[che fare 45]  [fine pagina] 

Immigrati

La sinistra "solidarista" e l’espulsione degli albanesi

Poco più di un anno fa, quando la polizia francese rimpatriò gli immigrati "sans-papiers" a Parigi, i rappresentanti e i giornali della "sinistra" nostrana gridarono allo scandalo e giurarono che mai una cosa simile sarebbe potuta accadere nell’Italia dell’Ulivo, anche perché essi lo avrebbero impedito a qualsiasi prezzo. Detto, fatto. Preceduta da un’infame campagna stampa mirante a presentare il popolo albanese come un’accozzaglia di delinquenti e mafiosi, il 4 e 5 dicembre è scattata un’operazione di polizia con cui sono stati reimpatriati gli immigrati albanesi.

Usare la mano pesante contro di loro era urgente ed importante non solo perché nei "centri di raccolta" iniziava a serpeggiare un sia pur molto embrionale spirito di protesta collettivo contro le condizioni di supersfruttamento e la repressione poliziesca a cui gli immigrati sono soggetti, ma soprattutto per mandare un chiaro messaggio alle orde di diseredati che premono alle porte delle "nostre" coste. Quale messaggio? "Forse il rimpatrio dei profughi -scrive l’Unità dell’1.XII- si farà tutto in un giorno per mandare un segnale oltre l’Adriatico: non si entra in Italia senza rispettare le regole". Già, le regole. Le regole del mercato e del capitale, quelle stesse che hanno disintegrato l’Albania e che esigono che i flussi migratorii avvengano secondo ritmi e modalità ben precise (ne parliamo nell’articolo a fianco).

L’Italia dell’Ulivo, quindi, ha seguito la scia della sua cugina d’Oltralpe. E la "sinistra solidarista" cosa ha fatto? Ha forse messo un bastone tra le ruote al governo italiano? Consapevole o no poco importa, nei fatti lo ha agevolato: perché ha svolto un’opera di disarmo politico tra gli immigrati, e anche qualcosa di peggio in seno al proletariato italiano.

Nelle settimane e nei giorni immediatamente antecedenti al blitz della polizia, i campioni de il Manifesto e di Liberazione non perdono occasione per lodare la promessa di Prodi di operare il rimpatrio senza utilizzare la forza ma esclusivamente su base consensuale (come se tra il carnefice e la vittima vi possa essere altro accordo consensuale escluso quello della accettazione supina del capestro). Il giornale di Rifondazione il 2 dicembre, superando se stesso, scrive: "Ora la direttiva del governo apre finalmente spazi alla stabilizzazione in Italia degli albanesi. Meglio tardi che mai". E, sempre lo stesso giorno, mentre i lavoratori albanesi, intuendo il loro destino, si sono asserragliati nei centri profughi organizzando lo sciopero della fame contro la deportazione, Liberazione scrive: "Chi può, senza attendere domani, vada a trovare i profughi, rompa il loro isolamento, offra lavoro e socialità". Alla carità pelosa che nei giorni di festa il benestante elemosina al mendicante sui gradini della chiesa: ecco a cosa chiama ed invita la sinistra "antagonista". Contemporaneamente anche la Rete Antirazzista - espressione di quell’associazionismo di sinistra che tanto piace a Bertinotti e soci - dichiara che "la direttiva sul rimpatrio è ragionevole, ma tardiva (sic!)" e richiede la proroga della chiusura dei centri d’accoglienza "almeno fino a quando i prefetti, i questori ed i profughi non saranno informati sulle norme finora rimaste un segreto". La decenza ci vieta ogni commento.

Intanto, mentre tutte queste anime candide sono impegnate a fantasticare su cooperazioni solidali, impegno civile e deportazioni consensual-umanitarie, polizia e carabinieri in perfetto assetto anti-sommossa irrompono nei centri profughi e, bastonando alla bella, stipano come bestie gli albanesi sulle navi dirette oltre l’Adriatico. A questo punto, come da copione - apriti cielo! - un diluvio di lacrime di coccodrillo segna il volto di Rifondazione, del Manifesto e di quella nauseabonda accozzaglia che va sotto il nome di Verdi.

Il responsabile esteri di Rifondazione, Ramon Mantovani, afferma che "la distanza tra noi ed il governo su questa vicenda, non è solo politica, ma anche morale": forse che Bertinotti e Cossutta dichiarano guerra al governo? Ma, suvvia, non scherziamo. Qui sono in ballo la credibilità internazionale dell’Italia, i "nostri" investimenti al di qua ed al di là dell’Adriatico, il ruolo del paese... non si tratta mica di ticket. In questi casi anche l’indignazione ha un limite, va bene quindi gridare allo scandalo, ma purché ci si limiti agli strilli.

E strillano tanto anche i capetti dei centri sociali del Nord-Est, che chiedono le dimissioni di Napolitano per "uso improprio della polizia". Delle due l’una: o questi filo-federalisti, filo-ulivisti e filo-cacciaristi credono che gli apparati coercitivi dello Stato borghese non servano ad opprimere i proletari, o pensano che nelle mani dell’Ulivo la macchina statale abbia cessato di essere al servizio del capitale. In entrambi i casi, fessi e disfattisti rispetto all’interesse di classe proletario.

Quanto a gridolini e lacrimucce, a distinguersi è però il Manifesto. Il 4 dicembre, commentando lo sgombero, lamenta il fatto che "ieri la direttiva del governo è stata finalmente pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, ma agli albanesi non è stato neanche concesso il tempo di leggerla" (!?!). Ma la vetta dell’infamaia è raggiunta quando, un po’ più in là, si critica il fatto che "al governo è sembrato inopportuno concedere quindici, venti giorni perché gli albanesi cercassero aiuto, cercassero qualcuno magari anche disposto a pagarli una miseria in cambio di una dichiarazione che avrebbe voluto dire un destino diverso". Per i Parlato e le Rossanda il lavoratore albanese non deve lottare per i propri diritti, non deve organizzarsi collettivamente e men che mai deve cercare l’alleato nella classe operaia d’Occidente; per questi signori, cresciuti e paffuti dalle briciole che l’imperialismo concede loro, il proletario immigrato deve diventare un quieto e remissivo elemosinante, un innocuo "zio Tom" alla ricerca del "buon badrone", deve prostituirsi, chinare la testa e mendicare.

Dal loro punto di vista, costoro hanno perfettamente ragione. Non ce l’ha invece il proletariato italiano, colpevole di aver assisito con torpore a tutta la vicenda: una classe operaia compartecipe -per indifferenza o, peggio, per condiscendenza- all’oppressione di un altro popolo, non sarà mai infatti in grado di battersi neanche per liberare se stessa.

[che fare 45]  [inizio pagina]