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LA NASCITA DELL'EURO ANNUNCIA NUOVI ESPLOSIVI CONFLITTI INTERNAZIONALI DI CLASSE

 

Indice

L'euro e la guerra

 

Europa e USA, nemici di ieri e di domani

La decisione franco-germanica di marciare verso un'unica moneta europea ha una triplice valenza: antiamericana, anti-proletaria ed antiterzornondiale. Cominciamo dalla prima.

Per quanto la rettorica ufficiale non parli che di storica amicizia, gli USA sono in guerra con l'Europa da due secoli (e viceversa). Per la loro indipendenza (quella fu una guerra rivoluzionaria); poi per l'acquisizione delle loro prime colonie, rapinate alla Spagna; quindi per il primato nel mercato mondiale, strappato alla Gran Bretagna con la guerra imperialistica del 1914-18; ed infine per sottomettere al loro dominio l'intera Europa, obiettivo centrato con la vittoria nella seconda carneficina mondiale. In questa lunghissima guerra all'Europa gli USA hanno avuto costantemente la meglio, grazie anche alle immancabili divisioni e rivalità tra i paesi europei. Mai la loro vittoria fu schiacciante come nel dopo-1945 quando, a suolo europeo presidiato dalle loro truppe, effettuarono con il piano Marshall il più gigantesco take-over della storia della finanza acquisendo a sé, a prezzi di saldo, con quattro dollari eccedenti, il controllo sull'intera economia europea.

A loro volta, per la natura delle relazioni inter-capitalistiche che sono sempre relazioni concorrenziali regolate dal principio belluino mors tua, vita mea, i capitalismi europei non hanno potuto accettare supinamente le proprie sconfitte, ed hanno dovuto, più o meno a malincuore, rinnovare periodicamente la loro sfida agli Stati Uniti. Ciò è vero in particolare per il capitale tedesco, naturale candidato alla guida del mercato europeo, e per quello francese, troppo brutalmente spogliato dagli Usa sia dei suo primato morale che dei suo retroterra coloniale per non dover tentare qualche sortita anche solo parzialmente riparatrice. Ma la sconfitta degli anni '40 fu a tal punto bruciante, che non è bastato mezzo secolo di ri-accumulazione a tassi differenziali complessivamente favorevoli agli stati europei perché questa sfida fosse lanciata in modo esplicito. Ancora nella guerra del Golfo il super padrone nord-americano ha messo in riga i suoi partner europei (scornati) come fossero cagnolini da passeggio al guinzaglio '

Comunque, se non vogliono soccombere nella ridefinizione globale degli equilibri imperialisti in atto, le borghesie europee non hanno scelta: debbono rafforzare l'unità economica e politica dell'Europa, mettendo in conto un nuovo, acuto conflitto con gli USA. Ed è quanto esse hanno deliberato di fare con il trattato di Maastricht, che non a caso segue a ruota il crollo definitivo del compromesso di Yalta, che ha fatto incassare ai soli Stati Uniti tutti, benedetti e subito i cospicui dividendi della vittoria nella guerra fredda. e l'annessione statunitense (di fatto) della penisola arabica. Benché obbligata. questa stretta dell'unità europea è fragile.

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Perché l'euro nasce debole

Lo è già nel suo asse portante franco-tedesco, minato dalla vecchia e mai superata refrattarietà di Parigi ad accettare il primato tedesco, ieri solo industriale-commerciale, oggi anche finanziario. E minato, anche, dalla contraddizione stridente che vede la Germania essere al tempo stesso un gigante economico, un nano politico e una nullità o quasi, sul piano militare; finanche, sotto molti aspetti, un paese non ancora del tutto riunificato, "in via di formazione", e che nonostante ciò, è necessitato ad assumersi il compito di omogeneizzare l'Europa (paradosso non da poco: proprio il paese destinato" ad essere il capofila del processo di unità, è tra i più esitanti a spingerlo in avanti).

