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Crisi nel
Sud-Est asiatico

  SCHEDA:
  IL KCTU, LA COREA E IL FMI

 

Quando cominciarono a essere note le richieste del Fmi per "aiutare" la Corea del Sud precipitata nella crisi valutaria e finanziaria, il Kctu propose al governo di discutere un "contratto sociale tripartito" (governo, imprese, sindacati) per affrontare la crisi basandosi su un "vero consenso sociale". Innanzitutto chiedeva di rinegoziare l’intesa con il Fmi e di avviare una politica che non avesse alcuna indulgenza con il grande padronato dei chaebol (enormi conglomerate piene di debiti, che hanno dato grande impulso allo sviluppo industriale coreano e grandi profitti ai loro padroni, assistiti e foraggiati dallo stato, cui erano legati da lacci densi di corruzione e scarsa trasparenza) e che non scaricasse "il fardello della crisi sulle spalle dei lavoratori". Il Kctu respingeva la nuova proposta avanzata dal governo di una legge che rendesse più agevoli i licenziamenti di massa, e articolava una sua proposta in 14 punti. Tra questi vi erano: proposta di risparmi sulle spese militari e sui contributi governativi al mantenimento delle forze americane in Corea; incremento delle entrate sottoponendo ad affitto i terreni utilizzati dagli americani e a una imposta i profitti legati ai movimenti di capitale; riforma dei chaebol con una legge che imponesse ai loro capi una chiara responsabilità civile e penale, riservando i loro guadagni accumulati al ripagamento del debito estero e inserendo nella proprietà delle aziende anche i dipendenti. Un intero capitolo della proposta era riservato alla "Sicurezza dell’impiego e stabilità dei salari": no alla legge sui licenziamenti, no al lavoro interinale, riduzione dell’orario di lavoro, misure per alleviare la disoccupazione, con una sorta di cassa integrazione di un anno e un fondo di 10 mld di won, riduzione delle tasse sul salario per compensare la perdita causata dall’inflazione. In cambio i sindacati avrebbero dovuto impegnarsi a evitare richieste di aumenti salariali eccessivi e a incrementare la produttività. Per tutta la durata della crisi corrente i tre soggetti avrebbero dovuto affrontare tutti i problemi tramite una "Commissione tripartita per la gestione della crisi economica e la sicurezza dell’impiego".

Questa proposta fu presentata al governo ancora in carica, prima dell’elezione di Kim Dae Jung il 18 dicembre, e del suo insediamento all’inizio del ’98. Le risposte governative, pur evitando una rottura immediata (per paura che si infrangesse la pace sociale), furono fumose e attesiste, ma basate sul fatto che era il Fmi a imporre determinate politiche, pena la non corresponsione degli "aiuti". Il Kctu si rivolse, allora, direttamente al Fmi e al governo Usa con una lettera del 17 dicembre. Nella lettera si dichiarava in premessa che: "Il popolo e i lavoratori coreani non possono non temere e non sospettare che il pacchetto del Fmi rappresenti gli interessi di chi vuole il collasso dell’economia coreana per stabilire le proprie posizioni di dominio in Corea." e "per avere informazioni sugli intenti del Fmi e degli Usa che lo controllano" rivolgevano a entrambi alcune domande, che riguardavano la richiesta di estrema liberalizzazione del mercato dei capitali e del mercato del lavoro. In chiusura si invocava la necessità di dialogo e consultazione, ma si dichiarava la decisione del sindacato "a difendere i diritti e il benessere dei lavoratori e del popolo coreano" se le condizioni e obiezioni del Kctu non fossero state tenute in debito conto.

Il 7 gennaio una lettera dagli analoghi contenuti veniva spedita direttamente al Direttore generale del Fmi, il francese Camdessus, con la richiesta di incontrarlo. Pochi giorni dopo, il 13 gennaio, Camdessus incontrava, a Seoul, i sindacati coreani. Alla richiesta di questi di esplicitare se fosse davvero il Fmi a porre la condizione della legge sui licenziamenti, questo alto burocrate dei santuari dell’imperialismo rispondeva ineffabile: il Fmi sa che in Corea esiste già una grande flessibilità del mercato del lavoro (il 45% degli occupati è a tempo determinato, part-time, ecc.) e sa anche che esiste una sentenza della Corte Suprema che rende possibili pure i licenziamenti degli occupati a contratto a tempo indeterminato, e, quindi, non ha fatto esplicita richiesta al governo coreano di accelerare il varo di un’ulteriore legge. Evidentemente, aggiunse, il governo coreano preme per farla perchè vuole tranquilizzare le imprese internazionali che, pronte ad acquisire quelle locali, vogliono essere certe di poter ristrutturare e licenziare senza alcun vincolo. Per il resto, Camdessus dichiarò la sua ferma convinzione che la soluzione di tutta la vicenda della crisi coreana si può trovare solo con la consultazione e l’accordo sociale tripartito.

Tutto quanto precede è tratto dai documenti del Kctu presenti sul sito Internet a metà aprile, alcuna traccia né delle posizioni del Kctu, né dell’incontro con il Fmi si rinviene nella stampa italiana e in quella internazionale più "autorevole". Quel che segue, invece, è stato ricostruito dagli striminziti cenni apparsi su queste ultime.

Una sorta di accordo tripartito è stato messo in piedi e sottoscritto all’inizio di febbraio. Il governo otteneva di varare la legge (subito recepita dal parlamento) che consente i licenziamenti di massa in caso di ristrutturazione e in cambio concedeva ai sindacati la piena legalità della loro azione, consentendogli di fare anche politica, e un fondo per la disoccupazione. Ma il direttivo del Kctu respingeva a larga maggioranza l’intesa, i vertici si dimettevano e i nuovi vertici proclamavano uno sciopero generale per il 13 febbario, affermando (il manifesto, 13.2) che "il piano del governo imponeva sacrifici eccessivi ai lavoratori, togliendo troppo poco ai grandi conglomerati". Il governo dichiarava illegale lo sciopero e minacciava arresti in massa per i partecipanti. Dall’interno del sindacato davano l’adesione allo sciopero in 100.000 su 550.000 iscritti. La Borsa, percependo l’inizio di un duro scontro sociale, cominciava a perdere colpi. All’ultimo momento, però, il Kctu sospendeva lo sciopero. Qualcuno dei suoi dirigenti (dimissionari o nuovi?) è persino apparso in tv (cosa mai avvenuta prima) per comunicare la decisione, motivando -secondo il sole del 13.2- che: "il momento dello sciopero era sbagliato per un tale movimento di protesta, vista la crisi economica attraversata dal paese".

Asiaweek del 27.2 commenta: "Una maggiore crisi è stata evitata- per ora". Sì, proprio così: per ora.

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