Immigrati |
Poco più di un anno fa, quando la polizia francese rimpatriò gli immigrati "sans-papiers" a Parigi, i rappresentanti e i giornali della "sinistra" nostrana gridarono allo scandalo e giurarono che mai una cosa simile sarebbe potuta accadere nellItalia dellUlivo, anche perché essi lo avrebbero impedito a qualsiasi prezzo. Detto, fatto. Preceduta da uninfame campagna stampa mirante a presentare il popolo albanese come unaccozzaglia di delinquenti e mafiosi, il 4 e 5 dicembre è scattata unoperazione di polizia con cui sono stati reimpatriati gli immigrati albanesi.
Usare la mano pesante contro di loro era urgente ed importante non solo perché nei "centri di raccolta" iniziava a serpeggiare un sia pur molto embrionale spirito di protesta collettivo contro le condizioni di supersfruttamento e la repressione poliziesca a cui gli immigrati sono soggetti, ma soprattutto per mandare un chiaro messaggio alle orde di diseredati che premono alle porte delle "nostre" coste. Quale messaggio? "Forse il rimpatrio dei profughi -scrive lUnità dell1.XII- si farà tutto in un giorno per mandare un segnale oltre lAdriatico: non si entra in Italia senza rispettare le regole". Già, le regole. Le regole del mercato e del capitale, quelle stesse che hanno disintegrato lAlbania e che esigono che i flussi migratorii avvengano secondo ritmi e modalità ben precise (ne parliamo nellarticolo a fianco).
LItalia dellUlivo, quindi, ha seguito la scia della sua cugina dOltralpe. E la "sinistra solidarista" cosa ha fatto? Ha forse messo un bastone tra le ruote al governo italiano? Consapevole o no poco importa, nei fatti lo ha agevolato: perché ha svolto unopera di disarmo politico tra gli immigrati, e anche qualcosa di peggio in seno al proletariato italiano.
Nelle settimane e nei giorni immediatamente antecedenti al blitz della polizia, i campioni de il Manifesto e di Liberazione non perdono occasione per lodare la promessa di Prodi di operare il rimpatrio senza utilizzare la forza ma esclusivamente su base consensuale (come se tra il carnefice e la vittima vi possa essere altro accordo consensuale escluso quello della accettazione supina del capestro). Il giornale di Rifondazione il 2 dicembre, superando se stesso, scrive: "Ora la direttiva del governo apre finalmente spazi alla stabilizzazione in Italia degli albanesi. Meglio tardi che mai". E, sempre lo stesso giorno, mentre i lavoratori albanesi, intuendo il loro destino, si sono asserragliati nei centri profughi organizzando lo sciopero della fame contro la deportazione, Liberazione scrive: "Chi può, senza attendere domani, vada a trovare i profughi, rompa il loro isolamento, offra lavoro e socialità". Alla carità pelosa che nei giorni di festa il benestante elemosina al mendicante sui gradini della chiesa: ecco a cosa chiama ed invita la sinistra "antagonista". Contemporaneamente anche la Rete Antirazzista - espressione di quellassociazionismo di sinistra che tanto piace a Bertinotti e soci - dichiara che "la direttiva sul rimpatrio è ragionevole, ma tardiva (sic!)" e richiede la proroga della chiusura dei centri daccoglienza "almeno fino a quando i prefetti, i questori ed i profughi non saranno informati sulle norme finora rimaste un segreto". La decenza ci vieta ogni commento.
Intanto, mentre tutte queste anime candide sono impegnate a fantasticare su cooperazioni solidali, impegno civile e deportazioni consensual-umanitarie, polizia e carabinieri in perfetto assetto anti-sommossa irrompono nei centri profughi e, bastonando alla bella, stipano come bestie gli albanesi sulle navi dirette oltre lAdriatico. A questo punto, come da copione - apriti cielo! - un diluvio di lacrime di coccodrillo segna il volto di Rifondazione, del Manifesto e di quella nauseabonda accozzaglia che va sotto il nome di Verdi.
Il responsabile esteri di Rifondazione, Ramon Mantovani, afferma che "la distanza tra noi ed il governo su questa vicenda, non è solo politica, ma anche morale": forse che Bertinotti e Cossutta dichiarano guerra al governo? Ma, suvvia, non scherziamo. Qui sono in ballo la credibilità internazionale dellItalia, i "nostri" investimenti al di qua ed al di là dellAdriatico, il ruolo del paese... non si tratta mica di ticket. In questi casi anche lindignazione ha un limite, va bene quindi gridare allo scandalo, ma purché ci si limiti agli strilli.
E strillano tanto anche i capetti dei centri sociali del Nord-Est, che chiedono le dimissioni di Napolitano per "uso improprio della polizia". Delle due luna: o questi filo-federalisti, filo-ulivisti e filo-cacciaristi credono che gli apparati coercitivi dello Stato borghese non servano ad opprimere i proletari, o pensano che nelle mani dellUlivo la macchina statale abbia cessato di essere al servizio del capitale. In entrambi i casi, fessi e disfattisti rispetto allinteresse di classe proletario.
Quanto a gridolini e lacrimucce, a distinguersi è però il Manifesto. Il 4 dicembre, commentando lo sgombero, lamenta il fatto che "ieri la direttiva del governo è stata finalmente pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, ma agli albanesi non è stato neanche concesso il tempo di leggerla" (!?!). Ma la vetta dellinfamaia è raggiunta quando, un po più in là, si critica il fatto che "al governo è sembrato inopportuno concedere quindici, venti giorni perché gli albanesi cercassero aiuto, cercassero qualcuno magari anche disposto a pagarli una miseria in cambio di una dichiarazione che avrebbe voluto dire un destino diverso". Per i Parlato e le Rossanda il lavoratore albanese non deve lottare per i propri diritti, non deve organizzarsi collettivamente e men che mai deve cercare lalleato nella classe operaia dOccidente; per questi signori, cresciuti e paffuti dalle briciole che limperialismo concede loro, il proletario immigrato deve diventare un quieto e remissivo elemosinante, un innocuo "zio Tom" alla ricerca del "buon badrone", deve prostituirsi, chinare la testa e mendicare.
Dal loro punto di vista, costoro hanno perfettamente ragione. Non ce lha invece il proletariato italiano, colpevole di aver assisito con torpore a tutta la vicenda: una classe operaia compartecipe -per indifferenza o, peggio, per condiscendenza- alloppressione di un altro popolo, non sarà mai infatti in grado di battersi neanche per liberare se stessa.