Compito proibitivo omogeneizzare un'Europa che è strutturalmente molto eterogenea (Mittel-Europa da un lato, Europa mediterranea dal l'altro), e che, mentre continua ad essere una giungla di nazionalismi, va pullulando giorno dopo giorno di sub-nazionalismi, regionalismi, localismi, che rendono le forze centrifughe sia a scala europea che all'interno dei singoli stati (si pensi a Italia, Belgio e Spagna), non meno forti di quelle opposte. Un'Europa che mentre ha fittissimi scambi commerciali al suo interno, manca però di una vera personalità politica comune. Che in ogni importante circostanza si mostra litigiosa e pavida davanti ai diktat statunitensi, senza vera fiducia in sé stessa, come se fosse rimasta segnata per sempre dall'essersi sottomessa, nel 19451 all'egida "esterna" (USA-URSS). Un Europa che riesce a darsi un pò di coraggio soltanto quando, come nell'ultima crisi USA-Iraq, sono gli altri a darglielo -leggi, in quel caso: la Cina, la Russia, l'Islam

Da un'Europa del genere non può certo nascere, ed infatti non nasce, una moneta forte. La Gran Bretagna (con Londra che è ancora la prima piazza finanziaria in Europa), la Svezia, la Danimarca se ne tengono fuori, e non agiranno di certo per consolidarla. La Grecia n'è stata tenuta fuori. Ognuno degli 11 paesi fondatori è spaccato al proprio interno sull'adesione all'euro con formazioni politiche di peso come i gollisti, il Fronte nazionale di Le Pen, il Pcf la Lega Nord, la Fpo di Haider in Austria e la stessa Spd apertamente ostili all'euro (per lo meno a questa euro), o "favorevoli" con mille riserve. E che riserve!, se la Spd dichiara per bocca del suo candidato-cancelliere Schroeder di "vedere venire dai paesi del Sud-Europa la minaccia di una concorrenza sleale basata sul dumping sociale e salariale (esattamente quello che tali paesi si apprestano a fare). Per non parlare della contrarietà e dello scetticismo diffusi a livello di massa sui possibili benefici dell'unione monetaria.

Difficile dire se si avvererà la previsione della Thatcher di un tonfo dell'euro entro tre anni. Perfino banale osservare che gli USA lavorano con il massimo di determinazione proprio ad un tale esito perché. per quanto debole nasca la nuova moneta europea, e per quanto improbabilissimo sia che essa possa diventare "forte come il dollaro, l'egemonia mondiale del dollaro ne riceve un colpo. Oggi il 14% delle transazioni commerciali mondiali avviene in marchi; l'euro non potrebbe che allargare questo raggio d'influenza, con conseguenze di enorme portata sul mercato mondiale dei capitali dal quale Washington attinge senza alcuna limitazione da cinquant'anni. Se pure dovesse sgretolarsi la friabile intesa a 11, restando invece in qualche modo unito il nucleo duro centro-europeo, il danno al primato di Wall Street ed alla pace sociale nel Nord-America sarebbe molto grande. "L'arrivo in scena della prima moneta realmente in grado di sfidare il dollaro in questo dopoguerra renderebbe di certo più difficile all'America governare i suoi illimitati deficit delle partite correnti, o l'esercizio incontrastato della leadership del sistema finanziario mondiale" ("The Economist", 11 aprile). Con pesanti conseguenze sia sul finanziamento dello stato e delle imprese, sia su quello delle famiglie dei salariati. il cui debito è arrivato nel 1996 al 93% del loro reddito disponibile (era al 53% quarant'anni fa).

