si sollevavano questioni grandi-jugoslave (o grandi-serbe) o, di contro, grandi-albanesi. Al contrario, cera un intento in qualche modo comune che andava nel senso di una possibile "federazione" balcanica (estensibile anche alla Grecia, percorsa allora dagli stessi fremiti "socialisti"). Ciò rappresentava il massimo possibile di audacia rivoluzionaria (in senso borghese giacobino, seppur ritardato, se non -sicuramente- in senso socialista) cui potessero arrivare le masse locali e le loro direzioni stalinizzate. Solo che, nellambito del sistema imperialista, questo stesso compito risorgimentale risultava impossibile se non spezzando le catene del dominio o controllo imperialista e dellordine borghese; se non orientandosi verso una soluzione comunista internazionalista. Il che significava: rompendo decisamente con la logica stalinista dei vari "socialismi in un solo paese", della "pacifica" divisione tra blocchi, della "pacifica" competizione tra essi.
Vano era aspettarsi questo salto di qualità da parte dei Tito e degli Hoxha. Allorché Stalin venne ad imporre il proprio veto alla federazione balcanica in quanto stridente con gli interessi nazionalborghesi russi e, poi, a scomunicare il "deviazionista" Tito, tanto questultimo che Hoxha rifluirono nel meschino ambito statuale ad essi imposto, luno e laltro appoggiandosi (facendosi mettere la catena attorno al collo) al protettore-padrone di turno (lOccidente per Tito, lURSS per Hoxha). Da qui la "grande Jugoslavia" e la "grande Albania" ed i primi sussulti, a Tirana, di irredentismo... "socialista" kosovaro.
Da parte sua, la Jugoslavia di Tito cercò di assicurare alla "propria" popolazione albanese uno status di eguaglianza nei confronti delle altre nazionalità jugoslave e fece anche il possibile (per quel che era impossibile allinterno di un sistema nazional-borghese) per dare ad essa delle opportunità di sviluppo economico "egualitario" a partire dalle preesistenti condizioni di marcato sottosviluppo. Il regime "socialista" titino non solo, quindi, assicurava agli albanesi del Kosovo uneguaglianza formale di diritti giuridici, a cominciare da quelli culturali-linguistici, ma, attraverso luso di abbondanti fondi di solidarietà, si sforzava di trarre leconomia del Kosovo dalla melma di partenza. Nulla di più democratico, se vogliamo (ma, notoriamente, non è che noi ci commuoviamo di fronte alla democrazia!).
La regione si è di fatto sollevata a molte altezze rispetto allarretratezza precedente, ma con la contropartita di un allargarsi delle forbici tra Kosovo e regioni sviluppate tanto in termini di reddito che di livello delle componenti economiche (tutte, nel Kosovo, basate sulle ricchezze naturali del sottosuolo, unagricoltura assai arretrata, una mano dopera scarsamente qualificata, di basso rendimento ed ancor minore costo). Ma ciò che ancor più va rilevato è come, date queste premesse, la struttura sociale interna sia rimasta a livelli molto arcaici, con un certo blocco della differenziazione in classi distinte e conflittuali tra loro e la persistenza delle "classiche" sopravvivenze della divisione del "popolo" in "clan" grande-familiari, tribali.
Dove stava il difetto? Esso stava nella struttura stessa della società jugoslava, chiusa entro i suoi micragnosi confini statuali e, in questambito, necessariamente sottoposta alle impietose regole del mercato, vanamente e stoltamente coniugate dal regime col richiamo verbale al socialismo. Lautogestione mercantile a scala sottonazionale, regionale e addirittura aziendale pura non poteva che produrre di per sé il gioco della concorrenza e della contrapposizione secondo le leggi di uno sviluppo spontaneamente (e quindi ancor meno controllabile) combinato e diseguale. Le guarentigie giuridiche e quelle della solidarietà economica tra sezioni del paese via via più indipendenti e contrapposte strutturalmente tra loro dovevano per forza di cose dimostrarsi progressivamente impotenti a legare effettivamente tra loro, fossanche su un piano puramente borghese, queste stesse sezioni. E proprio lautonomia realmente riconosciuta ed assicurata al Kosovo, nella fattispecie, doveva risolversi in un fattore in più di scontro tra le rivendicazioni di ogni genere (dal culturale al politico) dei kosovari isolati e sfavoriti nei confronti delle altre nazionalità e dello stato jugoslavo nel suo complesso. Di qui alla rivendicazione nazionalista albanese il passo era breve; come lo era quello di una crescente insofferenza da parte di tutte le autonome nazionalità slave nei confronti del "parassitismo" kosovaro (il terrone assistito e mangiasoldi di turno).
