Quattro parole di commento sulle recenti elezioni amministrative nel momento in cui disponiamo delle prime proiezioni per alcune località soltanto. Non ci angoscia il fatto di non poter scrivere a dati completi ed a secondo turno concluso: il quadro che già da qui appare evidente è quello stesso che, in questo numero del giornale, delineiamo nellarticolo di fondo dapertura, scritto prima ancora che si aprissero le urne, e non sarà modificato da alcun "sorprendente" risultato a venire.
Qual è questo quadro? Quello di una struttura di fondo sempre più vacillante e nella quale si accumulano, giorno dopo giorno, materiali esplosivi destinati a deflagrare rumorosamente ed una sovrastruttura politica che, nella stessa misura, e in senso contrario, cerca un sicuro pantano in cui potersi rivoltolare al sicuro da ogni sorpresa. E questo vale tanto per i vertici politici quanto per le masse, in quanto -gli uni e le altre- soggetti ed oggetti di un lungo periodo di crescita, stabilità, compromessi politici e sociali dogni sorta che ci sta sì definitivamente alle spalle e di fronte al cui ricordo si erge un futuro minaccioso che marcia in senso inverso, ma nondimeno continua a dominare lavanscena del teatrino politico come un fantasma duro da esorcizzare.
Non sono tanto interessanti le oscillazioni percentuali in più o in meno tra Ulivo e Polo, ma il quasi incontrarsi delle due forze, proprio mentre lo scontro aperto va maturando nelle viscere della società, quanto alla "ragionevolezza", la "sdrammatizzazione", la "disponibilità al dialogo" e fregnacce del genere. Il tutto nella sempre più smaccata similarità dei rispettivi protagonisti politici, tutti rigorosamente "al centro", tutti, possibilmente, pezzi grossi dellindustria e della finanza, tutti... destinati a squagliarsi come neve al sole nel momento in cui i nodi verranno al pettine sul terreno vero dellinevitabile scontro tra le classi.
La "vittoria" del Prc...
A sua volta, il voto in crescita a Rifondazione, ben lungi dallesprimere una tendenza cosciente e militante organizzata verso la riappropriazione delle armi di classe in vista di tale scontro, esprime una furbesca tendenza al compromesso (del partito e degli elettori che lo sostengono) per cui da un lato ci si ancora ferocemente alla rassicurante coperta dellUlivo, riconoscendo che di lì non si scappa, che una "sana" gestione del sistema capitalista costituisce lalfa e lomega del proprio orizzonte politico, e dallaltro si vuol far pesare sullUlivo lapporto mercenario dei voti di Rifondazione per sbarrare la porta a slittate troppo dure in senso anti-proletario (od "antipopolare", come si preferisce dire). Tranquillità ed ordine, ecco il succo, col "voto rosso" a garanzia di ciò. Per il secondo turno, abbiamo sentito da un esponente del PRC alla TV, siamo disponibilissimi e, cè da giurarci, senza neppure eccessive condizioni: se il restante dellUlivo ci tirerà dentro organicamente nella baracca meglio, se no è sicuro che lelettorato rifondino farà comunque il suo dovere, mercenario sempre, alloccorrenza anche gratis. Linnominabile esponente di cui sopra ha anche tenuto ad aggiungere: per le amministrazioni locali non ci sono problemi di sorta, perché a tanto bastano i programmi di sana gestione da tradurre in atto; non è come per il governo centrale dove il welfare è messo in pericolo dalle manovre e dai ricatti... della Germania (!). Perché, pensate!, il cuore del sistema può trovarsi in pericolo (sempre a causa di qualche esecrando agente esterno contro cui far "resistenza", e -sia ben chiaro- non si parla mai di capitalismo, di borghesia...), mentre la circolazione dei capillari periferici non presenta problemi. Roma sotto il tiro dei panzer, Canicattì al sicuro. Incredibile!