Ecco perché arrivano d'oltre Atlantico bordate di inaudita violenza contro la nascita dell'euro, specie dopo che si è persa la speranza di poterne ottenere il rinvio o il ridimensionamento. Bordate che (vedi il riquadro) arrivano a preconizzare la guerra in Europa tra i paesi dei Nord e quelli del Sud, -su cui la Casa Bianca sembra fare, a ragion veduta, buon affidamento, e una nuova guerra tra America ed Europa, eventi tra loro, evidentemente, legati. E di questo, in sostanza, si tratta: della ri-spartizione del mercato mondiale tra i massimi stati-briganti, con l'insieme dei mezzi e dei metodi propri di tale ri-spartizione (su questo fronte va segnalato che nel 1998 il Pentagono, dopo un decennio di riduzioni di spesa, riprenderà ad incrementare soprattutto le spese per i nuovi armamenti).

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Dal welfare state al... warfare state

Se è così, dovrebbe risultare evidente anche il carattere anti-proletario dell'intesa sull'euro e della prospettiva di un "Europa fortezza". Che consiste anzitutto nel tentativo di coinvolgere il proletariato delle nazioni europee in questa contesa all'ultimo sangue contro altri proletari per conquistare all'Europa il primato nello sfruttamento del lavoro sociale mondiale.

I governi e le forze di governo tutte, da Kohl a Jospin. da Prodi fino agli europeisti de "il manifesto", rivolgono ai lavoratori europei il seguente "succulento" invito sciovinista: "L'Europa ci fornisce un'opportunità storica: metterci alla pari con gli USA. Collaborate anche voi a tradurre questo antico sogno in realtà, e l'unione europea, la civiltà europea, sapranno ripagarvi moralmente e materialmente come meritate delle rinunzie di oggi". E' l'invito ad arruolarsi nella competizione con l'America sui mercati, ed al contempo a partecipare alla "necessaria" azione di schiacciamento delle masse supersfruttate dei Terzo Mondo, condizione irrinunciabile per un'Europa davvero stabile e forte. L'invito a costruire un'Europa fortezza, non perché chiuderà ermeticamente le sue porte alla immigrazione terzomondiale che le è, invece, vitale, purché sotto controllo; quanto perché maggiormente cementata e socialmente coesa in vista di un nuovo assalto alle proprie ex-colonie da ri-colonizzare.

La complicazione che le borghesie europee si trovano davanti è che per attrezzarsi alle sfide della globalizzazione e tanto più a quelle di un nuovo scontro diretto con gli USA, è inevitabile un passaggio di nuovi sacrifici. I vincoli posti da Maastricht sono questo, non altro, e non si voglia dare ad intendere, che "ora entriamo accettando le regole, poi le rinegozieremo" (Nesi). Questa è una buffonata allo stato puro, perché nessuna l'Europa sociale" pre1975 è rieditabile. Nessun reale riformismo operaio avrà spazio nel nuovo contesto unitario. Ci saranno solo nuovi arretramenti della condizione proletaria. Cofferati mente spudoratamente quando garantisce che l'epoca delle stangate è finita" proprio nel mentre CGIL CISI e UIL danno il via libera alla ricontrattazione peggiorativa degli accordi del luglio 1993. Il governatore di Bankitalia indora un po' meno la pillola quando parla dell'"era dell'euro" come di un purgatorio, e avverte, con il FML gli eurocrati di Bruxelles e tutti i grandi tagliatori di cedole, che nuovi tagli alle pensioni e alla spesa sociale sono, in base alle leggi di mercato, inevitabili.