Il conferimento al Kosovo di una larghissima autonomia, a livello semi-statale, da parte dellultimo Tito, nellintento di disinnescare la miccia delle insorgenti rivendicazioni nazionalistiche indigene, non poteva che fungere da altra benzina sul fuoco covante tra le ceneri. Gli autonomi poteri amministrativi albanesi, mirando al conseguimento di uno status borghese in proprio su base nazionale, ne approfittarono, in effetti, per allargare il fossato tra popolazione albanese (in rapida crescita demografica) e quella serba residente in loco, volgendo le richieste economiche della prima contro la seconda ("strappiamo ai serbi quello che ci spetta"), cominciando da varie forme di sabotaggio delle postazioni economiche serbe per finire con unaperta opera di dissuasione per allontanare i serbi dalla "propria" terra. Il tutto specularmente ricambiato dai serbi in termini di crescente discriminazione nei confronti degli albanesi. Tragico, ma disgraziatamente logico, epilogo di una storia cominciata allinsegna della fratellanza!
Per scansare questesito sarebbe stato necessario, né più né meno, che unorganizzazione comunista internazionalista (e non ci limitiamo ai confini jugoslavi, sia ben chiaro!) in grado di rilanciare la spinta di classe oltre la muraglia borghese in cui sera infranta nel corso della lotta partigiana. Disgrazia vuole che non ce ne fosse lombra, che la partita si trovasse imbottigliata entro gli stretti confini jugoslavi (ovviamente sovradeterminati) e che qui, a parte linesistenza di qualsiasi ombra di partito comunista, ai vecchi giacobini resistenziali si fossero sostituiti dei sotto-termidoriani, la canaglia degli affaristi micronazionalisti in affitto alle centrali imperialiste estere e la non meno spregevole canaglia dellirredentismo albanese storicamente fuori tempo utile per ogni e qualsiasi neo-garibaldata.
Giova ricordare che quando, nell89, Milosevic pose allordine del giorno la questione della cancellazione dellautonomia kosovara (misura chiaramente oppressiva e tale sotto la forma di oppressione nazionale), egli fu prontamente accontentato da tutti gli altri capi di sottostato, i quali, già da tempo, avevano sollevato contro Belgrado le più ampie lamentele contro il fondo di solidarietà per le regioni sottosviluppate, padanamente imputando a Belgrado ladrona di sottrarre a Croazia, Slovenia etc. per basse ragioni assistenzialistiche quanto di loro esclusiva spettanza. La rivista Panorama di Rijeka (Fiume) scriveva allora: è sacrosanto che la Serbia abbia il controllo su un territorio che fa parte del suo stato e non accetti di vedere cittadini serbi praticamente impossibilitati a vivere nel Kosovo; altrettanto sacrosanto è che se la sbrighi da sé senza chiederci quattrini. Tanto per rinfrescare la memoria...
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La politica di Milosevic sul Kosovo: nazionalsciovinismo stolido e suicida
La politica seguita da Milosevic nei confronti del Kosovo una volta ottenuto il via libera al reintegro dellautorità statuale serba è stata esattamente quella che, trovandosi al suo posto, avrebbero attuato sloveni e croati, e cioè la peggiore possibile. Non nel senso della violenza poliziesca, di cui sè avuta scarsa copia e, se volessimo stare a criteri di legalità, spesso in risposta ad obiettive "provocazioni", bensì in quello di un atteggiamento di emarginazione dalla vita sociale, culturale e politica, nei confronti di una popolazione considerata come "ospite straniero" sul proprio suolo nazional-statuale, in un botta e risposta continuo con il parallelo atteggiamento albanese nei confronti della popolazione "usurpatrice" serba (e con laggravante per Milosevic di farlo dallalto di posizioni di potere: stolida oppressione contro stolido rivendicazionismo irredentista, esso stesso -però-, quando possibile, oppressivo nei confronti della minoranza residente serba). Dalluno e dallaltro lato: cieco nazionalismo, interclassismo patriottardo e, con ciò, porte aperte alle interessate protezioni doltrefrontiera e al loro seguito di fomentatori di guerra, e di piani volti alla presa di controllo sulle membra lacerate della Jugoslavia.