Il paradosso (apparente) è che mentre nellambito ulivista il voto si polarizza sulla sinistra, penalizzando moderati e destri della coalizione (tipo Dini, Segni etc.), lesigenza di un asse di destra si rafforza proprio grazie allo sbilanciato apporto elettorale del PRC e ciò trasversalmente ai due blocchi Polo-Ulivo, le cui anime nere costantemente si avvicinano in vista di una loro fusione ultrareazionaria (non necessariamente attraverso la ridefinizione dei rapporti reciproci tra le forze attuali, ma, molto più probabilmente, attraverso uno sconvolgimento del quadro "bipolare" attuale e la definizione di un quadro di destra centralizzato a nuovo attraverso il veicolo degli attuali quadrettini separati e, sulla carta, elettoralisticamente "antagonisti"). In poche parole: il successo elettorale del PRC non sposta a sinistra gli equilibri effettivi, ma disarma ulteriormente il fronte di classe dinanzi allinevitabile spostarsi a destra delle forze confessatamente borghese polo-uliviste, a ciò galvanizzate precisamente dall"exploit" di Rifondazione.
La "sconfitta" della Lega...
Resta il voto alla Lega, che non registra cali, al contrario!, nonostante che Bossi abbia ad essa imposto -con autentico senso della realtà che incalza al di sotto della illusoria superficie di melma presente- il rifiuto di ogni compromesso con altre forze in cambio di un pugno di amministrazioni locali (ché, se fosse avvenuto il contrario, anche Milano sarebbe potuta tranquillamente ritornare alla Lega). Questo "rozzo" tirare avanti per la propria strada, puntando sui coefficienti veri delle battaglie a venire e non sul pantano presente in cui tutti gli altri guazzano, ha certamente provocato delle fughe di potenziali voti più moderati dalla Lega, ma è valso a delimitare ulteriormente i campi in lotta e rappresenta un ulteriore elemento di educazione militante della propria base (innanzitutto per sottrarla al puro terreno della partecipazione elettoralistica). Non è detto che una così ferrea determinazione, che si dà a prezzo di ogni e qualsiasi tangibile risultato immediato, non possa provocare reazioni di segno opposto anche allinterno della Lega e, in particolare, di una parte di quei suoi vertici abituati a tener maggiormente docchio le poltrone del potere "concreto", ma anche tra la base popolare su cui inevitabilmente gioca la stessa forza dinerzia derivante dal ciclo capitalista passato che grava sul resto del "popolo", degli elettori. In ogni caso, o si affronta la sfida del futuro a tempo o le sorti della partita in gioco son già comunque segnate. Questo quel che ha capito Bossi.
Questo quanto, sul nostro ed opposto terreno, dovremmo capire noi proletari, uscendo dalle secche di sempre più smobilitate trincee di presunta "autodifesa" elettorale nelle quali star fianco a fianco con chi già si prepara a pugnalarci alle spalle. I nostri bisogni, il nostro programma, crescentemente osteggiati dallintiero arco borghese, non possono essere concessi in affitto mercenario a nessuno senza svalorizzarsi e suicidarsi. "Senza laccordo con Rifondazione lUlivo va al suicidio", recita Bertinotti offrendo alla borghesia di "sinistra" il nostro suicidio. Noi non ci stiamo e suoniamo a tutti i proletari unenergica sveglia, prima che sia troppo tardi. I voti "rossi" in più al di fuori e contro ogni prospettiva di classe hanno portato ieri ad un pugno di rappresentanti "rossi" in più alla coda del governo borghese di centro-sinistra, ma non ci hanno risparmiati dai colpi da esso infertici in nome dei supremi interessi della Nazione capitalista; altri di quei voti in più ancora stanno portando oggi quelli stessi "nostri" rappresentanti a fungere da semplici lustrascarpe di quello stesso governo assicurandoci altre mazzate sul groppone e senza neppur scongiurare con ciò il pericolo di un ritorno offensivo della destra.
Le urne hanno parlato, e il responso non poteva essere che quel che è stato: borghesia, borghesia, borghesia... Sarà ben ora che tornino a parlare le fabbriche e le piazze ed in esse il proletariato. Non abbiamo altro da dire a commento del voto di oggi e di quelli futuri che, dio non voglia!, dovessero darsi nellattuale assenza della nostra classe e del partito realmente comunista ad essa corrispondente.