E lo sono, in effetti, specie in un'Italia che è nell'euro sotto una speciale sorveglianza, "blindata" da chissà quali oscuri sadismi anti-italiani di Waigel e soci, bensì a causa del suo enorme debito statale e della sua debolezza finanziaria e politica. Graziata, per il momento, con la rateazione del costo dell'ingresso nell'euro, che però dovrà esser pagato. In proposito, la previsione più realistica è quella della Lega. La stabilità dei cambi sarà destabilizzante per la piccola-media impresa padana. Non sarà più praticabile, infatti, quella svalutazione competitiva a cui tanto si deve, in una con il sotto-salario e il sovraorario, delle fortune padan-nordestine degli anni '90. L'unicità della moneta farà emergere gli effettivi valori in campo. Fine dei trucchi. Il grado di capitalizzazione al di sotto della media europea, l'inefficienza della burocrazia e l'onere del debito saranno altrettanto piombo nelle ali delle imprese del Nord, i cui movimenti verso Est e verso Sud stanno, inon per nulla, intensificandosi (in attesa di poter impiantare la Slovenia o la Romania, Crotone o Manfredonia, in Padania). Tanto che a forza di tagli di spesa si rimanga nel euro, quanto che se ne venga esclusi in mancanza di essi (nel qual caso la secessione del Nord avrebbe un'incontrollabile accelerazione), per i lavoratori del Nord e del Sud; saranno cavoli acidi, altro che coppe di champagne!

E nondimeno si dirà loro che al di qua dell'Europa c'è solo il baratro, il Terzo Mondo della povertà generalizzata, e che dunque non c'è alternativa migliore a quella della costruzione di un imperialismo europeo "unitario" (posto che per tutti, e per le "sinistre" in primis, l'alternativa comunista - quanto mai necessaria e possibile! - è rigorosamente bandita). Conquistiamoci insieme i dividendi che spettano all'Europa unita, e poi ci sarà di che dividere!

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Le consegne di classe

Dunque: valenza squisitamente anti-proletaria e anti-terzomondiale di Maastricht e dell'euro... Ma allora perché d'oltre Atlantico, come in Europa, c'è chi grida addirittura al pericolo sovietico? "La moneta unica è un soviet", sentenzia M. Friedman, non si sa se prima o dopo che lo dicesse Beppe Grillo. Sebbene paia una boutade da avanspettacolo, è un'associazione di termini completamente plausibile. Quello che teme la grande borghesia degli USA, al pari di quella europea -peraltro- che cerca di consorziarsi anche per assicurarsi solidalmente contro il pericolo sovietico, quel che fa vedere rosso alla piccola borghesia arrabbiata d'Italia o di Austria (J. Haider ha parlato di un'Europa che nasce "socialista") o quant'altro è che l'unificazione monetaria, omogeneizzando in qualche misura le stesse condizioni sociali e normative nei diversi paesi europei, favorisca l'unificazione del proletariato europeo, il che -giustamente sul piano storico- viene associato alla prospettiva sovietica. L'attacco allo statalismo, al "socialismo", al burocratismo, e addirittura al "feudalesimo transnazionale", in nome del massimo di liberalismo, di flessibilità e di rispetto delle diversità nazionali è un attacco mirato a demolire il potere di condizionamento che la classe operaia europea può avere all'interno della costruzione dell'Europa, anche in conseguenza della creazione di una dinamica centripeta più complessiva che attraversa il territorio sociale europeo.

E' proprio questo, invece, l'anello che l'avanguardia di classe deve afferrare con forza, contrapponendo alle politiche scioviniste delle borghesie e delle socialdemocrazie europee capaci solo di dividere e contrapporre tra loro i lavoratori (anche nel mentre sospingono in avanti l'unità europea), una politica che avvicini ed unisca le diverse sezioni del proletariato. Questa battaglia di classe, mentre è chiamata ad utilizzare tutte le potenzialità unitarie che il processo di unificazione capitalistica dell'Europa contiene, non deve "chiudersi", neppure sul mero piano "tattico", in formule di azione delimitate all'Europa. Al contrario, deve sapersi proiettare immediatamente al di là dei confini europei verso le masse sfruttate del Terzo Mondo, che gli stati imperialisti europei tiranneggiano e spellano, verso gli immigrati presenti in Europa, verso i proletari statunitensi e giapponesi che stanno faticosamente reimparando a lottare.

