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Il pantano dell’Italietta del Duemila: Rifondazione

I lumi per la Rifondazione..nelle pastorali del Vaticano

Negli ultimi tempi assistiamo a un crescendo di commoventi riconoscimenti alle più alte autorità della gerarchia ecclesiastica romana da parte dei massimi rappresentanti di Rifondazione. Cossutta e Bertinotti, infatti, fanno a gara nel tributar loro ovazioni, e scendono in campo a difendere la Chiesa quando questa viene attaccata dalla Lega Nord. Nelle feste di Liberazione e nelle occasioni televisive di confronto, i vertici del PRC si producono in goffe genuflessioni, nel tentativo di accodarsi a quelle prese di posizione nelle quali la Chiesa -attraverso i suoi rappresentanti- esprime la sua attenzione e "sensibilità" per le questioni sociali. Si guardano bene, però, dall’aprir bocca (e con quali argomenti potrebbero farlo, dopo aver buttato a mare ogni vera istanza di classe?), quando dall’eloquio dei prelati sprizza fuori, inevitabilmente, l’indirizzo classista ed antioperaio nel cui segno quell’attenzione -del tutto reale e seria- viene coltivata.

Il cardinal Martini dichiara che, governi la destra o governi la sinistra, "i poveri restano poveri, gli ultimi rimangono ultimi"? Ebbene, Bertinotti ne rimane estasiato. Al cronista della Repubblica che incalza: "Altro che Prodi, è la Chiesa il suo alleato!", don Fausto risponde con deferenza: "Diciamo una grande sintonia, una forte, profonda, radicata sintonia con quel che denuncia, con tono pacato (mi raccomando, sempre! n.) ma con rigore fermissimo, il cardinale di Milano... Un altro cardinale, Pellegrino, scrisse nella famosa pastorale (vai ancora a perdere tempo con Marx... oggi i lumi della rifondazione si trovano nelle pastorali, n.) dell’esigenza di ‘camminare insieme’. Ecco, noi camminiamo insieme". Non sarà mai troppo tardi per quel che resta dei militanti del PRC chiedersi verso dove si cammina, insieme a siffatte compagnie!

Ma un gemellaggio del tutto particolare il PRC sembra aver stretto con il cardinal Ersilio Tonini, la porpora più gettonata nelle feste di partito e l’interlocutore televisivo d’obbligo. Di quale fiore di "alleato" si tratti, lo possiamo cogliere dall’intervista che Tonini ha rilasciato a Rivista Militare (n.1, gennaio-febbraio ’97) e nella quale il prelato si dilunga in una appassionata riflessione "filosofica" sulla guerra e sul servizio militare. Sentiamo dunque l’amico dei rifondatori: "La legittimazione della guerra ha subìto una profonda crisi nei tempi più vicini a noi... Il pacifismo... ha portato alla cancellazione di principi giusti, come quello della legittima difesa... e negli anni ’60 alcune correnti politiche pretendevano il disarmo della polizia... Ma oggi abbiamo in Europa una novità assoluta: le armate che per cinque secoli si sono massacrate ‘gloriosamente’, quelle di Spagna, Francia, Inghilterra e Germania, sono adesso a Sarajevo, sono in Bosnia sotto lo stesso comando, pronte a combattere e morire per difendere Sarajevo. Si tratta di una novità immensa... Io invito i giovani a battere le mani a conquiste come questa". A Rivista Militare, che gongolante prosegue sui concetti di guerra giusta e ingerenza umanitaria, Tonini risponde: "Il destino del mondo è unico; un paese, un continente destabilizzati significano crisi del mondo intero... Ritorna il discorso della guerra, anche se in modo completamente diverso dal passato. Le Nazioni Unite sono intervenute quasi sempre laddove una maggioranza si proponeva di distruggere una minoranza. L’abbiamo visto da ultimo in Jugoslavia, dove ad un certo momento è apparso necessario l’intervento umanitario, l’uso delle armi per impedire la prepotenza sfacciata di quanti erano "padroni delle armi"". E poichè l’intervistatore incalza sul ritardo dell’intevento militare occidentale in Jugoslavia, Tonini aggiunge: "Esisteva il rischio di impelagarsi in una guerra tipo Vietnam, senza poterne poi uscire. La strategia americana, armare i croati con armi americane, si è rivelata giusta; è stata risparmiata all’Europa una sfida che essa forse non avrebbe superato". E sul ruolo degli Stati Uniti: essi sono "la potenza militare più forte nel mondo, alla quale spetta un ruolo adeguato. Penso al tentativo di Saddam Hussein di conquistare il petrolio del Kuwait: poteva essere bloccato solo attraverso un intervento internazionale guidato dagli americani". Infatti "la violenza è condanna alla brutalità" e "nel momento in cui noi abbiamo invece bandito la violenza, non possiamo più limitarci ad una condanna verbale, dobbiamo impedire che i popoli si facciano giustizia da sè. Il ruolo e la sfida dell’ONU sono ancora questi. Chi usa o pensa di usare la violenza come sistema, sappia che non gli è permesso. Per me gli interventi militari hanno questo significato".

E cosa pensa ancora Tonini su servizio di leva e servizio civile? Deve essere mantenuto "il livello necessario di potenza militare e di addestramento; ciò per essere sempre in grado di contribuire al mantenimento della pace internazionale e garantire, ove ce ne fosse bisogno, la tenuta interna del paese. La vita militare, nel quadro di un paese che ha rinunciato alla guerra e che entra a pieno titolo nel movimento mondiale a tutela della pace, deve preparare gli uomini a trovarsi in qualsiasi parte del mondo, considerandolo proprio".

Evitiamo ogni commento sulle affermazioni di Tonini. E non certo per il bertinottiano "rispetto che si deve alla Chiesa", sì invece perché convinti che soltanto l’esercizio organizzato del più violento terrore rosso saprà riscattare l’umanità intera dall’onta di tale spregevole ipocrisia, che oggi concorre ad opprimerla ed umiliarla! E mentre la Chiesa traduce coerentemente il proprio programma di conservazione di classe in quotidiana azione e propaganda (vedi il recente appello del vescovo di Foggia che, contro lo sbarco di immigrati curdi sulle coste pugliesi, ha gridato: "Se non bastano carabinieri e guardia di finanza, facciamo scendere in campo l’esercito!"), spieghi, dunque, san Fausto quale "forte, profonda, radicata sintonia" possa mai esserci tra gli scopi perseguiti da questa genìa di aguzzini e gli interessi dei lavoratori e degli sfruttati, nel cui nome si perita di parlare.

Tutt’altra cosa è lavorare per riunificare sul terreno di classe il comune cammino del proletariato internazionale, tra le cui file ci sono i molti proletari credenti, che, nel corso della lotta, impareranno a riconoscere nell’istituzione della Chiesa un loro nemico e a sbarazzarsi della superstizione religiosa, misurando in essa un ostacolo alle necessità della propria emancipazione.

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