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Ci viene sottocchio un documento, datato Belgrado maggio 97, della Lega dei Comunisti di Jugoslavia in tema di privatizzazione, che merita qualche riga di riflessione e commento.
Il punto di partenza del documento è costituito dalla Legge sulla trasformazione della proprietà adottata in Serbia nel dicembre 96, più o meno copia conforme di tutte le analoghe leggi varate in ciascuno dei paesi ex-jugoslavi. La Lega dichiara la propria totale opposizione ad essa preavvertendo i proletari "illusi" sulle amare conseguenze che gliene verranno e rifacendosi, more solito, alle virtù del precedente modello autogestionario, cosiddetto "collettivo" o "socialista di mercato", di cui si vantano i mirabolanti dati statistici sino a questo bel fiore allocchiello: "La RSFJ ha costruito i migliori carriarmati al mondo, costruiva aerei e altre armi" che si vendevano allestero... come il pane. Tutto questo ci è stato tolto.
Non ci interessa qui rimarcare il deficit totale di marxismo in una visione "socialista" del genere e non ci torneremo quindi su in questa sede. Chi nasce quadro difficilmente muore tondo. Ciò che, invece, è altamente interessante nel documento sta nelle considerazioni sul perché e il come della "deriva" privatistica in atto e sulle prospettive, per i proletari, che ne conseguono. E su questi temi abbiamo la bella sorpresa di vedere come la dura lezione dei fatti abbia costretto la Lega, o quel che rimane di essa rispetto allorganismo assai più pletorico di alcuni anni fa, a prender atto di certe cose che noi invano, a tempo debito, avevamo cercato di ficcare nella loro testa. Proprio vero che la "coscienza" si muove quando il sedere vien preso a pedate e non dalle idee, dalla logica "astratte"! E noi speriamo che, Lega o non Lega, ben altri passi possano farsi su questa via. Da... pedatizzati in permanenza sapremo fare la nostra parte per raccoglierne i frutti.
Prima considerazione. I fautori della privatizzazione, che sono poi tutte le forze politiche in campo che "contano", governative e di opposizione indifferentemente, si richiamano ai vantaggi delliperlibero mercato guardando a quel che si passa negli USA e in unaltra ventina di paesi, poniamo, sui duecento al mondo, ma non dicono come laffluenza dei primi abbia nella miseria e nel degrado talora crescente dei secondi il suo necessario contraltare, perché solo a pochi è dato di "fruire di tutti i privilegi del vigente ordine economico mondiale", mentre alla massa spetta unicamente di pagare per essi in moneta contante. Per costoro, tuttavia, non si tratta di unillusione, perché è perfettamente vero che, anche e proprio nella caduta delle rispettive economie nazionali, per un pugno di profittatori dipendenti dai gangli vitali del mercato mondiale si apriranno delle ottime prospettive. Quelli che fanno male a illudersi sono solo i lavoratori, che ci rimetteranno di tasca e, talora, di pelle propria.
Seconda considerazione. Con tutto ciò, "purtroppo, la trasformazione della proprietà è inevitabile. Linevitabilità sta negli interessi della nuova borghesia, reclutata nelle precedenti strutture burocratico-amministrative". Giusto. Ci sarebbe solo da interrogarsi, cosa che la Lega non fa, sul come strutturalmente le precedenti strutture "socialiste" abbiano potuto generare questa rete di interessi ed abbiano ad essa permesso di imporsi trascinandosi dietro le "illusioni" del proletariato. Il tragico esito dellautogestionarismo titoista sta proprio nellaver covato nel proprio seno questa "nuova" borghesia padrona utilizzando i dati effettivamente "sociali" in esso inizialmente presenti (eredità di una situazione sociale-politica di partenza a tinte classiste) per cloroformizzare la classe sfruttata. Gli schiavi proletari, giammai emancipati, "illusi" di esser loro i gestori delle "leggi socialiste di mercato", hanno finito per piegarsi a queste leggi sino alle estreme conseguenze, "autodimissionandosi" dal potere economico dopo esser stati dimissionati della propria capacità antagonista. Inutile versare lacrime sul latte sprecato se non se ne tirano tutte le lezioni.
Terza considerazione, sul grimaldello nazionalista "abbracciato dai quadri dirigenti delle società autogestite" e da essi "imposto anche agli strati operai". Sul nazionalismo quale principale causa degli scontri nella RSFJ, afferma il documento, non ci sono dubbi, però "ad esso non si arriva casualmente. Esso si progetta, si produce e si lancia nel momento e nel luogo adatto". Le condizioni di coltura di esso derivano dalla crisi economica attraversata dalla Jugoslavia dopo (post hoc e non propter hoc) la morte di Tito, "accompagnata necessariamente da crisi sociale, ideale e politica". Questa crisi, a sua volta, si spiega entro la cornice del meccanismo mondiale del capitale, non al di fuori di esso, nel chiuso della Jugoslavia. Ben detto, anche se si dovrebbero tirarne alcune conclusioni: perché mai leconomia "socialista nazionale" non ha potuto funzionare entro questo quadro (da "socialismo in un paese solo") e si è, invece, fatta trascinare nel gorgo distruttivo delle correnti imperialiste mondiali? Poteva andare diversamente sulle basi della "divisione internazionale del lavoro" e del "mercato internazionale" entro cui funzionava la macchina "indipendente" jugoslava? Eterno dilemma: caso o necessità? E, per il futuro: sarà possibile tornare indietro a... controcaso?
