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35 ORE: UN SOGNO, SE NON SI FONDANO SU UNA VERA RESISTENZA ALL’OFFENSIVA CAPITALISTICA

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Forse meno di quel che avrebbe fatto un governo di centro-destra, ma il governo Prodi ai lavoratori ha propinato: aumenti di tasse e contributi, tagli alla spesa sociale e, soprattutto, l’introduzione di una sempre maggiore flessibilità dei rapporti di lavoro. Misure che stanno dando un contributo decisivo a indebolire la tenuta organizzativa e politica del proletariato, preparando, con ciò, il terreno a nuovi e più pesanti attacchi di questo o di qualunque altro governo a venire. Rifondazione Comunista alla politica di questo governo ha dato, e dà, il suo pieno appoggio, al di là dei ricorrenti contorcimenti. L’ultimo dei contorcimenti ha prodotto la "storica conquista" della riduzione per legge dell’orario di lavoro, che di sicuro non ridurrà l’orario, ma, altrettanto sicuramente, aumenterà il grado di sottomissione della classe operaia alle esigenze del capitale.

Con la conquista delle 35 ore Rifondazione pretende di dimostrare l’utilità ai lavoratori della sua azione nel governo: di rospi ne abbiamo ingoiati parecchi, ma ora inizia la fase delle "riconquiste"! Prima di attendere gli altri risultati di questa fase, è utile guardare da vicino alla prima delle riconquiste

Che il governo abbia fatto al Prc la concessione sulla riduzione dell’orario proprio mentre faceva ulteriori passi avanti in direzione di un aperto liberismo, con la crescente flessibilizzazione del salario e dell’orario, rivela, in tutta evidenza, come non sia altro che una concessione virtuale. A controprova lo stesso Prodi ha risposto alle proteste di Confindutria e sindacati che l’eventuale legge "sarà solo un’indicazione, uno stimolo, un riferimento di cui le parti sociali dovranno tener conto nella contrattazione". Cioè: praticamente niente, visto che già oggi tante norme contrattuali e accordi aziendali sanciscono allegramente orari, di fatto, molto più estesi di quelli previsti per legge.

Non è da escludere, quindi, che a una "legge quadro" si arrivi davvero, ma il problema è: a quali condizioni avverrà e in che misura potrà avere effetti benefici sui lavoratori?

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35 ore come e per chi?

Innanzitutto va detto che la legge non riguarderà i dipendenti pubblici, le categorie le aziende che hanno già un orario intorno alle 35 ore e le imprese con meno di 15 dipendenti, oltre a escludere tutto quel variegato mondo di lavoratori "parasubordinati", fatto di prestazioni formalmente autonome, di part-time, dei patti territoriali e dei contratti d’area etc.

Per il resto degli operai della grande e media impresa si tratterà di verificare la possibilità e l’utilità (per i padroni) di arrivare a una riduzione dell’orario legale in cambio di un ulteriore sfondamento in direzione della flessibilità della prestazione lavorativa e di un utilizzo più intenso degli impianti. In pratica si lavorerà ovunque di notte, oltre che il sabato e la domenica con conseguenze disastrose sui ritmi di vita proletari mentre i padroni potranno far funzionare le fabbriche 7 giorni su 7 per 24 ore al giorno.

Inoltre, tutti danno per scontato che il limite legale non va considerato come assoluto, ma quale media mensile o annuale. Di conseguenza, potrà capitare di lavorare per periodi abbastanza lunghi oltre l’orario legale in relazione alle esigenze produttive dell’azienda, senza che venga pagato nemmeno lo straordinario, e "recuperare" poi la media con periodi di riposo forzato in base alle richieste del mercato.

A ciò va aggiunta la possibilità per le aziende di intensificare i ritmi di lavoro con relativo incremento di produttività per addetto, oltre alla possibilità di ridurre costi come la mensa, le pause etc.

Ben si comprende che le resistenze dei padroni contro la legge sono dettate dalla volontà di non cedere assolutamente nulla, e soprattutto dall’intenzione di ottenere il massimo possibile in cambio di un simile provvedimento trasformandolo in un affare che consenta di intensificare lo sfruttamento operaio e limitandolo a quelle realtà in cui l’introduzione di nuove tecnologie e l’aumento della produttività rendono conveniente accordi sulla riduzione dell’orario legale.

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Vittorie virtuali e arretramenti reali

Come altre "vittorie" sbandierate da Rifondazione, anche questa sulla riduzione dell’orario di lavoro non produce, quindi, un risultato significativo per il lavoratori, ma rischia di diventare lo strumento attraverso cui passa un ulteriore attacco alla condizione operaia.

Già la "conquista" dei famosi 100 mila posti di lavoro servì a giustificare l’appoggio del Prc al pacchetto Treu che legalizzava il lavoro in affitto, insieme ad altri poderosi attacchi alle residue rigidità del mercato del lavoro; senza contare che nei fatti hanno aggiunto ulteriore frantumazione nel mercato del lavoro, introducendo nuove forme di precarietà.

