Lettere |
Da Rifondazione al dialogo stretto con lOCI,
evitando il pantano della Confederazione...
Accogliamo con un caloroso saluto la lettera dalla Toscana
che pubblichiamo in questa pagina. |
Cari compagni,
scrivo questa lettera per sottolineare il contributo ricevuto dal vostro giornale e dal confronto con i compagni dellOCI per la maturazione delle mie attuali posizioni politiche. Sono stato militante per anni di Rifondazione Comunista e ho partecipato al dibattito costitutivo della Confederazione dei comunisti/e autorganizzati, a cui avevo inizialmente aderito, pur con dei dubbi, fiducioso che la critica alla politica "ulivista" delle compatibilità capitalistiche di RC avrebbe necessariamente portato su sponde rivoluzionarie di classe.
Ecco il punto: laver sciolto questi dubbi mi ha, di fatto, avvicinato alle posizioni della vostra organizzazione e mi ha indotto a ritirare ladesione alla Confederazione per ragioni di coerenza.
Questo processo è passato attraverso varie fasi di confronto e di verifica, ma soprattutto ha avuto il suo cardine nella difesa rigorosa e puntuale dei principi di classe con cui, dagli articoli del giornale alle discussioni con i vostri compagni, si argomentavano le critiche alla Confederazione. Si ristabilivano così le giuste coordinate per chi, non volendo abbandonare la militanza politica e "tornarsene a casa", voleva guardare avanti partendo però da un bilancio impietoso delle esperienze riformiste, in tutte le varianti possibili e immaginabili (Rifondazione Comunista compresa).
A partire da questa discriminante cè stato innanzitutto il confronto sullanalisi fatta dai "Confederati" della crisi capitalistica. Questo è stato, assieme ad una riflessione seria e conseguente sul fenomeno non tanto della Lega Nord, quanto del "leghismo" nelle sue svariate versioni, un punto fondamentale per poi, via via, trarre le dovute conseguenze su tutto limpianto di fondo del loro documento costitutivo. Nellanalisi della crisi capitalistica i "confederati" si limitano allindividuazione sommaria dei processi della mondializzazione, fotografando il campo nemico, parlando solamente di "concorrenza interimperialistica", ma sfuggono dallindividuare il vero soggetto sociale antagonista: il proletariato mondiale (questa sottolineatura e le successive sono nostre), chiamato dalla storia delle lotte di classe ad abbattere il capitalismo, la borghesia e la sua dittatura di classe. Questo dato di fatto non è riconducibile ad una dimenticanza: si spiega con il codice genetico di questi "neo-comunisti", là dove questa omissione li rivela come degli interclassisti, degli immediatisti e spontaneisti di vecchia memoria, dei comunisti-nazionali che riducono la lotta di classe mondiale a scontro fra stati.
Bene ha fatto il "che fare" a dedicare due pagine del n° 45 di critica al documento costitutivo del "nuovo soggetto politico comunista": esse rappresentano un contributo fondamentale per uscire dalle pastoie in cui molti sinceri militanti stanno di nuovo precipitando. Non è un caso che molti di questi sono già chiamati a sostenere liste lettorali della Confederazione, a partire da quelle comunali, e a sostenere il "referendum" sul pacchetto Treu e la legge Bassanini, con largomentazione che "bisogna pur fare qualcosa", nella consapevolezza che "lo strumento referendario non è certo quello più avanzato. Se lo usiamo oggi è solo perché lassenza delle lotte, lo sbandamento del proletariato, il clima di pace sociale imposto dal centro-sinistra costringono a ripartire da un livello di mobilitazione e di consapevolezza molto arretrato" (dal volantone nazionale di propaganda della campagna referendaria).
Pruriti di concretismo! Necessità di dare spazio a tutto e a tutti; in perfetta conseguenza con la concezione della Confederazione come "forma pluralista anche se non eclettica" (bontà loro!).
I comunisti non sono per le forme pluraliste, ma per forme centralizzate e autonome di organizzazione del proletariato. I comunisti hanno un programma che deve essere dichiarato apertamente. I comunisti non sono nazionali, ma internazionalisti, non hanno una patria o una nazione, se non il mondo. I comunisti si organizzano in partito per abbattere il dominio borghese, lo stato borghese, e per affermare il dominio del proletariato e del suo stato, cominciando col fare i conti con le proprie borghesie nazionali e imperialiste. E qui che si arriva prepotentemente ai nodi da sciogliere per i comunisti.
Ho cercato con una presa di posizione scritta e fatta circolare tra i compagni della Confederazione di Lucca, di fornire loro alcuni elementi di riflessione. Ma la battaglia va fatta nella classe, nella nostra classe: il proletariato.