Per comprendere quale sarebbe potuto essere la soluzione di classe dei problemi, ci si immagini un partito in grado di dirigere le masse, negli anni ottanta, contro la borghesia, contro tutte le borghesie interne alla Jugoslavia, allorché si registravano forti ed estesi movimenti di lotta che ancora passavano trasversalmente alle varie nazionalità (quella kosovara compresa) e le tenevano unite e poi, di seguito, nel momento in cui tutte queste borghesie si avviavano alla secessione, in presenza tuttora di una petizione jugoslavista di massa. Se questultima fosse stata in grado di darsi un programma e unorganizzazione di classe avrebbe ingaggiato necessariamente uno scontro frontale con la purulenta miriade microborghese interna e, di conseguenza, col suo retroscena imperialista esterno ricompattando le file proletarie al di là degli artificiosi steccati nazionali. Era questo il pericolo da esorcizzare per tutti i briganti in scena, lun contro laltro armati, ma tutti solidariamente uniti contro il proletariato e il suo jugoslavismo (né esso poteva essere di altri).
Il "dittatore" Milosevic in nessun momento ha accennato a difendere lunità jugoslava, neppure a chiacchiere. Non lo poteva fare da comunista perché, confessatamente, estraneo ed ostile ad ogni idea di comunismo ed il richiamo alla sollevazione proletaria di massa per una Jugoslavia socialista era la cosa più lontana dai suoi pensieri, e dai suoi interessi. Non lo poteva neppure fare da borghese perché, pur famelico in quanto tale, ben conscio dellimpossibilità di tenere sotto di sé il territorio jugoslavo da postazioni "grando-serbe". Si è accontentato, dopo aver programmata la divisione coi suoi compari, di giocare alla "Grande Serbia", sperando di ridisegnarne più convenientemente i confini (senza, per altro, esporsi direttamente sui campi di battaglia) ed illudendosi, intanto, di poter meglio tener sotto di sé le zone calde interne, a cominciare dal Kosovo. È stato vero il contrario: tolta di mezzo la Jugoslavia, queste stesse zone sono divenute più ingovernabili, tanto se trattate col guanto di ferro quanto se con quello di velluto: non più dominabili, non più integrabili (anche ammesso che lo si volesse), perché se già il territorio pan-jugoslavo, e con una tradizione fresca di guerra partigiana, si era rivelata troppo misera cosa per garantire al paese una reale indipendenza in tempi di sospensione di belligeranza inter-imperialista, si pensi cosa può valere la miseranda porzione serba con una società interna priva di un collante autentico e allorché la crisi imperialista torna ad accendersi spazzando via ogni rispetto delle "regole" tra i big e figuriamoci poi nei confronti delle pedine destinate al massacro per fare il loro gioco!
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Lirredentismo albanese: garibaldini o marines?
Cè semmai da stupire ove si consideri come l"esplosione del Kosovo", da annissimi preannunziata e preparata nel cuore delle metropoli imperialiste, abbia tardato a darsi secondo i disegni dei suoi registi. Ciò si deve, secondo noi, da una parte agli strascichi ancora operanti dei tentativi titoisti di migliorare realmente, sotto ogni aspetto, le condizioni di esistenza delle popolazioni kosovare, comunque fruitrici di standard di avanzamento economico, culturale, sociale relativamente notevoli, dallaltra alla constatazione de visu degli effetti della "liberazione coloniale" dal cosiddetto comunismo registrata in Albania. E questa considerazione copre ancor più di vergogna la politica di Milosevic che costringe, in un certo senso, i kosovari alla disperata deriva nazionalista, prima dietro i martinlutheriani Rugova, poi dietro gli irrendentisti più esagitati, infine direttamente dietro le bandiere della "Grande Albania"... a stelle e strisce, saltando direttamente anche Tirana.
