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Situazione politica italiana

IMMIGRATI: IL BASTONE... E LA CAROTA.

Nel corso dell’estate si è scatenata una vera e propria campagna d’odio contro gli immigrati.

Mentre l’Albania (dopo Somalia, Bosnia, Iraq e quant’altro) sprofonda drammaticamente sotto il peso delle conseguenze della reale invasione economica, politica e militare dell’imperialismo italiano, politici e media hanno messo in scena il copione invertito dell’invasione dell’Italia da parte di arabi, africani e slavi, albanesi in testa. L’aggressione ha strumentalizzato all’inverosimile episodi veri, a volte insignificanti, e non ha esitato a servirsi anche di marchiane falsificazioni della realtà.

Cos’era successo di tanto drammatico? E’ presto detto: su diverse spiagge i villeggianti avevano difeso dalle "forze dell’ordine" gli ambulanti di colore. Un fatto due volte pericoloso. Primo perché rivela che nel profondo della società non è sufficientemente radicato un sentimento di odio verso gli immigrati. Non che ci sia, al contrario, qualche segnale di vera fratellanza di classe, anzi nel proletariato cresce sempre più il fastidio contro gli immigrati sia per la concorrenza sul piano dei salari, che per l’insicurezza sociale prodotta dal numero di essi dediti ad attività illegali. Quella espressa dai villeggianti era, piuttosto, un tipo di "solidarietà" per gli "umili", data a condizione (e fino a quando) questi accettano di rimanere tali e di non mettere a rischio la "tenuta della società" con loro pretese (con tutte le premesse, quindi, per trasformarsi in odio aperto non appena gli immigrati e i popoli da cui provengono cominceranno a presentare il conto della rapina imperialista). Ma pure quella ipocrita "fratellanza" non è, certo, la migliore condizione per tenere gli immigrati al "loro posto" come forza-lavoro sufficientemente ricattabile, e nemmeno per affrontare con la dovuta coesione sociale le operazioni di "pacificazione" imperialista nei loro paesi d’origine. Secondo perché i "cittadini" si mettevano di traverso all’iniziativa dello Stato, contrastando l’esercizio del sommo attributo del suo potere: la forza armata.

Per correre ai ripari bisognava ribattere il chiodo della pericolosità e dell’inaffidabilità degli immigrati, nonché della necessità di ristabilire una fiducia totale nell’azione dello stato.

Sul primo aspetto s’è registrata una totale identità di intenti. La Lega ha incrementato le sue ronde anti-immigrati, mentre la Padania esibiva in prima pagina la forca, pur corredandola di punto interrogativo. La Nazione sfornava copiosi "Dossier violenza", con tanto di questionari e interviste, con domande del tipo: "Secondo Lei quale etnia di immigrati è maggiormente dedita allo stupro?", concludendo senza mezzi termini per la pena di morte. Nel festival di candidati giustizieri ha tenuto banco un tal Luigi Ferone, segretario del Lisipo (Libero Sindacato di Polizia), secondo cui (Liberazione, 21/8/97) l’extracomunitario clandestino "va chiuso in un campo di lavoro fino al completamento delle indagini".... perché "il lavoro non ha mai fatto male ad alcuno" (certamente non farebbe male al signor Ferone, che presta servizio in un corpo di servitori dello Stato che parassitano bellamente sul lavoro della classe operaia. Altro che albanesi!).

Sul secondo aspetto, invece, la bagarre è stata totale. Non perché qualcuno abbia messo in discussione, in generale, la necessità della "forza dello stato", ci mancherebbe! Ma, perché in tanti si son detti: quale stato? La Lega Nord, per esempio, ha colto l’occasione per attaccare duramente lo stato italiano, incapace tanto di farsi rispettare dai paesi come l’Albania, quanto di fissare e perseguire una seria e coerente politica sull’immigrazione. Ma, persino più pesante (considerato il partito cui aderisce) è stato l’attacco del sindaco pidiessino di Rimini che ha proposto di istituire passaporti regionali per gli extracomunitari. Forza della legge sì, ma nelle mani di chi è in grado di farla rispettare: non certo lo stato centrale, meglio le regioni!