Oggi la nuova "conquista" della riduzione dell’orario di lavoro (sempre ammesso che si realizzi) contiene le premesse per favorire quel processo di ristrutturazione, di intensificazione e flessibilizzazione dell’orario di lavoro per il quale si stanno battendo da tempo i padroni e i governi occidentali. E’, infatti, evidente che l’eventuale riduzione di orario, in mancanza di un vero movimento di lotta proletario a suo sostegno, si realizzerà solo in cambio di una completa mano libera ai padroni sull’utilizzo della mano d’opera.

Bertinotti ha più volte insistito sull’affermazione che "la riduzione dell’orario di lavoro è la vera riforma di struttura di questi anni", mentre Liberazione ha esemplificato in vari articoli come la riduzione dell’orario di lavoro sia perfettamente conciliabile con gli interessi delle aziende se si accompagna a una nuova riorganizzazione degli orari che consentano di aumentare la produttività.

Il Prc quindi, pur di sancire la "grande riforma di struttura", esprime la propria disponibilità a far passare tutta la flessibilità necessaria per renderla compatibile con le esigenze del mercato (che è esattamente lo stesso quadro dei sindacati che esso Prc giura di contestare "da sinistra") che non si sogna minimamente di mettere in discussione ma al massimo di "democratizzare".

Visti i risultati, sarebbe meglio rinunciare a tali vittorie virtuali per dedicarsi a contrastare l’offensiva concreta della borghesia fatta di allungamento e di intensificazione dell’orario di lavoro. Ma ciò implica una collocazione classista antagonista che non fa parte del bagaglio cromosomico del Prc, né potrà aggiungervelo nessuna operazione di ingegneria genetica come si illudono gli apprendisti stregoni interni ed esterni al partito.

La battaglia per la riduzione dell’orario di lavoro non è vista nei suoi caratteri di classe come lotta del proletariato contro il capitale per contrastare il consumo che questo fà della forza-lavoro proletaria, ma come una questione di "civiltà" e di "democrazia" cui tutte le persone sensibili dovrebbero essere interessate, dal Cardinale Martini ai verdi etc. L’aumento dello sfruttamento e della disoccupazione non sono per i rifondatori il risultato inevitabile di una società fondata sul valore di scambio, e sull’appropriazione privatistica della crescente ricchezza prodotta, ma il frutto dell’egoismo delle classi dirigenti, di una "particolare" politica liberista che si può e si deve modificare senza intaccare i pilastri su cui si regge.

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Una giusta rivendicazione posta su basi completamente sbagliate.

La riduzione dell’orario di lavoro ha rappresentato da sempre uno degli elementi più significativi della lotta di classe del proletariato, ma storicamente essa è stata ottenuta a prezzo di durissime lotte, magari partendo da alcuni settori più forti dell’industria e poi via via con la generalizzazione del movimento di lotta ad altri settori -ma inevitabilmente anche ad altri obbiettivi- è stata imposta allo stato borghese sotto forma di legge per tutti i rami dell’industria. Così è stato per la battaglia delle 10 ore, che tra l’altro riguardava, giustamente, la riduzione giornaliera dell’orario di lavoro e non quella settimanale.

Per ridurre, poi, l’orario a 8 ore giornaliere è stata necessaria una rivoluzione, quella russa, e un movimento dai forti caratteri rivoluzionari quale quello tedesco degli anni ’20. Una rivoluzione e una quasi-rivoluzione per imporre un obiettivo che punta al cuore dello sfruttamento capitalistico, che rimanda esplicitamente alla questione del potere, il potere sul tempo, sul corpo, sulla vita che il capitale cerca di conservare in pieno e che il proletariato rivoluzionario cerca di strappargli, per conquistare tempo e forza maggiori a lottare contro il capitale.

Nella battaglia proposta oggi non c’è alcuna similitudine con il passato, ma dal passato non si traggono neanche le più elementari lezioni. Anzi, per cercare di estirpare anche dalla memoria operaia il ricordo di quelle esperienze si vuol vendere l’idea che una riduzione d’orario possa partorire dai traffici mercantili del parlamento, invocando che dopo tale parto si avvii un movimento di lotta per metterlo in attuazione! E tutto ciò mentre si dà mano libera ai padroni sul piano della flessibilità nell’uso della forza lavoro e persino all’allungamento effettivo dell’orario di lavoro, e non si fa letteralmente nulla per contestare nel suo insieme lo sfruttamento capitalistico (figurarsi, poi, l’intenzione di rivoluzionarlo...).

Nessuna meraviglia se gli operai non prendono sul serio la "gloriosa vittoria", ma sono invece preoccupati che l’eventuale riduzione dell’orario legale si farà a spese dei già miseri salari e in cambio di una intensificazione dei già infernali ritmi e turni di lavoro.