La nostra condanna di Milosevic è inequivocabile e totale, ma non ha nulla a che fare con le rivendicazioni democratiche della "libertà del Kosovo". Non cè, oggi, e qui, nel cuore dellEuropa, nessuna neopatria che possa rivendicare il proprio "diritto allautodeterminazione nazionale" quasi fossimo a metà Ottocento. Non è un caso che, qui ed oggi, lirredentismo kosovaro sia foraggiato, armato e diretto dalle centrali imperialiste e che i suoi "legittimi" governi si eleggano "clandestinamente" (alla faccia dellocchiuta ed onnipresente polizia di Belgrado!) in Kosovo, ma abbiano sede in Germania, così come non è un caso che i poteri dellAlbania (sanciti da libere elezioni) abbiano sede formalmente a Tirana, ma sotto stretta giurisdizione altrui. I "garibaldi" albanesi disibernati in questo 1998, se mai ce nè, dovrebbero accorgersi che non cè alla vista nessuna patria sovrana per cui combattere e che le grandi e piccole Albanie risultano già tutte occupate dallimperialismo. Un vero Garibaldi kosovaro correrebbe, per prima cosa, ad assestare dei calci in culo ai "compatrioti irredenti" che, in ispregio a Milosevic, ricevono i fondi dalla Germania, si fanno armare ed addestrare dalla Nato, invocano gli Usa a intervenire in loro aiuto estendendo ulteriormente il proprio controllo-dominio su tutti i Balcani. Se cè un canto "Va fuori straniero" da intonare esso va intonato sì contro i Milosevic (non contro "i serbi"), ma solo in quanto pedina del vero invasore numero uno installato nelle metropoli occidentali. Se cè una causa giusta dei diritti nazionali albanesi da difendere, questa può essere difesa solo in una prospettiva internazionalista di classe, in grado quanto meno, in prima istanza, di abbracciare linsieme dei Balcani.
Provatevi, a riprova di ciò, a scorrere il documento delle "organizzazioni non governative e associazioni di base" Per una soluzione pacifica nel Kosovo (pubblicata e fatta propria dal manifesto, 14 marzo). Che vi si dice? Che "la questione del Kosovo è una questione internazionale" (leggi: nostra, del nostro imperialismo, non dei kosovari); che occorre "premere con la massima forza sul governo della RFJ... anche tramite la reimposizione delle sanzioni economiche" (utili alla dieta snellente delle popolazioni); idem "un Kosovo smilitarizzato" (dalle forze di polizia della RFJ e da quelle dellUCK irredento), ma per "organizzare laccesso delle organizzazioni internazionali umanitarie" e "assicurare una presenza internazionale", con tanto di "osservatori dellOCSE" e un "Alto rappresentante internazionale... con un mandato forte" e una "conferenza governativa internazionale sui problemi regionali dei Balcani". Cioè: via voi che ci mettiamo noi, perché è "questione nostra" e tocca a noi "governarla". Bibbia, fucile e alcool, come ai bei vecchi tempi, con in più droga, prostituzione, aziende a basso costo etc. etc.