A sinistra la campagna ha provocato il solito "disagio", in settori, in verità, sempre più esigui, che non hanno fatto altro che ripetere le ben note melense tiritere umanitarie (peggiori della verità di classe gridata da un maiale alla Borghezio, in quanto gettano nebbia sulla vera sostanza di classe delle questioni in gioco), ma senza sottrarsi alla linea della legge e del rigore riconfermata dai massimi responsabili del Pds e dal governo.

Su questa linea, d’altra parte, sono attestate tutte le forze borghesi (e vi va, sempre più, inclinando, tra mille distinguo e contorcimenti, la stessa Rifondazione, cfr., per esempio, l’editoriale di Eleonora Artesio su Liberazione del 24/8/97 dal titolo significativo "Immigrazione: legalità e democrazia"). Nessuna di esse vuole rispedire indietro tutti gli immigrati. Una soluzione di tal fatta produrrebbe, infatti, perniciosi risultati: da un lato inasprirebbe i rapporti con i paesi del terzo mondo inserendo problemi nel processo di "pacifica" spoliazione delle loro risorse, dall’altro toglierebbe al capitale una parte significativa dell’esercito di riserva da usare in funzione della concorrenza dentro il proletariato.

Non a caso tutte le forze politiche propongono soluzioni di regolarizzazione dei flussi. Persino "Er pecora", al secolo Teodoro Buontempo, "ala dura" -si fa per dire- di Alleanza Nazionale, già famoso per i manifesti affissi sui muri di Roma contro gli immigrati ai semafori, ha dichiarato: "Mandarli via è immorale (...) Chi è arrivato in Italia deve essere messo in regola e inserito veramente, non solo a parole. Invece di espellere i clandestini, sarebbe più morale condannare gli schiavisti di fine secolo (i datori di lavoro)" (Corriere della Sera del 20/8/97). E la stessa Lega Nord presenta un programma non molto dissimile. Il neoministro padano per l’immigrazione, il medico siriano Faruk Ramadan, spiega su La Padania del 17/8/97: "Dare il diritto di voto all’immigrato (...) che sta lavorando e si sta costruendo una vita qui è giusto, significa darlo a una persona degna di rispetto; viceversa chi non rispetta le regole si pone al di fuori della società e come tale non può esercitare alcun diritto...".

La differenza se c’è, e c’è, non è sull’indirizzo politico, ma semmai sulla concreta possibilità di realizzazione. Mentre la borghesia italiana va smarrendo il senso e i legami della sua unitarietà di classe nazionale è ben difficile che riesca a mettere in atto una coerente politica anche sulla questione immigrazione. Diversamente la Lega Nord può credere (e far credere) di essere in grado di realizzarla coerentemente nello stato padano che aspira a costruire. Di conseguenza, non rinuncia ai toni trucidi contro gli immigrati illegali portati in Italia da una politica di accoglienza illimitata "al solo scopo di far invadere il nord da immigrati cui consentire di votare per mettere in minoranza la Lega". Ma si dota di una politica a "tutto campo", che prevede la regolarizzazione di chi dimostra voglia di lavorare e di integrarsi nei "valori padani", ed espulsioni rigide per tutti gli altri. E’ una coerente politica imperialista che prende forma e sostanza, anche nel suo aspetto social-imperialista di attrarre il proletariato con un messaggio che gli faccia intendere di non voler usare pesantemente contro di lui le masse di immigrati a basso costo e di impegnarsi a dare anche a lui quella "sicurezza civile" che, nei quartieri proletari, vacilla anche per la presenza delle attività illegali degli immigrati.

Ed è propria questa la sostanza della politica borghese verso gli immigrati: legalità e accoglienza, repressione e solidarietà ... il bastone e la carota.

Questa politica teme un solo avversario: la fraternizzazione di classe tra il proletariato della metropoli e gli immigrati, e, anche tramite essi, le masse oppresse del terzo mondo. Qualunque regolarizzazione dei flussi e legalizzazione della presenza dei "ben disposti a integrarsi" deve, necessariamente, accompagnarsi a un’azione che tenga sempre "al caldo" la contrapposizione proletariato/immigrati, proletariato/masse dei paesi oppressi dall’imperialismo. Se questa contrapposizione crolla e lascia il terreno alla fraternizzazione e a un fronte unico di lotta, rischia di crollare, allora, non solo l’uso dell’immigrato a basso costo quale "esercito industriale di riserva", ma l’intero sistema imperialista, che le popolazioni di colore le sfrutta a casa loro e nella propria.

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