Ma lasciamo pure alla Lega i suoi penati da adorare religiosamente. Quel che qui conta è il riconoscimento, quasi protomarxista, che non cè alcun capitale estero "in nessuna parte del mondo che aspetti solo loccasione favorevole per venirci in soccorso sotto forma di mezzi, tecnologia davanguardia, organizzazione moderna, e per regalar profitto ai proprietari, salari ai lavoratori, entrate al fisco per lo stato sociale" indigeni. Al contrario, "per una ridicola somma di denaro, la borghesia straniera, naturalmente alleata (come il padrone al proprio cane da guardia, n.) a quella nostrana, si comprerà intere fabbriche" e tutto il resto del comperabile "convertendo i nostri mezzi in loro capitale", con tanti saluti alle speranze delle masse infinocchiate. Tutti i paesi emersi dalle macerie del muro di Berlino "legano il loro sviluppo e la loro stessa esistenza solo ed esclusivamente al capitale straniero", che, per parte sua, non accetta restrizione alcuna e tutto divora mentre "nel frattempo tutte le potenzialità produttive della nazione sono bloccate".
A questo punto cè unosservazione in più, estremamente precisa e puntuale. Queste forze borghesi "nazionali" infeudate allimperialismo "si assicurano lalleanza della NATO contro una inevitabile rivolta operaia alla quale si arriverà quando i lavoratori avranno capito la truffa. Ecco perché tanta smania di entrare quanto prima "in Europa", nella "Comunità internazionale", nel FMI etc." La situazione di ipersfruttamento che si va delineando verrà "stabilizzata" e "difesa (dallimperialismo, n.) con tutti i mezzi, inclusa la forza militare, perché il capitale nn rischia mai niente a vuoto. Daltronde, è per questo che le truppe della NATO hanno già occupato gran parte del territorio della RSF di Jugoslavia, con lintenzione di rimanerci benché, naturalmente, la parte più sporca del lavoro, cioè la sottomissione dei lavoratori e di interi stati verrà lasciata alle polizie ed agli eserciti locali..." Non si sarebbe potuto dir meglio. Sembrerebbe di leggere un certo Che fare. E poco male, anzi: benissimo, che simili riconoscimenti vengano dopo che per anni la Lega non ci sentiva da questorecchio neanche a suonargliela a mille decibel. Il fatto è di ottimo auspicio (e non lo diciamo pensando restrittivamente alla Lega).
Se così è, si conclude, "alla classe operaia non resta altro che organizzarsi per tutelare i propri interessi". Organizzarsi ora, diciamo noi, dopo esser stata abbondantemente disorganizzata prima. Su che basi? Qui sta il busillis. La Lega tende a riproporre, al solito, i vecchi schemi titoisti, dallAVNOJ sino addirittura alla costituzione del 74 (diretta premessa di tutti i disastri successivi), perché "migliori soluzioni, almeno finora, non le ha proposte nessuno" (accusiamo la mancata ricezione delle nostre!). Un vicolo cieco smentito dai fatti e da buona parte di quanto detto sopra dalla Lega stessa. Con una contraddizione, però, che anchessa sembra avvertire: "Purtroppo (noi diremmo: per fortuna, n.) si è arrivati al punto che la classe operaia di ogni nostra nazione e nazionalità non ha contro di sé soltanto la propria borghesia, ma TUTTA la borghesia europea e mondiale, unita nelle cosiddette organizzazioni internazionali e nel patto NATO" e, in un passaggetto di straforo, si parla della rinnovata unione di classe "nelle dimensioni jugoslave e internazionali". E come, altrimenti, sarebbe possibile contrapporsi allinsieme della borghesia internazionale se non con linsieme del proletariato internazionale? Altro che AVNOJ, altro che uno o mille neosocialismi in uno o mille paesi soli! Altro che "socialismo di mercato" in "pacifica competizione" col capitalismo di mercato!
Che a comprenderlo sino in fondo sia la Lega possiamo non crederlo e ci può persino poco interessare. Quel che importa è che il tema vitale della riscossa proletaria è dichiarato e dovrà svolgersi sino in fondo. Quel che importa è che, in tutta verosimiglianza, le posizioni "teoriche" della Lega riflettono uno stato danimo che si va facendo, sia pur confusamente, strada tra le masse jugoslave e che esso non potrà fermarsi a metà strada. Per dirla con la Luxemburg: Hic Rhodus, hic salta! Che unavanguardia militante comunista cominci a tirar le somme come si deve non potrà che accelerare questa spinta "spontanea", materiale, per portarla al suo necessario approdo. Irrealistica fantasia nostra o realtà già forse in gestazione? Ci dicono che loroscopo del comunismo per il futuro contenga dei buoni auspici...