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Patrie fuori tempo massimo e internazionalismo proletario
Noi diciamo -e pazienza se tutto ciò può sembrare inattuale od inattuabile-: la questione del Kosovo e dintorni è una questione internazionale del proletariato e delle masse oppresse con esso che debbono saper ritessere al proprio interno fraterni legami di solidarietà e lotta, ingaggiando una lotta a morte contro loppressione borghese interna di Belgrado e il falso richiamo nazional-indipendentista dei "garibaldi" a servizio dellOccidente; combattiamo i Milosevic proprio perché sia tolto ogni alibi pretestuoso alla pretesa interventista qui dellimperialismo. In questa battaglia va rivendicata per gli albanesi del Kosovo la pienezza degli "eguali diritti nazionali" che solo il socialismo può assicurare in quanto strumento di una realmente libera cooperazione sociale onniculturale, onninazionale, onnirazziale. Rinvio al socialismo e intanto ciccia? No. Unorganizzazione marxista in Serbia affermerebbe concretamente già oggi tale traguardo chiamando subito a sé i fratelli di classe kosovari, dissociandosi apertamente e frontalmente dalla politica di oppressione nazionale di Belgrado, affermando che il nemico principale è in casa nostra, infischiandosene del pericolo per il "nostro stato" di perdere il Kosovo e non prendendo in nessun caso il fetido "irredentismo" kosovaro a giustificazione per far blocco con le proprie classi dirigenti borghesi. Non si tratta di rivendicare un "diritto allautodecisione" fuori gioco e neanche "eguali diritti democratici" sotto lunitarismo serbo, ma di tagliare concretamente lerba sotto ai piedi di tale "irredentismo" nellunico modo possibile, con la dissociazione sino in fondo del proletariato serbo dall"amministrazione" borghese, forzatamente nazional-oppressiva, della questione-Kosovo: se già il fuocherello democratico borghese della lotta resistenziale era riuscito a risolvere, almeno provvisoriamente, il problema "nazionale", perché mai non lo potrebbe una vera rivoluzione di classe?
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Vogliamo aiutare i kosovari? Fermiamo lintervento occidentale nei Balcani!
Altrettanto chiaro devessere poi -e non cè nessuna contraddizione- che noi qui, nelle metropoli, dobbiamo vigorosamente batterci contro il "nemico principale di casa nostra". Qualsiasi tipo di intervento occidentale nel Kosovo va contrastato energicamente, perché contro i nostri fratelli di classe del Kosovo, della Serbia e di noi stessi, specialmente se sotto programmi e vesti "umanitarie". Significa ciò lasciar le mani libere a Milosevic? Questo può darlo ad intendere solo chi astragga (e si astragga) dalla battaglia internazionalista, lì e qui. Lintroduzione della "variabile" comunista muta la struttura ed i destini del gioco. Non ce la volete introdurre? Ed allora sappiate che le mani legate a Milosevic saranno solo mani più libere per i peggiori, autentici criminali, a spese di tutti gli oppressi, del Kosovo, dei Balcani, di qui.
Sappiamo benissimo che i (pochi) "comunisti" jugoslavi denunziano giustamente lattacco imperialista alla Serbia, che passa oggi per il Kosovo (e non è finita ancora!), ma lo fanno schierandosi con ciò "tatticamente" con la borghesia di Milosevic, il che significa: schierando contro il comunismo proletari serbi e, simmetricamente, proletari kosovari consegnati all"irredentismo". In un empito di sovrana follia, costoro accedono persino alla più sporca e suicida propaganda del regime di Belgrado, quella contro il "pericolo islamico contro lOccidente", in forza del quale Milosevic vorrebbe proporsi quale "antemurale"... del Cristianesimo e dellOccidente riconosciuto e premiato in tal veste da chi oggi lo affama e gli spiana contro il fucile. Lo stesso schieramento "tattico" viene proposto in Italia da "comunisti" minorati più che minoritari sia pure con giri di parole più eleganti (visto che qui non occorre tanto sporcarsi bocca e mani). Un "anti-imperialismo" eretto su simili "buone intenzioni" vale solo a deprimere il nostro fronte di classe, e noi diamo a esso la risposta chesso si merita.
Col nostro metodo "corretto, ma inefficace" non caveremo un ragno dal buco? Registriamo, intanto, che, a più riprese, la nostra azione in merito al "groviglio balcanico" ha toccato proletari nostrani, della Jugoslavia, dellAlbania. Il nostro messaggio inequivoco è arrivato ad essi. Sarà faticoso, sicuramente, digerirlo, ma, sulla base dellesperienza disastrosa di tutte le altre più facili vie prospettate in nome della democrazia, della pace, del progresso, chi lha inteso e se ne ricorda saprà trarne le debite lezioni. Il linguaggio dellOCI sarà pure ancor flebile, ma comprende e unifica italiano, serbo, albanese e ogni altra possibile lingua e pelle. Possiamo sperare e lottare perché esso divenga più forte; non ne conosciamo altri che non ci portino a un comune disastro!