Lasciati soli ad affrontare l’offensiva quotidiana dei padroni in fabbrica, colpiti e disorganizzati dalle varie (contro) riforme degli ultimi governi, compreso quello amico che dovrebbe "regalare" la riduzione dell’orario di lavoro, gli operai non credono alle favole e non possono mobilitarsi per un obiettivo di attacco poiché non sono in grado oggi nemmeno di difendere le "garanzie" conquistate con le lotte precedenti.

La battaglia per la riduzione dell’orario di lavoro richiederebbe di essere impostata su ben altre basi per essere efficace. Oggi in particolare essa non può essere disgiunta da una seria e generalizzata lotta di resistenza contro i feroci attacchi della borghesia alle condizioni di vita e di lavoro operaio.

Essa richiederebbe una rottura con le illusioni, diffuse anche da Rifondazione, circa la conciliabilità tra interessi borghesi e proletari, il rifiuto di subordinare la difesa delle condizioni di vita e di lavoro alle compatibilità capitalistiche e alle esigenze dei mercati, il recupero della organizzazione della lotta e dell’indipendenza politica della classe che si sta ormai completamente dileguando. Esattamente il terreno da cui Rifondazione si sottrae.

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Per una vera battaglia per la riduzione dell’orario di lavoro

Eppure la necessità per i lavoratori di rimettere al centro lo scontro per una drastica e generalizzata riduzione dell’orario di lavoro è imposta dal procedere stesso dello sviluppo capitalistico e dall’azione politica dei padroni e dei governi.

Lo sviluppo tecnologico e scientifico consente aumenti strabilianti della produttività del lavoro, che finiscono tutti ai profitti e non si traducono in un aumento di tempo libero né per l’intera società in generale né per i produttori in particolare. Anzi essi diventano lo strumento per un’ulteriore intensificazione del lavoro e per prolungare la giornata lavorativa oltre ogni limite naturale, al fine di consentire di ridurre al minimo il tempo di lavoro necessario (cioè la parte di tempo di lavoro in cui l’operaio riproduce il valore del proprio salario) e aumentare la quantità di sopralavoro di cui si appropriano i capitalisti.

Il tempo disponibile cresce per una parte sola della società, per quella massa di oziosi e di parassiti che vivono sulle spalle del lavoro operaio e che sono sempre pronti a teorizzare la necessità di accrescere la produttività del lavoro, di renderlo più flessibile oltre che a basso costo. Sull’altro versante, quello operaio, aumenta solo lo sfruttamento, che rende più intenso ed esteso il tempo di lavoro e finisce per trasformare lo stesso "tempo libero" in tempo dominato e determinato dalle esigenze produttive capitalistiche.

La fase attuale, caratterizzata dal rimanifestarsi prepotente delle contraddizioni proprie del capitalismo, determina un’acutizzazione della concorrenza e spinge i padroni in ogni parte del mondo a cercare di ridurre ulteriormente il tempo di lavoro necessario, sia aumentando ancora di più la produttività, sia attraverso l’allungamento della giornata lavorativa e l’utilizzo a ciclo continuo degli impianti.

La facilità e la rapidità con cui è possibile spostare gli insediamenti produttivi, a fronte di una completa mancanza di unità internazionale tra i lavoratori, consente di trasferire la concorrenza nelle file operaie generando una guerra tra poveri a tutto vantaggio della classe dei capitalisti con un peggioramento, diversificato ma generale, delle condizioni di vita e di lavoro del proletariato internazionale.

La dimensione e il respiro internazionale della lotta per la riduzione dell’orario di lavoro si impone, quindi, ancora di più oggi come condizione necessaria di partenza per mettersi all’altezza dello scontro in atto.

Né la lotta su un tale obiettivo può riguardare solo gli operai ancora "garantiti" dalla contrattazione collettiva. Se si consente la crescente diffusione di rapporti di lavoro privi di ogni tutela sindacale ed esposti a ogni tipo di ricatto, questi saranno usati come arma di pressione nei confronti dei settori ancora forti.

E’ questa la base minima per un vero movimento di lotta per la riduzione dell’orario di lavoro che sia capace di rispondere alla sfida lanciata al proletariato mondiale dal capitalismo, mettendo in campo l’immensa forza di cui la classe operaia è potenzialmente dotata, a condizione che sappia ritrovare la via di una propria indipendenza organizzativa e politica.

E’ questo il terreno principale cui noi ci dedichiamo per contribuire a una reale inversione di rotta nello scontro tra le classi, per ritessere quelle condizioni affinché l’incredibile aumento della produttività e della ricchezza prodotta dagli operai non si trasformi in un più potente mezzo di oppressione e di sfruttamento, ma in tempo libero dalle galere aziendali da dedicare all’organizzazione della lotta per mettere fine all’insaziabile fame di tempo di lavoro del sistema capitalistico.

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