Vorrei ora entrare ancora di più nel merito della critica sviluppata al documento costitutivo della Confederazione. Il documento non esprime una visione internazionale di classe che tenga conto dellantagonismo crescente: le lotte proletarie nel sud-est asiatico, dalla Corea allIndonesia; la ribellione allattacco imperialista delle masse lavoratrici e sfruttate arabo-islamiche; un ritorno alla lotta del proletariato "bianco" e "nero" nel cuore degli USA; la lotta armata nel sud America e in Messico; la rivolta in Albania; le lotte in Francia, compresa lultima dei disoccupati; le deboli e pur significative risposte di settori di lavoratori e di disoccupati in Italia; la grande volontà di lotta espressa sotto le bandiere della Lega di una parte del proletariato del nord a cui i "comunisti" non possono continuare a dare risposte che finiscono per difendere il tricolore e la Costituzione. Ciò in definitiva significa sostenere lattacco al lavoro e allunità (questa volta si allunità) del proletariato, operazione a cui punta anche la Lega Nord, come forza reazionaria del capitale: dividere per meglio sfruttare.
La borghesia ha creato il mercato mondiale, ma deve ridurre allimpotenza la classe che essa stessa ha creato, il proletariato mondiale, sulla quale deve scaricare il peso delle sue contraddizioni e della sua crisi. Una crisi che è arrivata ad un punto di non ritorno, che è portatrice di conflitti su vasta scala e di attacchi furibondi alle condizioni di vita e di lavoro di milioni di donne e uomini. È una crisi epocale e mondiale che pone al centro linevitabilità dello scontro tra proletariato e borghesia, la cui posta in gioco è: socialismo internazionale o barbarie imperialista.
A questo dato oggettivo, già analizzato e previsto da Marx e Engels nel 1848 nel Manifesto del Partito Comunista, si deve riferire il dato soggettivo di una forza organizzata che vuole divenire partito di classe. Altrimenti il proletariato che spontaneamente lotta e resiste allattacco e alla rapina capitalista si organizza sotto bandiere sbagliate, cedendo alla divisione che gli viene imposta e accettando la politica del "meno peggio". Un soggetto comunista deve allora nascere su queste solide basi e avere questo carattere internazionale e internazionalista: battaglia unitaria anticapitalista; mobilitazione per la saldatura della lotta antimperialista delle masse arabo-islamiche, dallAlgeria allIraq, e il proletariato occidentale delle grandi potenze, attraverso un appoggio incondizionato a quella lotta perché il processo di liberazione sia definitivo; unità di classe tra le masse lavoratrici del "sud" del mondo e il proletariato metropolitano. Altro che nostalgia per la perdita dellURSS, come "vantaggio" per le "grandi aree imperialiste" (vedi documento), altro che revisionismo Kruscioviano a partire dal 56!
Un soggetto politico comunista non può non avere questa visione internazionale dello scontro di classe, pena la sua collocazione in ambito nazional-borghese e/o democratico-borghese, collocazione pericolosa per le sue implicazioni nel momento in cui oggi lItalia consolida il suo ruolo imperialista, con il governo dellUlivo, appoggiato da Rifondazione Comunista.
A questo proposito è utile rileggersi i volantini diffusi in occasione della manifestazione alla base militare di Camp Darby, sullimminente attacco Usa allIraq, dove si evidenziano le varie posizioni: o insufficienza di analisi da cui non traspare lo scontro di classe, o invocazioni di controlli parlamentari sulle basi americane, o rivendicazioni di "sovranità nazionale" dellItalia (imperialista!).
Dopo decenni di deviazioni in questa direzione è ora che i comunisti, e i comunisti italiani in particolare, facciano questo bilancio. Oggi come ieri, come nella Russia di Lenin e nellInternazionale Comunista, la questione si pone su un piano di una visione internazionale dello scontro di classe e di una concezione internazionalista del partito: non ci debbono più essere mediazioni o "socialismi reali" che ci facciano in qualche modo sviare.
Il documento prosegue con laffermare "la fine del compromesso e la conseguente perdita di credibilità delle utopie riformiste" e quindi la "fine del compromesso politico istituzionale". Da questo occorre trarre le dovute conseguenze. Il riformismo ha compiuto una parabola che è giunta allepilogo: dalla lotta per il socialismo con le riforme, alle "vie nazionali al socialismo", dallabbandono del socialismo per il capitalismo dal volto umano, alla accettazione delle leggi del mercato e delle necessità del capitale nazionale cercando di attenuarne gli effetti più duri sui lavoratori. Dal PCI al PDS fino a RC è un film già visto. Nel documento si afferma che " i rappresentanti istituzionali di una forza politica quale può fare riferimento il blocco sociale anticapitalista diventano lo strumento per le proprie finalità antagoniste". Il blocco sociale (perché non il proletariato?) dovrebbe concretizzare le proprie finalità antisistemiche attraverso contropoteri rappresentati istituzionalmente. Lantagonismo al capitalismo (contropotere) è qui ricondotto alla rappresentanza istituzionale. Cosè questo se non il riproporre un percorso gradualistico e riformistico, parlamentaristico, a vari livelli, cominciando, perché no, dalle attuali elezioni amministrative?