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L'euro e la guerra

L'establishment statunitense è totalmente ostile alla nascita dell'euro così come a ogni, pur malcerto, rafforzamento del processo di unità" europea, poiché vede in ciò- e come dargli torto?- una minaccia gravissima all'egemonia statunitense nel inondo, indivisibile spaziovitale dell'imperialismo del dollaro.

Il compito di dichiarare tale ostilità se lo è assunto Martin Feldstein su "Foreign Affairs" di novembre-dicembre 1997 intitolato senza reticenze L'euro e la guerra, che inizia con le seguenti parole: "Alla maggior parte degli americani l'unione economica e monetaria europea appare come un 1 oscura impresa finanziaria che non avrà alcun effetto sugli Stati Uniti . Una simile percezione della cosa non è per nulla corretta. Se l'euro vedrà la luce.come sembra sempre più probabile, esso trasformerà il carattere politico dell'Europa in modo tale che potranno nascere conflitti in Europa e scontri con gli Stati Uniti" (p. 60). Conflitti e scontri che, in entrambi i casi aggiunge il nostro, possono anche portare alla guerra (non soltanto quella economica, ma quella militare) in Europa e in Occidente.

Gli Stati Uniti hanno interesse, sostiene Feldstein, ad essere l'ago della bilancia negli "inevitabili conflitti" infra-europei, e cioè ad attizzarli. Per questo non dovranno permettere all'autorità centrale di Bruxelles di "intromettersi" nelle relazioni tra Washington ed i singoli stati europei, con cui gli USA dovranno continuare a mantenere rapporti diretti "individuali". Inoltre, essi debbono dare per scontato che l'Europa noti sarà più una loro alleata nelle relazioni con i paesi terzi che, anzi, molto probabilmente essa "potrà cercare alleanze e perseguire politiche che sono contrarie agli interessi degli USA"; e che infine questa rotta di collisione tra Stati Uniti ed Europa si accentuerà se l'unione monetaria europea andrà avanti e si trasformerà in una vera e forte unione politica. In questa ipotesi, conclude Feldstein, "il mondo diventerà molto diverso da quel che e, e non sarà necessariamente più sicuro" (p.73). Una previsione ovvia per quanti hanno a mente la storia dell'imperialismo e insieme una nuova, sanguinaria minaccia agli ex alleati fedifraghi che è sommamente istruttivo si sia sentito la necessità di formulare ora (fine 1997), in una sede semi-ufficiale ('Foreign Affairs") e da parte di un uomo vicinissimo alla Casa Bianca.

Tra le due "nuove" guerre che si profilano all'orizzonte, la guerra in Europa e la guerra Europa-USA, noi-USA, dice Feldstein, dobbiamo puntare decisamente sulla prima.

Se noti dovessimo farcela se l'Europa dovesse diventare realmente unita sul piano politico, prepariamoci fin d'ora all'inevitabile scontro con essa. Nulla di diverso la Albright ha dichiarato a "U.S. News and World Report": "i nuovi raggruppamenti economici e monetari sono, per il prossimo secolo, l'equivalente delle alleanze militari del passato e la sicurezza globale dell'imperialismo Usa dev'essere "costruita su questi nuovi parametri, e cioè contro l'Europa.

Il terzo grande assalto yankee all'Europa è cominciato. In esso, già nella sua fase preparatoria, i comunisti e il proletariato dei paesi europei non dovranno certo fare fronte comune con i "propri" stati imperialisti in difesa della" pacifica" Europa "aggredita", né -meno ancora- lasciarsi intruppare in un secondo, vergognoso fronte di guerra con l'imperialismo più forte contro il "risorgente egemonismo germanico (come già si sente

criminalmente sussurrare a "sinistra"); dovranno fare causa comune, guerra rivoluzionaria comune al sistema capitalistico tutto, insieme con i comunisti e il proletariato statunitense (che già sa inviare qualche sua piccola pattuglia a gridare, contro la propria borghesia stop imperialism!), spalla a spalla con i comunisti e il proletariato del mondo intero.

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