[che fare 44]  [fine pagina] 

SOMALIA: L’IMPERIALISMO E’ VIOLENZA
ANCHE SENZA... "VIOLENZE".

Indice

La "scoperta" del trattamento riservato alla popolazione somala durante l’operazione "Restor hope" ("restituire la speranza" venne chiamata!) ha fatto emergere un’infinita gamma di vomitevoli ipocrisie che hanno avuto l’unico scopo di coprire da parte di tutte le forze politiche, ciascuna a proprio modo, l’intervento imperialista italiano. L’"indignazione" variamente espressa mira a mistificare la realtà. Così, se la commissione d’insabbiamento prontamente istituita dal governo Prodi ha assolto i comandi militari da ogni seppur minima responsabilità e la destra difende l’onore e la credibilità dell’esercito, certa "sinistra" alla Rifondazione o verdi si è sperticata in coccodrilleschi piagnistei, sempre ben attenta, però, a non andare oltre le lamentose prediche "umanitariste". La sostanza comune di queste posizioni è: l’imperialismo italiano e con esso i "nostri" interessi nazionali non devono minimamente essere messi in discussione; ciò che è successo in Somalia è responsabilità di singoli individui isolati o, al massimo, di singoli corpi speciali (la Folgore) da affrontare con un’operazione di "pulizia" finalizzata a... oliare meglio il meccanismo complessivo di difesa di tali interessi. La nostra caratteristica ed esclusiva tesi di fondo è tutt’altra e cioè, che ogni e qualsiasi operazione d’intervento imperialista è di per sé violenta, sia essa militare o meno, sia costellata da torture, assassinii e stupri oppure no.

 [indice]  [inizio pagina] [next]  [fine pagina]

Destra e "sinistra": un’unica linea

Il Pds ha iniziato a sollevare la vera questione (ma solo iniziato, riflettendo lo stato attuale del micragnoso imperialismo italiano che teme, oltre una certa misura, di parlar chiaro e, ancor più, di agire con la decisione che sarebbe imperialisticamente opportuna). Sentiamo Fassino: "con le spedizioni militari -rivendicate in quanto tali- l’Italia acquisisce coscienza di sé", come paese che deve e sa difendere i propri interessi sullo scacchiere internazionale. Ovvero: globale la contesa imperialistica, globale la capacità dell’imperialismo italiano di intervenire anche militarmente. Per questa ragione anche l’"opinione pubblica" deve fare un salto di qualità e "rimuovere la rimozione del tema militare". E a questo fine nulla è più utile delle stesse spedizioni del nostro esercito. Ulivo e Polo, anche su questo, stanno perfettamente sullo stesso terreno, in linea con la realtà monoblocco della questione: o con il "nostro" imperialismo o contro di esso a fianco delle masse oppresse del Sud del mondo.

Di questo parla anche B. Spinelli, che invita a battere "il tabù dell’uso della forza" e a "prepararsi a un mondo di guerre ... anche per il morale dei soldati, che senton parlare ipocritamente di pace e son gettati nel caos dei conflitti". Il riferimento è esplicito: una borghesia all’altezza dei compiti parla un linguaggio chiaro, rivendica espressamente il suo "posto al sole" (vero, Benito?) e non si fa scrupoli delle misure di repressione, tortura, assassinii etc., anzi orgogliosamente rivendicati (come fu, già prima di Mussolini, per l’"impresa" ... democratica di Libia, tuttora rivendicata dai postfascisti in barba a Gheddafi che osa credere che i crimini di genocidio non vadano in prescrizione anche quando di mezzo ci sono non italiani od ebrei, ma "sporche scimmie").

Dietro questa campagna pro-esercito c’è il messaggio -da ben inculcare nell’ "opinione pubblica", se deve essere preparata a sottomettersi ancor più ferreamente alle necessità del capitale nazionale- che esso è indispensabile per la difesa degli interessi nazionali in ogni dove. Indispensabile al pari delle "cannonate" sparate a suon di "aiuti finanziari allo sviluppo", debito estero, "piani di aggiustamento" targati Fondo Monetario Internazionale, che devono servire all’accaparramento delle ricchezze e della forza lavoro dei paesi del Sud e dell’Est. L’esercito serve al capitale italiano "semplicemente" per garantirsi teste di ponte in una contesa interimperialistica che chiama le nazioni affamatrici d’Occidente a difendere sempre più manu militari i propri interessi di rapina. Prendere o lasciare!

 [indice] [inizio pagina] [next] [back] [fine pagina]

Rifondazione: per un intervento "pulito"

Diversi i toni ma non la sostanza della posizione di Rifondazione che ha sì denunciato l’azione criminale dei corpi speciali in Somalia, ma lo ha fatto solo per rivendicare degli interventi e un esercito "puliti".

Il coro delle prefiche "umanitariste" a cui ha dato corso RC si rende così complice di una criminale opera di mistificazione e menzogna: si denunciano gli orrori commessi dalla Folgore, ma si copre che questi sono la prosecuzione, con altri mezzi, di una rapina sistematica, "regolare" (per il diritto internazionale) che da decenni il capitale imperialista va facendo contro le masse del Sud. Un antimilitarismo solo di facciata, dunque, che in sostanza chiede di addolcire gli aspetti più "sporchi" di tale rapina. La conosciamo questa "civile" campagna delle coscienze indignate che -come nella vicenda della missione italiana in Albania- dopo una prima parzialissima presa di distanza dall’intervento imperialista (senza un’opposizione militante, va da sé!) finisce per abbracciarlo totalmente quando le "regole" paiono rispettate - cioè proprio allorchè, secondo il nostro modo di vedere le cose, il tasso di violenza imperialista si inasprisce.