Le derive è bene fermarle in tempo, senza alimentare equivoci, senza disperdere le poche forze su piani istituzionali che distolgono il proletariato dai suoi veri compiti, che lo indirizzano verso inesistenti scorciatoie. Non sono solo gli esecutivi il nemico di classe, ma queste istituzioni borghesi nel loro complesso (lo stato).
Nella fase attuale in cui la borghesia è diventata classe putrescente è improponibile il percorso di qualsiasi via istituzionale. Soprattutto nel momento in cui il capitale, quello finanziario in particolare, governa direttamente e cerca di gettare alle ortiche le vecchie sovrastrutture dotandosi di altre più autoritarie e ulteriormente centralizzate agli istituti mondiali come il Fondo Monetario e la Banca Mondiale.
Occorrerebbe rileggere Lenin al 2° congresso dellInternazionale Comunista "su partiti comunisti e parlamentarismo". Già allora si denunciava il "mutamento avvenuto nel ruolo del parlamento", legandolo alla perdita, per tale strumento, di una funzione "storicamente progressiva" del capitalismo in ascesa. Nellepoca dellimperialismo e in un paese che fa parte del cuore dellimperialismo occidentale, questa posizione appare come la stella polare dei comunisti. Ben altra cosa è luso tattico della lotta parlamentare che lI.C. lega alla "esistenza di un partito comunista forte, centralizzato, in grado di maneggiarla ai propri fini (tattica-piano, non tattica-processo autonomo e spontaneo)". Il partecipare alle campagne elettorali non rafforza certamente lorganizzazione di classe, anzi la indebolisce (vedi per esempio i due referendum succitati, Treu e Bassanini, indetti dalla Confederazione a partire dallassemblea nazionale di Firenze del 7 Febbraio).
Lo stesso significato può assumere una battaglia in difesa della Costituzione nata dalla resistenza contro le istituzioni autoritarie della cosiddetta II Repubblica. Bisogna guardare avanti. In prossimità dello scontro epocale che ci sta di fronte per i comunisti è decisivo riproporre la contraddizione principale tra capitalismo e socialismo e non certo tra forme diverse di Stato borghese (la I e la II Repubblica, uno stato democratico borghese e uno stato più autoritario).
Quindi riformismo o rivoluzione.
Anche sul processo di ricostruzione del sindacato di classe occorre fare chiarezza. A tal proposito nel documento della Confederazione si legge: "La ricostruzione di un sindacato di classe non può essere solo una esigenza, essa è la condizione imprescindibile ed improrogabile per il funzionamento di tutto limpianto strategico. Perciò o corrisponde a un percorso in atto oppure ogni ragionamento sul blocco storico e sul soggetto politico risulterebbe una semplice argomentazione accademica. Dunque partiamo da ciò che cè e su quello inneschiamo un percorso di ricostruzione". Questo ragionamento, a mio avviso, va rovesciato.
Pre-condizione per una politica sindacale di classe è sciogliere i nodi sul piano politico complessivo rispetto alle compatibilità capitalistiche. Ciò non vuol dire meccanicamente ricostruire il partito comunista e poi il sindacato di classe. A prescindere da dove sono organizzati (nei sindacati confederali o negli extra-confederali) i comunisti devono dotarsi di una politica che punti allo scontro con le compatibilità (inutile ripetere lanalisi sul neo-corporativismo concertativo di CGIL-CISL-UIL). Allora compito dei comunisti è stare nelle lotte che ci sono, è tessere lunità di classe contro lattacco dei padroni basato sulle divisioni, sulla precarizzazione, sul super sfruttamento, è unire il precario al garantito, il disoccupato alloccupato e allimmigrato, rompendo gli steccati localistici settoriali, senza concessioni a mediazioni istituzionali, cercando di unificare le più piccole lotte come le più estese, a tutto il proletariato. A tal fine occorre però centralizzare le forze alla politica, le avanguardie in una organizzazione politica omogenea, autonoma e di classe. Attraverso le lotte cresce la coscienza a patto che proceda la ricostruzione del partito, centralizzato e su scala internazionale, perché questo ce lo impone il capitale.
Alla Conferenza tenuta il 24 Febbraio 1924 alla Casa del Popolo di Roma, in occasione della commemorazione ad un mese della morte di Lenin, il relatore così si espresse: "Lopera teoretica di Lenin non può essere considerata separatamente dalla sua opera politica: le due cose si intrecciano continuamente e noi le abbiamo divise solo per formale comodità di esposizione. Mentre ristabilisce la concezione e il programma rivoluzionario del proletariato, Lenin ne diviene uno dei più grandi capi politici, e attua nella pratica della lotta di classe i principi che difende sul terreno della critica dottrinaria. Il campo di questa sua grandiosa attività negli anni della sua non lunga vita è non solo la Russia, ma tutto il movimento proletario internazionale".
Questa deve essere la nostra linea di condotta, a questo bisogna lavorare.
Saluti comunisti