Le torture e gli stupri in Somalia non sono il frutto del sadismo, di una "cultura della violenza fine a se stessa" coltivata nella Folgore e nei corpi speciali, ma sono la punta di un iceberg, l’accessorio ("anormale"?) che fa da contorno alla violenza e ai saccheggi commessi normalmente e sistematicamente dai paesi imperialisti nell’esercizio della loro opera di oppressione e di rapina nei confronti dei paesi del Sud del mondo. E se una ragione "particolare" c’è nella pratica criminale del contingente italiano, questa va ricercata nel trattamento che l’imperialismo occidentale ha riservato da sempre alle masse del "terzo mondo" che è, di regola, più "normalmente" anormale, perché in questo caso la merce non va neppure quasi pagata -vedi il petrolio-, ma liberamente presa. Dovrebbero eccepire a questa regola le operazioni "umanitarie" che -come ha detto un parà della Folgore- "sono azioni militari in terre ostili, e pertanto bisogna comportarsi di conseguenza. Smettiamola di raccontare le favole, non esistono missioni militari umanitarie"?

La posizione di Rifondazione non è il frutto dell’"incomprensione" della reale sostanza della questione o della mancanza di consequenzialità di classe, ma piuttosto della sua inconseguenza imperialista e, al tempo stesso, dell’iperconsequenzialità nell’opera di spegnimento d’ogni velleità proletaria di reazione all’azione del capitale. Per questo, peggiore, perché interna alla classe, dell’ opera (altrimenti esterna) dello stesso imperialismo.

 [indice] [inizio pagina] [next] [back] [fine pagina]

Per un antimilitarismo di classe

In questo quadro la "rivendicazione" dello scioglimento della Folgore avanzata da Rifondazione fa veramente ridere i sassi. Chi ci mandiamo come soldati nelle moltiplicate terre da redimere? I figli dei fiori? E neppure questi poi, visto che nessuno a sinistra sta contrastando la professionalizzazione dell’esercito, salutata anzi, dalle "mamme scoraggio" dei chiamati alla leva e con esse da tutta la sinistra, come un utile sgravio per i figli di mamma, che così potranno coltivare liberamente la propria obiezione di coscienza oliando altrove, nella "società civile", gli ingranaggi del massacro militaresco.

I militari volontari ( le volontà del libero mercato) sono quel che giustamente possono e devono essere. La Tullia Zevi così si è espressa a nome dei sinceri democratici: "Sono degli armadi addestrati come tali, è inevitabile che si comportino da armadi; bisognerebbe "perciò" trasmettere loro valori aggiuntivi". Noi non crediamo: primo, che questi armadi possano essere insufflati di valori "aggiuntivi" e non ce li vediamo a leggere Dante, recitare Shakespeare, ascoltarsi Beethoven; secondo, che ad essi manchino dei valori, anzi valgono perfettamente per ciò per cui sono costruiti e adibiti.

Quanto al "non sapevamo nulla", si tratta di una frottola da parte di chi non ha saputo o voluto vedere, dai vertici militari a quelli politici, sino a quelli dell’informazione. Chi ha voluto vedere a tempo, anche non stando sulle nostre posizioni, ma su quelle di valori morali,astratti sì epperò vissuti con seria concretezza, ha già pagato: da Ilaria Alpi a, per altro verso, Alex Zanottelli.

Noi, però, non incentriamo la nostra ripulsa delle operazioni imperialistiche su questi dettagli e diciamo, anzi, che ci riuscirebbe del tutto indifferente persino il sapere che realmente i vertici militari non sapevano nulla di stupri, omicidi, ecc. perché tutta la costruzione di violenza imperialista (che comincia sin dall’addestramento reclute e, se volete, dalle scuole elementari) ha in sé le sue conosciutissime regole. Un sordo può non sentire un tuono, ma se vede il lampo sa che il tuono viene di conseguenza.

 [indice]  [inizio pagina]  [back]  [fine pagina]

Per l’unità con la battaglia degli oppressi del sud del mondo

La comunità somala, pur verosimilmente diretta da personaggi compromessi al 99% con i potentati nostrani, si è dichiarata insoddisfatta delle conclusioni della commissione d’insabbiamento (alla quale, tanto per cominciare, non partecipava alcun rappresentante purchessia della parte lesa). "Giustizia non è fatta", dicono i somali nel nostro paese. Ma noi possiamo presumere che essi sentano e vorrebbero dire qualcosa di molto di più: che, per l’appunto, quelle violenze "individuali" sono il risvolto obbligato della violenza collettiva consumata dall’imperialismo occidentale ai loro danni, della violenza e del disprezzo di un capitalismo conseguentemente razzista. Hanno perfettamente ragione. Ma chi sarebbe in grado qui di ascoltare o addirittura sollecitare queste loro sacrosante parole e lavorare ad una ricongiunzione proletaria italo-somala? Conosciamo perfettamente la situazione in cui questi nostri fratelli si trovano qui e persino i compromessi in qualche modo necessari (sinché la pentola non scoppierà) per garantirsi immediatamente qualche spazio di meno schifosa sopravvivenza. Possiamo solo credere che essi sentano intanto in quanto somali, in quanto "razza" il necessario odio per l’oppressione esercitata su di loro dal "padrone bianco". Non temiamo un loro eventuale "razzismo rovesciato" in quanto espressione aggressiva di una volontà di emancipazione dall’imperialismo, capace di riallacciarsi alle posizioni di classe (a patto che il proletariato e la sua avanguardia inizino qui a fare il loro dovere...); ben più paventeremmo, piuttosto, un loro afflosciarsi sui "valori della nostra democrazia".

[che fare 44]  [inizio pagina]